Rispondi a: LA PANDEMIA DA CORONAVIRUS TRA DATI OGGETTIVI E OPINIONI SOGGETTIVE

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Buteo
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Nella prima metà degli anni Sessanta sono stati identificati 4 coronavirus umani detti comuni, perché molto diffusi fra la popolazione e responsabili di forme respiratorie in genere lievi, soprattutto raffreddore. Può essere che a infettarci siano anche di più, ma questi noi conosciamo. Conosciamo anche molti dei coronavirus che infettano mammiferi e uccelli. In particolare sono oggetto di studio quelli infettanti pipistrelli e camelidi, perché negli ultimi 20 anni ne sono stati identificati 3 che, facendo il salto di specie (spillover) sull’uomo, hanno acquisito la capacità di trasmissione inter-umana, causando epidemie.
Il primo fu il SARS-CoV, individuato in Cina nel 2002, responsabile dell’epidemia mondiale di circa 8000 casi di SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome), con una stima di oltre 700 decessi in pochi mesi, che andò a esaurirsi con l’estate del 2003, per non essere più rilevato il virus nella popolazione. In quel caso, il contagio era trasmesso però solo dai soggetti malati, facilmente identificabili e isolabili.
Poi fu il MERS-CoV, isolato nel 2012 in Arabia; a oggi avrebbe causato MERS (Middle East Respiratory Syndrome) a circa 2500 persone, causando poco più di 900 decessi (quasi 1 ogni 3 persone affette). Ci furono focolai epidemici fra il 2014-15, soprattutto nei paesi del medio-oriente, ma anche in Corea del Sud e Cina. Per la persistenza di casi sporadici (segnalati 15 nel mese di marzo con 5 morti) è ancora attivo da parte dell’OMS il sistema di allarme verso questo virus.
Il terzo ha fatto la sua apparizione alla fine del 2019 in Cina, il SARS-CoV-2 (nome del coronavirus), responsabile della pandemia in corso di CoViD-19 (nome della malattia).
Appartenendo tutti alla famiglia dei Coronaviridae, se avessimo avuto disponibile un vaccino verso almeno uno dei precedenti 2 virus, avremmo potuto molto probabilmente ‘reimpostarlo’ contro l’attuale coronavirus.
Successe però che, nonostante le ricerche di un vaccino per la SARS fossero avviate quasi immediatamente dopo la mappatura del virus, per la quale occorsero allora quattro mesi, contro le poche settimane impiegate oggi per il SARS-CoV-2, occorresse, con le tecnologie di allora, oltre un anno per avere un primo vaccino sperimentale. Ma alla fine del 2004 l’epidemia risultava esaurita e la ricerca fu abbandonata.
Con la MERS i tempi di mappatura del coronavirus furono un po’ più rapidi, ma lo studio di un vaccino si rivelò troppo dispendioso per scarsa la diffusione della malattia.
Un articolo de Il Post del 23 aprile, cui rimando per eventuale approfondimento, https://www.ilpost.it/2020/04/23/vaccini-coronavirus-covid-19/, riporta che “dall’avvio alla commercializzazione i costi per un vaccino possono aggirarsi intorno a un miliardo di dollari, una spesa enorme e difficilmente alla portata di singoli centri di ricerca, che avviano quindi collaborazioni con le aziende farmaceutiche per proseguire le loro attività o provano ad accedere a fondi di iniziative internazionali benefiche.”…“Sia dal punto di vista sanitario sia da quello economico, sviluppare un vaccino è come fare una scommessa: si punta su una soluzione investendo grandi risorse, confidando che questa si riveli efficace e che nel frattempo l’esigenza di avere un vaccino resti alta”… “se la malattia è poco diffusa e porta a contagi piuttosto sporadici, viene meno l’esigenza di produrre un vaccino per contrastarla…” Negli scorsi anni furono questi i motivi a frenare la ricerca di un vaccino contro i coronavirus responsabili di SARS e di MERS.
Ma ora, con 5.267.419 di casi confermati nel mondo dall’inizio dell’epidemia al 25/05/20 e 341.155 morti dichiarati, c’è urgenza di mettere a punto un vaccino efficace.
La sperimentazione di un vaccino ricalca l’iter dell’approvazione di un farmaco, (v. post del 17/03). Essendo indicato a scopo preventivo in soggetti sani, occorre dimostrarne non solo l’assenza di effetti collaterali imprevisti, anche se rari, ma essere certi che l’immunizzazione sia efficace, quindi che prevenga davvero lo sviluppo della malattia, e conoscere quanto tempo persista l’immunizzazione, cioè la protezione del vaccino nei confronti dello sviluppo della malattia.
Innanzitutto si deve essere certi del tipo di memoria indotta dall’infezione naturale, cioè se duratura o limitata nel tempo. Sappiamo che per i comuni coronavirus, responsabili del raffreddore, la copertura immunologica è di circa un anno, dopo di che la forma può ripresentarsi. Se così fosse anche per il SARS-CoV-2, occorrerebbe ripetere la vaccinazione annualmente, come per l’influenza.
Inoltre se il virus tendesse a mutazioni frequenti, cioè a successive modifiche di alcune delle proprie strutture, non sarebbe più riconosciuto dagli anticorpi indotti dal vaccino, perché diretti contro strutture che ora il virus non esprime più. Il vaccino perderebbe efficacia, dovrebbe essere riformulato, quindi sottoposto a un ulteriore iter per l’approvazione e, tuttavia, la velocità di mutazione del virus potrebbe essere tale da non riuscire ‘a stargli dietro’.
Questi sono i motivi che, come dicevi tu, Wiwa70, prolungano per anni l’osservazione dei soggetti sottoposti alla sperimentazione del vaccino. L’OSM ha comunicato che in marzo Stati Uniti e Inghilterra hanno già avviato la sperimentazione di due vaccini sugli esseri umani e c’è chi ipotizza si possa giungere al risultato nel corso del prossimo anno. Personalmente non so esprimermi, posso però ritenere che la posta in gioco e gli investimenti necessari per la produzione del vaccino su scala mondiale siano tali da far sì che nessuno si arrischi a finanziare e immettere sul mercato un vaccino che non abbia dato concreta prova di efficacia e sicurezza.

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