Circoscrizione Centro-Nord
Accademia Giuliana di Torino
Sulla base degli input della Del+ Gen+ abbiamo iniziato coll’esaminare la dicitura esterna del Timbro S.P.H.C.I. partendo dal termine “Schola”. Dopo avere scartato la ricerca etimologica della parola che rischiava di portarci fuori strada con interpretazioni non supportate da documentazione o da referenti accreditati, ci si è concentrati sulle caratteristiche che qualificano tale termine e lo differenziano dal moderno concetto di ‘scuola’. È quindi emerso che una ‘schola’ non prescinde mai dal territorio da cui si origina (ad esempio la Schola di Atene, la Schola di Alessandria, ecc.). Inoltre una Schola detiene un patrimonio codificato di conoscenze tradizionali, ha una omogeneità di metodo e uno scopo comune.
Successivamente, e con l’aiuto del Maestro M. A. Iah-Hel anche per i rimandi al Commentarium (vedasi Vol. I, p. 165), la riflessione sul nome e i quattro qualificativi che compongono l’acronimo caratterizzante la nostra Schola ci ha portati a mettere a fuoco:
– come la S.P.H.C.I. sia unione sincretica di più tradizioni legate al territorio italico;
– come sia filosofica in senso classico in quanto ricava la teoria dalla pratica;
– come sia ermetica in senso imprescindibile dalla terapeutica in quanto il percorso evolutivo implica il risanamento molecola per molecola, atomo per atomo della materia individuata la quale solo in virtù di tale ritrovata condizione di salute (e quindi di sacralizzazione) può arrivare a manifestare l’Essere, il Nume, l’Intelligenza arcana che ha originato l’individualità stessa e che di quella individualità è principio causale e intelligente.
È pure stato osservato che, sebbene il territorio italico cui è ancorata la nostra Schola sia stato crogiuolo di antichissimi patrimoni sapienziali e di svariate civiltà, nondimeno può unificarsi (habitare fratres in unum) allorché vi sia concordanza negli scopi e un comune metodo per realizzarli.
Siamo così giunti alla seguente riflessione analogica: come sono state utilizzate dal Kremmerz per la strutturazione della Schola modalità sincretiche nella trasmissione della Conoscenza, forse attraverso le medesime modalità potrebbe essere che, nel territorio di Torino, le popolazioni Taurine (dalla radicale ‘taur’= monte in aramaico) abbiano accolto, integrandole, popolazioni della Gallia e della Bavaria e Tirreni Italici probabilmente provenienti dal Sannio per effetto di un ver sacrum.
Inoltre, l’importanza dell’acqua quale veicolo e magnete per gli insediamenti di genti e di culti, già emersa in altre ricerche e in altre sedi accademiali, ci ha portato a considerare anche il fiume Po che attraversa Torino, come il Tevere e il Sebeto per Roma e Napoli, fondamentale nelle varie epoche per il coagularsi di un aggregato abitativo e della sua religiosità. E infatti la Taurasia si stanziò proprio lungo questo fiume dove già erano presenti poco lontano, nella città di Industria in età pre e post imperiale, il culto di Iside e la pratica della Medicina Sacerdotale all’insegna di Serapide. Negli anni dal 50 – 60 d. C., Torino si circoscrisse come spazio sacro all’interno di un’apposita cinta muraria con 4 ingressi, simbolicamente marcanti la separazione dalla profanità (etimologicamente intesa).
Ecco perché è nostro intento approfondire le origini di Torino e, parallelamente, sulla base dei nuovi input provenienti dal Centro, muoverci entro le seguenti coordinate:
- il territorio in cui l’individuo è immerso: perché può fungere da cassa di risonanza di ciò che l’individuo va cercando dentro di sé e nella storia della propria materia vivente. E per territorio deve intendersi non solo quello fisico in cui si abita concretamente con la propria persona e nell’interazione quotidiana, ma anche quello spazio in cui si abita con l’attenzione del pensiero e la disposizione d’animo, ciò che, dati i moderni mezzi di comunicazione, è facile ravvisare pure in un forum collegato alla Rete;
- la scienza odierna che, con lo studio dell’epigenetica, va dimostrando quanto il DNA sia la sintesi di ciò che siamo e trasmettiamo, e come non sia attivabile solo per via genetica, ma pure per mezzo dell’ambiente in cui si vive, specie laddove tale ambiente presenta rispondenza di elementi consoni al quid latente nell’individuo: così com’è, del resto, per le patologie da una parte e per le virtù dall’altra.
