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  • ippogrifo11
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    A tutti un caro saluto, con l’augurio di condividere il rito d’Agape ormai imminente in armonia e concordanza di intenti.
    Riprendo la questione, non di poco conto, sul modo più appropriato di approcciarsi a questo rito e sulla facilità con la quale si può scivolare, come nota Gelsomino, “nei canoni del sociale, della festa e del banchetto”. A onor del vero, bisogna ammettere che l’atmosfera di conviviale letizia derivante dalla gioia dello stare insieme possano favorire lo slittamento verso la dimensione del sociale cui accenna Gelsomino, distogliendo così l’attenzione dai significati che sono connessi al rito in quanto, per l’appunto, rito. Personalmente sono convinto che atmosfera gioiosa e spirito di gioviale condivisione della mensa non vadano necessariamente a stridere con la consapevolezza richiesta dall’espletamento di un atto rituale che tale resta perché come tale fu concepito. Ecco, penso che per non perdere le coordinate di riferimento sia sufficiente mantenere costantemente presente a sé la ragione del proprio essere in quel luogo e in quel momento. E la ragione è una e la stessa per tutti: l’appartenenza alla Schola. Che poi vi siano ospiti, beneficati dalla Miriam o semplicemente interessati e “attratti”, questo, a mio parere, non dovrebbe cambiare la sostanza delle cose. La differenza sta nel fatto che gli “ospiti” “possono o non” essere consapevoli del significato del momento, mentre noi non abbiamo, o per lo meno non dovremmo avere, nessun cedimento di consapevolezza.
    Ancora buona Agape a tutti e che la mano benevola delle Superiori Gerarchie si tenda sulla nostra mensa, idealmente e sostanzialmente Una anche se articolata in spazi apparentemente separati.

    ippogrifo11
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    Agile nella navigazione, fresco e sobrio nella grafica, essenziale ed efficace nei contenuti… Davvero un lavoro straordinario quello voluto, concepito, gestito e realizzato dalla Direzione della Schola; uno strumento in linea con i tempi, che viene offerto a beneficio di tutti gli utenti e in particolare a coloro che vogliono approcciarsi con serietà di intenti e sincerità nelle motivazioni al percorso di Luce e di Bene additato dalla Schola.

    ippogrifo11
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    in risposta a: Eventi e Segnalazioni #6666

    Nella tradizione assiro-babilonese il nuovo anno aveva inizio con l’Equinozio di Primavera. Così è anche nella Schola Philosophica Hermetica Classica Italica che, erede della Tradizione Iniziatica autentica e ortodossa, aggancia ai ritmi e al ciclo di rinnovamento della Natura il rito di Kons di primavera, ciclo di operazioni finalizzate alla “rigenerazione della carne e della salute dello spirito”. A questo evento, che anno dopo anno scandisce il percorso di ciascun Numero della Catena Orante, ci apprestiamo con la gioia di sentirci Uno nell’Unità della Fratellanza e con rinvigorita tensione verso il Centro erogatore di Bene e Luce.
    A tutti l’augurio che il rito sia produttivo delle realizzazioni al compimento delle quali ciascuno ha atteso, nel corso di questo anno, con il meglio del proprio essere.

    ippogrifo11
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    Agape indimenticabile, segnata, nella magistrale maestosità del suo fluire, da sobrietà, misura e armonia, come quella diffusa, nella magica atmosfera conviviale, dalle note di un pianoforte restituito, con l’accordatura, alla giustezza degli intervalli e delle vibrazioni, così come l’artista che se ne serviva, tramite discreto e delicato di una musica suggestiva e a tratti malinconicamente evocativa, è stato restituito alla gioia della vita e dell’arte e all’Amore di una Fratellanza “una” nell’Ideale intramontabile di Bene. Anche questo è la forza della Miriam Suprema e delle Superiori Gerarchie che ne sono espressione e azione, entrambe leggibili nell’impronta di un Amore inesauribile e incondizionato, evocato, invocato e riecheggiato nelle parole e negli atti della Delegazione Geneale del Maestro M. A. Iah-Hel e, successivamente e con diversa gradazione, nelle parole dei Presidi che si sono avvicendati nel testimoniare la propria esperienza vissuta al servizio della Fratellanza e delle Accademie cui sono preposti; e dei Rispettabili Fratelli Sovrintendenti, raccordati nel rievocare e riproporre all’attenzione delle Sorelle e dei Fratelli gli aspetti tradizionali e simbolici e i significati del Rito d’Agape.
    Armonia e ritmo, ritmo e armonia, fino alla lettura, o meglio alla rappresentazione vocale, appassionata e partecipata, di brani selezionati, densi di riferimenti evocativi: il Sebeto e la Sirena Partenope, Pitagora e Porfirio, Virgilio e Giuliano. E, naturlamente, il Maestro J. M. Kremm-Erz.
    Un’Agape la cui essenza resterà indelebile, attraverso il cibo conviviale e condiviso, vitalizzato e “trasformato” per effetto del lievito generosamente lasciato fluire dalle nostre Gerarchie, nelle cellule, nelle emozioni e nelle riflessioni di ciascun Numero della Catena Terapeutica Orante.
    Ancora grazie alle Superiori Gerarchie per questa ulteriore e cristallina testimonianza di Amore.

