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Originariamente postato da catulla2008
Il 22 Luglio 2012 alle ore 16:11

Purtroppo, nonostante avessi programmato di vedere quella trasmissione, ieri sera le cose sono andate diversamente. Però, il contrasto tra le figure del Bruno e di Galilei affascina sempre per l’interrogativo che vi è sotteso: abiurare per conservarsi la vita, quando l’ottusità dei tempi non accetta la verità, è saggezza o vigliaccheria?
Una bella definizione asserisce che verità è l’uniformità della nozione al suo oggetto… Ma la verità può essere posta come dogma o suggerita come possibilità: liberamente l’intelletto decide se vedere o non vedere, accogliere o respingere. (Perfino nelle guarigioni occorre la volontà del malato senza la quale – pure il Nuovo Testamento cristiano lo racconta – neppure il Dio può fare alcunché!).
Così, Giuliano Kremmerz ricordava che Mercurio (o Ermete) è dolce, giocondo e lepido: e nella Pragmatica Fondamentale della Schola, rivolgendosi a dei discepoli, statuì all’articolo 31 che l’intolleranza deve essere bandita da ogni cuore, anche dinnanzi all’errore di quelli che negano la Luce.
Per mia esperienza posso dire che non si può forzare la pasta di cui è fatto un qualunque essere a diventare ciò che non è: neanche se quell’essere siamo noi stessi. Certo, si può apprendere; ci si può trasformare; nel tempo ci si può forgiare fino a cambiare la chimica stessa dei propri elementi… Ma ciò può avvenire soltanto quando all’interno dell’unità stessa un elemento, fattosi volontà, coagula le cellule e le dispone; le mantiene; le dirige. (Ciò che avviene anche comunemente e in maniera meccanica. Abitudini e comportamenti in fondo sono atti di volontà: magari non consapevole, ma volontà).
E perfino l’intolleranza, in fondo, è una volontà impegnata a sostenere una posizione mentale, emotiva o comunque fisica che si percepisce minacciata da qualcosa di ‘altro’…: un po’ come si chiudono le finestre perché il vento non faccia sbattere le ante. L’intolleranza è quindi una dichiarazione di fragilità, di cui bisogna tenere conto nell’analisi dei fenomeni.
Perciò, alla fine, essere davvero tolleranti è conquista di chi È verità, cioè ha reso alle proprie molecole la cognizione (uniformità della nozione al suo oggetto). È la conquista di quei “pochi semplici… nella purità di una concezione ideale di fraterna confidenza nel sentimento del bene”: insomma di quelli che il fondatore della S.P.H.C.I. nella relazione ai Dodici supremi Vecchi Maestri del Collegio Operante, chiamò ‘maturi’.
Tutti gli altri, tutti NOI altri, camminiamo. Ci accaloriamo. Ci indigniamo. Viaggiamo nel difficile equilibrio sul filo che separa la difesa di un ideale dalla difesa del nostro ego.
E credo che la fatica durerà fino a quando non sarà più l’Idea ad appartenere a noi ma noi ad appartenere all’I-Dea… in un tempo a venire…: da qui all’Eternità.

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