Accademia Vergiliana di Roma/Centro Italia
I Fratelli tutti hanno accolto con molto entusiasmo il nuovo programma di studio voluto dalle Superiori Gerarchie, come pure hanno preso atto delle indicazioni ricevute dalla Del+ Gen+ che ci ha invitato a considerare la fondamentale diversità, non solo iconografica, del timbro della Schola rispetto a quelli delle Accademie.
C’è stato fatto notare che il Maestro Kremmerz concepì quel timbro sintetizzando graficamente in esso l’irradiarsi della Schola, al di là del tempo e dello spazio, come organismo iniziatico unitario, ma animato da un meccanismo centrifugo e centripeto insieme, atto a modularne il respiro e a istillare vitalità in ogni cellula che lo compone.
Entusiasmati da quest’input magistrale, abbiamo così preso ad affrontare l’analisi del Timbro iniziando dall’acronimo S.P.H.C.I. inscritto nel primo cerchio per darci conto del sostantivo “Schola” e dei suoi attributi: “Philosophica” “Ermetica”, “Classica” “Italica”. Ma prima di ricercarne il senso etimologico e semantico, o quello ermeneutico, ci siamo impegnati a reperire in tutti gli scritti del Kremmerz il significato attribuitovi dal Maestro, dividendo fra tutti la consultazione delle Sue svariate opere.
Le SR+ e i FR+ tutti della Vergiliana hanno così cominciato a orientare i loro sforzi innanzitutto sui termini di “Schola“ e di “Italica“, in quanto entrambi in stretta correlazione con il territorio (compreso quello del Centro-Italia la cui particolarità è già a suo tempo emersa nell’analisi del Timbro accademiale) e, allo stato dei lavori, sono in procinto di tirare le somme di questa prima fase esplorativa, per poi passare ad esaminare gli altri attributi, sempre tenendo come riferimento primario quello che il MAESTRO J. M. Kremm-Erz ha scritto nelle sue opere.
Circoscrizione Sud
Accademia Sebezia di Napoli
I primi risultati dello studio sul Timbro della Schola, sono frutto dello scambio e confronto di idee sui testi e sulle fonti dei siti web durante le sedute dell’Accademia.
Partendo dal cerchio più esterno del timbro, la Sorella n. 90 ha considerato per prima la croce patente rappresentata, formata da bracci di uguale lunghezza, che partendo dal centro si allargano verso le estremità.
Simbolo antichissimo, conosciuta anche come croce greca, fu in seguito adottata dai Templari. In alchimia simboleggia il crogiolo ove la materia compie la sua trasformazione. Senza addentrarci nell’alchimia, abbiamo pensato alla similitudine con quanto tendiamo a fare nella Schola per migliorarci e trasformarci, inoltre l’immagine della croce patente, che dal centro si espande verso la periferia ha richiamato alla mente il Capitolo Operante irradiante dal Centro.
Il significato del termine patente deriva dal latino patens: aperto, libero, senza ostacoli, manifesto, palese. Tutti attributi che riteniamo della Schola, in quanto è aperta a tutti gli uomini di buona volontà, l’accesso è libero senza ostacoli, la finalità è chiara, manifesta, palese.
Dopo la croce, la prima parola presa in esame è stata Schola. Sul termine latino Schola, la Sorella n. 171 e il Fratello n. 269 hanno notato che il significato di luogo, in cui si incontrano docenti e discepoli è relativamente moderno, mentre, l’originario, risale alla parola greca sxolè: ozio, riposo, tempo libero. Per i Latini l’otium era il tempo sottratto agli affari economici, agli impegni quotidiani, per dedicarsi a sé stessi. L’ozio per gli antichi serviva allo studio e al ritrovarsi. Per tali radici etimologiche è apparsa chiara la scelta della parola Schola invece di scuola, in quanto più aderente al suo significato originario, per esprimere quanto pratichiamo, e altresì che non vi sono docenti che impartiscono lezioni. Riscontro è stato anche ritrovato negli articoli della Pragmatica Fondamentale.
Ognuno si è riconosciuto nello sforzo di trovare degli spazi, del tempo da dedicare a questo ideale. Inoltre, è emerso che nel mondo romano la parola Schola ha avuto il suo più largo utilizzo in connessione alle corporazioni, religiose e civili, tanto da divenire sinonimo di collegium. Ciò ha fatto supporre che nella scelta della parola Schola, ci sia stata anche l’intenzione di indicare tale aspetto. Quindi Schola come luogo ove dedicarsi al proprio essere occulto, Schola come confraternita laica, il cui cuore è un Sinedrio.