    ippogrifo11
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    Con il petto gonfio di intima gioia mi approssimo a questo Rito di Primavera con le mani idealmente strette a quelle delle Sorelle e dei Fratelli che hanno già iniziato questa mattina e a quelle delle Sorelle e dei Fratelli che come me stanno per iniziare questa sera. Che sia davvero un Rito di Rigenerazione della carne e della Salute dello spirito per tutti, affratellati nell’Ideale di Bene e grati per l’Amore e il Fermento che le Superiori Gerarchie dispensano con generosa prodigalità per l’evoluzione nostra e per la Gloria della Miriam, Regina Eterna e Eterna Rosa.

    ippogrifo11
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    in risposta a: S.P.H.C.I. #8361

    Scartabellando fra i ricordi di vecchie carte e di riviste più o meno datate, mi è venuta in mente quella che deve il titolo al mitico uccello di imprecisata ubicazione geografica, “La Fenice”, a proposito del quale, sotto lo pseudonimo di Belfegor, il Maestro Benno – Delegato Generale della Fr+ Tm+ di Miriam tra il 1947 e il 1951 – scriveva: «Nel simbolo della Fenice stanno la chiave e la parola di passo per comunicare con l’OCCULTO SINEDRIO, la cui Gerarchia non si estranea dai suoi dipendenti ed è la sola DOMINANTE.
    Pertanto, chi non sia un venditore di fumo, o uno dei tanti ciarlatani che infestano noiosamente l’approccio ai confini del sacro recinto, ha il dovere di invitare i preparati a non rivolgersi vanamente all’oriente o all’occaso, ma a stabilire il proprio, indistruttibile contatto. Allora soltanto, sapranno se trattisi di un cavo transatlantico o di un filo della tessitrice Aracne, avranno risposta ai loro molti pensieri che, sotto l’aspetto di iridate farfalle o di notturne falene, vanno sciamando intorno ai consapevoli [corsivo mio], e capiranno pure perché fanno una grandissima pena».
    Mi è venuto da rflettere che se già i “preparati” con i “loro molti pensieri” “fanno una grandissima pena”, cosa dire allora, non dei venditori di fumo, personaggi sul cui squallore non vale la pena di spendere un solo istante, ma dei “cercatori di fumo”, di quelli cioè che, come se giocassero con una porta girevole, entrano ed escono per non aver trovato di che dare sostanza alle proprie velleitarie e fumose aspirazioni. Non fanno anch’essi una grande pena?

    ippogrifo11
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    Oltre agli auguri, che come Numeri della Catena Orante accogliamo con gratitudine e assimiliamo come ulteriore stilla di “fermento” che ci proviene dal Centro, la Direzione preannunciava “piacevoli novità” che, come sempre, arrivano puntuali: la pubblicazione del Quaderno della Giuliana che si aggiunge a quello della Sebezia, esempi, come gli altri che seguiranno, della fattività operosa della Schola-Una. La stampa del Quaderno in concomitanza col Solstizio d’Inverno e l’annuncio della sua pubblicazione nel primo giorno del nuovo anno vanno letti come auspicio incentivante e foriero di nuovi e proficui stimoli. Non v’è modo migliore, per rendere concreti gli auguri di Buon Anno, che alimentare l’anno neonato con il frutto del lavoro di quello appena concluso e restituire all’Opera, secondo le possibilità, le disponibilità e le caratteristiche di ciascuno, anche quel poco, purché disinteressato e amorevole, del Tanto che si riceve per dono generoso e incondizionato.
    Grazie alla Direzione e alla Delegazione Generale e auguri sinceri alle Sorelle e ai Fratelli tutti.

