(10) Vediamo una situazione di utilizzo di Immunoglobuline specifiche nella profilassi di una patologia infettiva, l’epatite nel neonato figlio di portatrice del virus dell’epatite B (HBV).
L’HBV è trasmesso nell’adulto per contatto con sangue infetto e con secrezioni genitali o saliva. Nel bambino, invece, la trasmissione più comune avviene nel periodo perinatale, in linea verticale dalla madre infetta durante il parto o appena dopo. Poiché il virus non si trasmette al feto in gravidanza, è possibile profilassare il neonato somministrandogli, entro 12/24 ore dalla nascita, una dose di immunoglobuline specifiche anti-virus epatite B (HBIG) intramuscolo, contemporaneamente alla prima dose del vaccino anti-epatite B, il cui ciclo sarà completato secondo il calendario vaccinale.
Perché Immunoglobuline specifiche anti-HBV più vaccino anti-HBV?
Il bambino nasce senza anticorpi contro il virus, quindi sfornito dei proiettili ad alta precisione: le HBIG sostituiscono questi proiettili. Potrà infettarsi al parto e anche successivamente, perché succhierà al seno e nel latte potranno esserci tracce di sangue per ragadi al capezzolo e perché, in ogni caso, la stretta simbiosi che vivrà con la madre comporterà, anche nei mesi successivi, un rischio di trasmissione del virus, ad es. per scambi di saliva. Se le HBIG (i proiettili ad alta precisione dei paracadutisti -v.9) lo supportano nell’immediato, il vaccino attiva le cellule di difesa a produrre gli anticorpi, quei proiettili che lo proteggeranno dagli ulteriori contatti col virus, rimpiazzando le HBIG che vanno progressivamente a esaurirsi.
Una parentesi: più del 90% dei bambini che si infetta alla nascita diventa portatore cronico, mentre il rischio scende al 25-60% per l’infezione contratta in età prescolare e al 5% nelle età successive, come per l’adulto. Pur evolvendo in generale in forma benigna, perché pochi sono i casi particolarmente gravi, i portatori cronici sviluppano nel tempo gravi danni al fegato e facile progressione in cirrosi ed epatocarcinoma, a distanza di 30-40 anni. Il rischio quindi è tanto più grande quanto più precocemente è avvenuto il contagio, pertanto è massimo negli adulti che hanno contratto l’infezione da neonati. Nonostante la corretta profilassi alla nascita un piccolo numero di neonati di madri portatrici croniche di HBV s’infetterà comunque; tuttavia la vaccinazione anti-HBV, obbligatoria in Italia dal 1991, ha ridotto del 70% il rischio di cancro al fegato.
Anche sapendo che le immunoglobuline, nonostante il miglioramento dei processi di produzione, rimangono, in quanto plasmaderivato, un possibile veicolo di infezioni e abbiano un rischio di reazioni avverse, pensiamo accettabile non profilassare quei neonati, con immunoglobuline e vaccino, facendoli incorrere con grande probabilità, in cirrosi o cancro al fegato intorno ai 40 anni?