Da quanto finora esaminato abbiamo avuto l’ennesima conferma che nell’ambito della Tradizione Iniziatica non ci sono parole usate a caso, ma ogni termine è scientemente utilizzato per la trasmissione del voluto messaggio, e che è demandato a chi legge lo sforzo di comprendere per penetrarne il significato profondo.
Accademie Pitagora e Porfiriana
Dopo la pausa estiva e la partecipazione all’evento di La Spezia di presentazione dei quaderni sui timbri delle Accademie, i lavori dell’Accademia Pitagora e Porfiriana sono ripresi focalizzando l’attenzione sul timbro generale della Schola di cui si è delineata in primis l’analisi dell’iconografia qui di seguito sintetizzata e avviata seguendo la guida del metodo ermetico.
Cinque cerchi concentrici, all’interno dei quali scorrono lungo la circonferenza scritte intervallate da simboli ad esclusione del circolo più interno che si configura in un volto stilizzato. Il cerchio più esterno reca l’iscrizione SCHOLA PhILOSOPHICA ERMETICA CLASSICA ITALICA, che inizia e termina con una croce, di cui è stata esaminata la grafica, posta allo zenit del timbro.
Nel circolo subito più interno si legge in senso orario FR Tm di MIRIAM, separate da una croce identica alla precedente, nel semicerchio superiore e nel semicerchio inferiore, in senso antiorario, la frase PRO SALUTE POPULI: le due parti sono separate da un simbolo grafico che assomiglia al profilo esterno di una croce ma ne suggerisce piuttosto la valenza dinamica nello spazio.
Ancora più internamente si leggono le parole CIRCULUS ANIMARUM ORANTIUM disposte in modo che l’iscrizione sia preceduta e conclusa con una croce identica a quella del primo cerchio seppur posta al nadir del timbro.
Il quarto cerchio contiene, in alto, la frase “QUIS UT DEUS?” in senso orario e, quasi fosse la risposta al quesito, “MIKAEL” in basso e in senso antiorario.
La parola MIKAEL sembra identificare l’immagine che costituisce il quinto cerchio e che raffigura sinteticamente un volto umano, da cui si diparte un ordine di tre raggi per ciascuna delle quattro direzioni dello spazio.
Parallelamente, la relazione della Sor+ 20 ha esaminato la differenza tra sigla, acronimo e acrostico, per meglio definire, dal punto di vista puramente letterale, l’iscrizione contenuta nel timbro. Il termine sigla deriva dal latino e significa abbreviazione: contrazione di “singula signa”, unica parola; l’acronimo è un termine, invece, di derivazione greca che compone “estremità e nome”.L’acronimo, in etimologia, rientra nella categoria delle sigle, quindi è una successione di lettere maiuscole relative a termini italiani o stranieri; ma mentre le sigle generalmente vengono lette lettera per lettera, l’acronimo viene inteso come un vero e proprio termine e pertanto, letto come una sola parola, tanto da aver acquisito nel tempo, un proprio significato, non più composto di varie parti (come invece per le sigle), percepito come un’espressione definita, indipendentemente dalle specificazioni originarie[1] (come per laser o radar)[2].Sigle e acronimi vengono usati sia come sostantivi che come aggettivi. Oltre ad essi esiste un’altra tipologia di abbreviazione, di tipo poetico, in cui le lettere iniziali o sillabe compongono una parola o un nome proprio: si tratta dell’acrostico, che si scrive sempre con le iniziali in maiuscolo per non essere confuso con nomi comuni (si ricordi il “VIVA VERDI” del Risorgimento).
Nel nostro caso abbiamo dedotto che può trattarsi di una sigla che ha acquisito nel tempo le caratteristiche, unitariamente significanti, di un acronimo: nel linguaggio corrente, specie parlato, diciamo infatti, parlando della nostra Schola, la SPHCI.
Nell’analizzare una sigla si tiene conto di un sistema di classificazione da cui si possono ricavare informazioni fondamentali e nel caso di S.P.H.C.I. occorre considerarne ben tre: il testo punteggiato, la sua forma estesa (Schola Philosophica Hermetica Classica Italica) e la lingua di appartenenza. Le sigle ebbero grande diffusione e fortuna nel mondo cristiano per il loro significato augurale, originario dell’Oriente greco sin dal III sec. d. C.