    ippogrifo11
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    in risposta a: Eventi e Segnalazioni #6603

    Un grazie di cuore per questo atteso 1° Quaderno. E’ bello e gioioso vedere il lavoro delle Sorelle e dei Fratelli dell’Accademia Sebezia che si concretizza e si fissa nella materia, diventando così fruibile per la Schola tutta.

    ippogrifo11
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    Dice Garrulo che “…nell’Ermetismo Magico si punta dritti al contatto con l’io occulto o essere storico, seguendo però un percorso di avvicinamento progressivo…”
    Mi par di capire, secondo questa affermazione, che sia l’individuo cosciente a entrare in contatto con l’individuo storico, sebbene con un “percorso di avvicinamento progressivo”. In proposito mi sorge un dubbio che vorrei qui manifestare nei termini seguenti: e se fosse l’esatto contrario? Ossia se invece di un avvicinamento progressivo si trattasse di una progressiva spoliazione delle proprie sovrastrutture così da permettere all’individuo storico di manifestarsi attraverso quello attuale?
    Ovviamente si tratta di un dubbio e nel campo delle opinioni nulla induce a privilegiare una o un’altra delle tante possibili.

    ippogrifo11
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    In relazione a quanto espresso da Garrulo, ripropongo la citazione tratta dagli scritti del Maestro J.M. Kremm-Erz e riportata a pag. 351 della Pietra Angolare Miriamica:

    «L’arte di evocare gli spiriti e i dèmoni dovrebbe per tutti consistere nell’asservire angeli, spiriti e diavoli alle passioni umane e fare dell’uomo volgare una specie di padrone e donno di tutti i folletti e spiritelli dell’invisibile, per esser servito a mensa lauta senza indigestione, per colmare di oro forzieri profondi come caverne, e per godere le fanciulle più ritrose e le donne più oneste senza incespicare nel codice penale.
    In altri termini il pubblico grosso vorrebbe che gli dei, gli angeli, i dèmoni profanassero la loro natura divina, e godessero nello scendere ad imporchirsi nello stagno melmoso della umanità curiosa, per mettersi al servizio, come valletti in marsina, di poveri scemi che della propria vanagloria molto presumono e l’uomo mettono pari e pari con gli dei! »

    E, ove ancora permanesse qualche fraintendimento, sempre il Maestro J.M. Kremm-Erz precisa:

    «Il progresso, nell’evoluzione fatale, incessante, immensa di tutto ciò che è materia e spirito, trasforma e avvicina l’umanità (questi miliardi di insetti pensanti e filosofanti) alla potestà della forza creatrice di tutte le cose».

    «Motivo per cui – chiosa subito dopo il Maestro M.A. Iah-Hel – il percorso ermetico, da sempre, poggia inesorabilmente sulla universale Legge di evoluzione degli esseri, Legge della cui esplicazione la Scienza Sacra detiene le chiavi operative e della cui inviolabilità il Grande Ordine Egiziano, per quanto se ne sa, è ferreo custode.
    Legge che, essendo rigidamente progressiva, non ammette salti e soprattutto nulla concede alle velleità prevaricatrici di aspiranti maghi, di finti sacerdoti variamente paludati di orpelli e di tutti quegli illusi sedicenti “iniziati” ».

    Cos’altro aggiungere?

    ippogrifo11
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    Accolgo nel centro del mio essere, trattenendoli con intima gioia, gli auguri della Direzione, insieme con la splendida immagine, carica di significati, del sole occultato ma non oscurato dalla luna. Ancora una volta, all’inizio della Primavera, come ogni anno, le Superiori Gerarchie lasciano fluire generosamene, attraverso la parola e l’azione della Delegazione Generale, il fermento vivificante che raccoglieremo insieme, tutti insieme e con l’intero Popolo di Miriam. E che Luce e Salute sia! Per tutti.

