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accademia sebezia
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Proseguiamo con altre notizie sull’antica medicina egizia, già nota nel Mediterraneo antico. (Esempio ne è la citazione nell’Odissea del nepente, una droga egiziana adoperata per rasserenare gli animi). In Egitto esistevano due tipi di medici: i Sunu e i Wabu-Sekhmet, i sacerdoti medici della dea leonessa. La formazione di tali sacerdoti avveniva nelle Case della Vita, una sorta di centri di ricerca ad alto livello, dove si studiava sui testi e li si componeva. Le prime testimonianze risalgono all’Antico Regno e sono per lo più figurative, tra le quali numerose documentano di sacerdoti capaci di riconoscere i mali con l’imposizione delle mani, e di sacerdoti inviati fuori dall’Egitto come personale sanitario nelle missioni dello Stato. Il Sacerdote-wab ritualmente aveva anche il compito di scongiurare e prevenire i mali e le epidemie causate dal calore e dall’aria insalubre per il ritiro delle acque del Nilo, dopo l’inondazione estiva. (cfr: Gloria Rosati, Il Sacerdote-wab di Sakhmet).
Fra i rimedi terapeutici la semplice acqua era veicolo di guarigione, grazie alla sua capacità ritentiva. Ad esempio si poteva trarre beneficio dall’acqua versata sulle statue sacre e raccolta poi in un recipiente posto alla sua base. L’acqua, scorrendo lungo la superficie della statua, solitamente coperta di formule magiche per accrescerne ancor più l’efficacia, ne acquisiva magicamente il potere curativo, divenendone veicolo, e poteva essere bevuta o usata per lavare la parte del corpo affetta o ferita. (cfr. Ur Sunu, Sara Caramello, Le statue magiche).
Rimedio efficace contro i mali (in particolare la mortalità infantile, la fertilità femminile e il parto) era l’amuleto (dalla radice araba hamala, che significa portare, trasportare: l’amuleto è “ciò che si porta”). Piccoli oggetti, diffusi nella vita quotidiana dell’antico Egitto, erano portati sul corpo per le loro valenze magiche, indossati come pendenti di collane, inseriti nelle bende della mummia, o conservati nelle case e nei templi. Il loro uso percorre l’intera storia dell’Antico Egitto, dal periodo pre-dinastico al periodo greco- romano e copto. In lingua egiziana vi sono quattro termini per riferirsi agli amuleti: meket, nehet, sa e udja. I primi tre sono legati a verbi che indicano vigilare o proteggere, mentre l’ultimo è foneticamente identico al termine benessere. La forza protettrice e benefica dell’amuleto era garantita da materia (le pietre come il turchese, il lapislazzuli, la corallina avevano caratteristiche e proprietà ben precise codificate nel rituale), forma, colore, corrispondente divino, formula magica iscritta o recitata all’atto della collocazione. Erano utilizzate come amuleti le raffigurazioni delle divinità, lo scarabeo, o le immagini simboliche come l’occhio udjat. Questi piccoli oggetti, ritrovati in Italia, specie in Calabria, Campania ed Etruria sin dal X secolo a.C., sono da considerare, secondo gli studiosi (vedi De Salvia e Holbl), una componente delle civiltà locali, testimoniando una certa conoscenza da parte dei popoli italici della tradizione egizia pre-ellenistica, e un’affinità di concezioni fra i due popoli.
Saluti fraterni e alla prossima.

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