Nel caso di questo timbro, allo stato dei lavori, si è optato per partire dall’analisi di una forma linguistica estesa e concentrica, notando che prende rilievo la spazialità generata dalla disposizione delle lettere e l’andamento delle stesse rispetto al centro e alla periferia della grafica. Infatti, nelle rappresentazioni archetipali, il moto dal tutto all’unità e viceversa prende a prestito l’immagine della rosa composta da petali concentrici (come per l’appunto la Mistica Rosa di Miriam), delle sezioni dei mandala, dei cerchi concentrici nell’acqua.
[1] Perini E. Scrivere bene (o quasi), Giunti editore, Milano, 2010 , pagg. 187 -189
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Acronimo
Buongiorno a tutti, non so se appropriato, ma sento il desiderio di partecipare l’entusiasmo per l’inizio dei lavori sul timbro della Schola dopo gli ultimi in put ricevuti durante la riunione plenaria di fine aprile.
In questo mese ci si è attivati a cercare i simboli nei diversi territori, e non solo. Siamo stati continuamente stimolati da diverse segnalazioni.,
L’aspetto più bello che vorrei sottolineare del partecipare alla ricerca è la possibilità di sentirsi sempre più concretamente agganciati alla Catena e al Centro, condividendo con i Fratelli la tensione nell’attivarsi. Si ha la percezione di quest’onda benefica !
Un fraterno abbraccio
Altre ricerche si sono aggiunte alle precedenti.
Torino si può oggi affermare abbia avuto Natali intorno al 23 a.C.: costruita in forma quadrangolare e ubicata fin dagli albori in età neo-imperiale lungo un importante asse stradale, presentava vie che, intersecandosi ortogonalmente fra loro, delimitavano esattamente (forse non a caso) 72 insulae (isolati).
Grazie al passaggio di Giulio Cesare dal Monginevro e alla collaborazione di Re Donno al transito delle truppe, a Susa regna il figlio di lui, Marco Giulio Cozio, da Cesare affiliato alla ‘gens Iulia’. A circa 30 km di distanza dalla neonata Torino già esiste la pratica della Medicina Sacerdotale all’insegna di Serapide (città di Industria oggi Monteu da Po).
Il culto di Iside pare sia successivo ma a Industria restano testimonianze di vasche e percorsi simili a quelli così bene descritti da Fleurdelys in merito alla sua visita a Kos…
Che dire? E’ possibile vi sia un legame fra le acque e i templi? Fra la gens Iulia e la tradizione sacerdotale romana?
Ed è un caso la vicinanza della nuova città (Torino) col Serapeo di Industria?
La sua etimologia si riferisce alle genti dei monti o ai cercatori di acqua? o piuttosto al Toro che per gli Egizi era sacro?
Data la ‘specializzazione’ dei vari serapei, a Industria quali malattie si curavano?
Esisteva una schola medica nella zona? quale tradizione sapienziale favorirà più avanti l’innesto del culto di Iside?
Chi aveva fondato il serapeo?
Esistono grafemi, disegni, simboli che possano accomunare la tradizione sapienziale delle zone intorno a Torino e a Industria a quella che caratterizzava il Sebeto o il Tevere?
E i mercatores, che pare viaggiassero lungo il Po, erano commercianti o andavano ricondotti a Mercurio che tanto presiedeva ai crocicchi quanto ai rapporti con la divinità?