    ippogrifo11
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    Mi collego alle considerazioni di Garrulo e alla sintesi lapidaria di Sannitica per tentare un contributo ulteriore.
    La consapevolezza intelligente della materia vivente individuata può essere vista come manifestazione, ossia come epifenomeno, della stessa materia vivente, nel senso che da essa emerge. Sotto questo punto di vista, mi parrebbe una sorta di tautologia pensare di poterne direzionare il processo evolutivo, pur attraverso le “modificazioni progressive sotto l’azione del primo fattore” cui fa riferimento Garrulo. Tento di spiegarmi meglio.
    Il grado di consapevolezza dell’essere, per come esso si manifesta, è direttamente correlato alle caratteristiche evolutive intrinseche alla materia individuata. Allora, come potrebbe essere possibile, in queste condizioni e per conseguenza di un mero processo mentale, che è esso stesso prodotto dalla materia vivente che gli fa da sostegno, conferire una direttrice di sviluppo ulteriore? E poi, secondo quale direzione, dati i limiti stessi connessi con quel particolare stato individuato della materia vivente? Sarebbe un po’ come voler venire fuori da un pozzo tirandosi su per i capelli (nell’ipotesi che questi siano sufficienti e sufficientemente robusti per consentire un’operazione di tal genere). Ecco allora che interviene la Schola con i suoi strumenti rituali e ortodossi e, con essa, il lievito promanante dal Centro cui si è magicamente collegati. Infatti, è quel lievito che è in grado di produrre il fermento nuovo in grado di attivare e nutrire il processo evolutivo ulteriore; in grado quindi di introdurre nella materia vivente individuata quel “quid” trasmutativo senza il quale la materia resterebbe esattamente com’è. Del resto, come diceva il Maestro J.M. Kremm-Erz, il segreto della pratica è praticare; la quale pratica, per altro, non può pensarsi avulsa da un meccanismo di garanzia che ne assicuri efficacia e soprattutto allineamento rispetto alla finalità cui aspira il praticante. Ed ecco che di nuovo interviene la Schola, garante e custode “per Patto” dell’ortodossia di pratiche e metodi.

    ippogrifo11
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    in risposta a: Il pensiero #8320

    “Perché la ricerca è tutta volta al pezzo di ricambio e non all’officina che aveva prodotto i pezzi originali?”
    Ottima domanda, con risposta non scontata né semplice. Tuttavia qualche riflessione ulteriore credo valga la pena che sia fatta.
    Fino a non molto tempo fa, diciamo poco meno di due secoli, il lavoro aveva come fine la produzione di beni di immediato utilizzo – si badi bene: utilizzo, non consumo – e veniva svolto presso le famiglie o nei laboratori degli artigiani. I beni “di consumo” erano, nella più stretta accezione del termine, quelli alimentari, ossia derivanti dalla produzione agricola e dagli allevamenti. Più tardi il lavoro cambiò forma, si segmentò e si specializzò, inducendo alla standardizzazione dei processi produttivi che ebbe, come immediata conseguenza, la standardizzazione del prodotto finale. La standardizzazione del prodotto – e quindi delle parti componenti – rese possibile la disponibilità delle “parti di ricambio”. Contemporaneamente, però, si verificò anche un altro mutamento nella filosofia del lavoro e nella finalità del lavoro stesso, mutamento tutt’altro che trascurabile: da mezzo per la produzione di beni di immediato utilizzo, il lavoro, segmentato e specializzato, si trasformò in mezzo per la produzione di sovrappiù, ossia di profitto, e da quel momento il bene di immediato utilizzo cambiò natura e divenne “bene di consumo”, ivi incluse le parti componenti, diventate così “parti di ricambio”. Dunque, il concetto di “parte di ricambio” è strettamente associato a quello di “bene di consumo” che, come tale, è intrinsecamente effimero. Ora, se in questa prospettiva si fa rientrare anche la vita umana, specialmente quando a questa non si sia in grado di riconoscere una finalità che non sia racchiusa nello stesso compiersi – ed esaurirsi – dell’evento vitale (una volta la prospettiva era quella offerta dalla religione, ossia la vita oltre la vita), ecco che la vita si riduce essa stessa a essere vista come bene di consumo, semmai da consumarsi il più a lungo possibile e al meglio possibile. In quest’ottica, la disponibilità di qualche “pezzo di ricambio” rappresenta un optional niente affatto trascurabile e purtroppo, nella visione aberrante e aberrata del “pezzo di ricambio” a ogni costo, si è giunti persino a garantirne la disponibilità prelevando il necessario da altri esseri umani, in qualche caso bambini il cui unico torto era quello di non avere una famiglia, o una società, disposta a proteggerli dallo sporco traffico.
    Ora, e per tornare alla domanda di partenza, perché non ci si rivolge all’officina che aveva prodotto i pezzi originali? Forse perché produrre – e installare – pezzi di ricambio è più vantaggioso. O forse perché quell’officina è semplicemente troppo distante, per il tipo di investigazione che richiederebbe, dall’approccio utilitaristico: la revulsione di mentalità e di valori etici, presumibilmente necessaria per affrontare tale ardita ricerca, rappresenterebbe un azzardo assai poco redditizio per chi è ossessionato dalla puntata a un unico giro di roulette.

