Rispondi a: LA PANDEMIA DA CORONAVIRUS TRA DATI OGGETTIVI E OPINIONI SOGGETTIVE

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Buteo
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(11) Abbiamo visto come l’efficacia delle Immunoglobuline specifiche, somministrate tramite Plasma iperimmune o concentrato di Immunoglobuline iperimmuni, sia massima in prevenzione (profilassi dell’epatite B) o nelle fasi primissime della malattia. Questo vale per tutte le malattie infettive per le quali ne sia approvato l’uso, come per il Covid-19. La motivazione è facilmente intuibile riallacciandosi alla modalità di azione degli anticorpi (v.9-10 e prec).
La normale produzione anticorpale del sistema immunitario, contro microrganismi tossine cellule modificate quali le tumorali, è policlonale, consiste cioè in una miscela di anticorpi aptene-specifici. Ogni anticorpo è prodotto da un clone, una colonia di cellule formatasi per replicazione di un unico linfocita B, che si è differenziato nella produzione di copie di quel solo specifico anticorpo. Avendo la maggior parte degli antigeni numerosi apteni, in circolo troveremo tanti specifici anticorpi per quanti cloni cellulari si saranno generati in risposta ai diversi determinanti antigenici. Alcuni anticorpi saranno poco efficaci, altri invece molto: i cosiddetti anticorpi neutralizzanti, quelli che ricerchiamo a scopo terapeutico. L’affollamento dei molti anticorpi nel plasma, potendo interagire anche con differenti sostanze, può dare reazioni indesiderate, sia in fase di somministrazione, che deve avvenire in ambiente ospedaliero, sia successivamente (trombosi, insufficienza renale). Inoltre complica il procedimento di estrazione delle dosi di Immunoglobuline iperimmuni dal sangue delle donazioni, perché occorre eliminare tutti gli anticorpi non voluti.
La soluzione sarebbe isolare e replicare in laboratorio quei linfociti che si sono specializzati nella produzione di quell’anticorpo, per ottenere grandi quantità di anticorpi uguali fra loro, monoclonali perché prodotti da un clone di cellule. Ma i linfociti B, coltivati in vitro, hanno vita breve e non sono inutilizzabili per la produzione industriale. La soluzione arriva nel 1975, con l’invenzione dell’ibridoma (Premio Nobel nel 1984), che permise di produrre in laboratorio anticorpi monoclonali, uguali fra loro, che riconoscono e reagiscono con un solo specifico aptene (= porzione di antigene). Il primo monoclonale fu approvato nel 1986 dalla FDA, per prevenire il rigetto dei trapianti. Oggi il loro utilizzo è in molti campi, sia a scopo terapeutico, dove si sfruttano le azioni immunosoppressiva o antinfiammatoria o antitumorale, sia a scopo diagnostico.
Isolato il SARS-CoV-2 nell’inverno 2020, la ricerca si è indirizzata agli antigeni maggiormente responsabili dell’invasività del virus e agli anticorpi neutralizzanti nel sangue di soggetti convalescenti da Covid-19, sia per utilizzarli come emoderivati, sia per produrre anticorpi monoclonali, perché, pur essendo il procedimento complesso e costoso, consente di ottenere grandi quantità dell’anticorpo voluto. Tuttavia, il trattamento con monoclonali non ha dato i vantaggi sperati a malattia conclamata e il loro utilizzo rimane raccomandato alle sole fasi iniziali (possibilmente prima che si manifestino i sintomi e soprattutto prima che siano evidenti i segni di interessamento polmonare) e limitatamente ai soggetti più fragili, che, per mancanza di disponibilità di vaccini, ancora non siano stati vaccinati.
Vediamo come si producono gli anticorpi monoclonali.

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