    ippogrifo11
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    Molto bene! Condivido senza riserve le osservazioni di Sal. Ma vediamo se ho capito bene: i riti, ricevuti e praticati in modo ortodosso con puntualità e consapevolezza potrebbero essere considerati, lato sensu, alla stregua di “abitudini intelligenti” e, per quanto argomentato da Sal, a lungo andare verrebbero registrati nella memoria della materia vivente, DNA, come “esperienza finalizzata” – nel caso specifico si tratterebbe di esperienza associata allo svolgimento di un’azione diretta a un fine terapeutico. Ecco allora che la finalità terapeutica, ribadita con cadenza “martellante”, si incide nella materia dell’essere come finalità prevalente e ben coagulata rispetto alle tante altre finalità, spesso volatili o di scarsa consistenza, che lo stesso essere mette in gioco nell’esercizio della propria quotidianità. Il risultato dovrebbe dunque essere quello di una materia vivente per così dire “predisposta” e perciò potenzialmente omologa alla direttrice cui è rivolto quel processo di rigenerazione cui accenna ancora Sal e che si riconosce nel campo di verifica dell’unica finalità sancita dalla Pragmatica Fondamentale.

    ippogrifo11
    Partecipante
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    Come tanti, sto leggendo La Pietra Angolare Miriamica.
    A di là della veste tipografica, che definire pregevole mi pare riduttivo; al di là dei contenuti storico-filologici di una ricostruzione rigorosa e mai di parte; al di là di una ricchezza documentale quanto mai preziosa e cruciale nel suo operare da sostegno indiscutibile e inoppugnabile al dispiegarsi delle vicende e alla lettura delle medesime; al di là di tutto questo, che pure rappresenterebbe un enorme valore intrinseco di ogni pubblicazione che volesse porsi come testimonianza, oltre che come resoconto, di fatti non sempre di agevole decodificazione; al di là di tutto questo, dicevo, un aspetto, forse non subito evidente, ha catturato la mia attenzione e tutt’ora la tiene agganciata via via che scorrono le pagine: la predisposizione – posso dire interiore? – del curatore; l’atteggiamento, neutrale ma intenso, verso la narrazione; la dedizione e l’impersonalità nel rappresentare e farsi interprete di un Disegno atto a “custodire e tramandare” un patrimonio inestimabile; il rispetto, profondo, e la gratitudine verso atti e fatti concepiti da un Consesso avulso da ogni condizionamento profano e attuati da un Maestro disinteressato e devoto all’Opera a Lui delegata.
    Ecco, gratitudine e rispetto.
    La stessa gratitudine e lo stesso rispetto che deve accomunare tutti noi fruitori di un’opera che è ormai parte integrante di quel patrimonio anzidetto e che essa stessa intende “custodire e tramandare”. Più facile, la gratitudine, a palesarsi – ed esaurirsi – nelle dichiarazioni pur sincere e spontanee; più difficile, il rispetto, a concretizzarsi nella forma e nella sostanza di comportamenti individuali che andrebbero sempre ricondotti a quello ortodosso, proprio dei Numeri di una catena orante agganciata a quella Gerarchia che fa capo allo stesso Consesso per conto del quale agiva il Maestro J. M. Kremm-Erz e che oggi si esprime attraverso la Delegazione Generale rappresentata dal Maestro M. A. Iah-Hel. L’auspicio è che la lettura di questa opera unica informi via via anche la nostra di sostanza, così che il rispetto, quando pure si manifesta, oltre che formale, divenga rappresentativo di sostanza coagulata e consapevole di sé.

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