La voglia di sapere e di cercare è tanta, e questa frizzantina aria primaverile pare fatta apposta per alimentarla…
Nella ricerca su origini e modalità di fluttuazione e stanziamento delle varie popolazioni nell’area torinese, un particolare che più volte si è delineato mi ha colpito l’attenzione : la zona a nord ovest della Città, che si affaccia verso la catena montuosa alpina, mette in rilievo innanzitutto che Collegno, grosso centro di Provincia ma confinante sul lato del Corso Francia proprio con Torino, agli albori dell’Evo Medio era un importante punto di passaggio e scambio tra viandanti e relative culture, visto che tale parte di territorio era attraversata dalla cd. publica strata romana, per il collegamento alla Via Francigena. Lungo tali arterie erano presenti ospizi, locande, abbazie, aree mercatali, facendo capo ad una intrigata sorta di poteri locali, anziché ad un’autorità centrale ben definita. Di particolare interesse è stato il ritrovamento nella zona di Collegno di una piccola necropoli gota, nonchè di una ben più estesa necropoli longobarda, testimoniata dal recupero dello scheletro di un cavallo decapitato, probabilmente ad arte, per l’accompagnamento nell’oltretomba del suo cavaliere, Rito longobardo frequente in caso di morte di personaggi di alto rango. Se continuiamo a spostarci verso ovest, ai piedi delle prime zone di montagna, ritroviamo quello che un tempo era il confine dell’Impero Romano con i territori celtici: difatti, circa duemila anni or sono, in una Borgata di Avigliana, la Città dei due laghi, e più precisamente nell’odierna borgata Malano, era presente una Stazione di Frontiera (Dogana del tempo), tra l’Impero di Roma ed i territori celtici sotto il dominio del Re Cozio. Sono stati rinvenuti i resti dell’avanposto, punto logistico in cui, i commercianti provenienti dai valichi montani pagavano dazio a Roma. Il servizio di esazione era affidato in appalto a soggetti privati. Qui si attendevano le carovane provenienti dalla Via Francigena in un presidio fatto ad ostello, con locali di accoglienza e ristoro, servizi termali annessi. Per completezza di informazione, si ricorda che tale complesso rimase attivo fino all’arrivo della popolazione barbara dei Burgundi, che nel 490 d.C. invasero Torino. Davvero interessante anche il ritrovamento in Susa, Città che segna l’inizio del territorio di montagna vero e proprio nell’hinterland torinese, dei resti del Palazzo del più antico Re del Piemonte: si trattava di Re Cozio, figlio di Donno (articolo del quotidiano LA STAMPA di Torino – Gennaio 2011, ”Susa ritrova l’antica Reggia del Celti”). Egli fu, dal 13 a.C. per oltre un ventennio, il sovrano in tutto un territorio alpino, di cui l’area montuosa porta il suo nome (Alpi Cozie, che occupano gran parte del settore occidentale dell’arco alpino, comprendendo alcune delle vette più famose al mondo, originando dal Colle della Maddalena, alla testata delle Valli Stura (Italia) ed Ubayètte (Francia). Il Palazzo Reale in questione constava di circa 3500 metri quadri di superficie calpestabile, dominando la via per raggiungere il Monginevro. Tale struttura venne poi modificata nel IV° secolo d.C. per essere trasformata in fortezza, stante le invasioni barbariche che, come già precisato sopra, grazie alla flessione militare, culturale ed etica di Roma, si stavano verificando in tutto il Nord Ovest dell’attuale Italia. Quello che più mi preme sottolineare, è la sintonia tra le caratteristiche logistiche e le prerogative di scambio, in un territorio tipicamente di confine, tra la cultura romana, italica per eccellenza e le popolazioni francigene e nord europee, testimoniata da una Stazione Doganale in cui il transito, in qualunque direzione di marcia, era soggetto a controlli e pertanto a scambi di informazioni e rispetto delle regole di frontiera. Ecco che, oltre alla prerogativa di investigazione delle occulte significazioni di miti e culti dell’antica cultura pagana (ovviamente con esigenze di attualizzazione), si delinea l’affinità con quanto finora trattato proprio negli indirizzi affidati dalla Delegazione + Generale + specificamente all’Accademia Giuliana, finalizzati verso una prerogativa di apertura comunicativa e scambio con le culture europee, francese in primis ma anche con il mondo anglosassone e con quelle aree del nord Europa tutt’oggi ancora permeate dall’impronta della cultura celtica, ormai poco conosciuta nei suoi vari aspetti.
Oggi si è riunita l’Accademia Giuliana di Torino che nel pomeriggio ha avuto in collegamento Skype anche due Sorelle d Bologna: loro hanno così potuto partecipare alla riunione a tutti gli effetti e con fattivo scambio di idee, considerazioni e interazioni.
Insieme abbiamo ripercorso i punti salienti delle operazioni da svolgere nel Rito di Primavera, grati al Maestro L.J.Aniel per il Suo messaggio augurale. Si è sottolineata poi la necessità di ben formulare la richiesta personale nell’ambito dell’anelito alla Salute e alla Luce che identifica il Rito di Kons di Primavera, magari anche ricorrendo all’aiuto in linea gerarchica per meglio metterla a fuoco secondo necessità e giustizia.
In merito all’attività terapeutica su cui si è ritornati e che è sempre fonte di tanti interrogativi e occasione di messa a punto, va detto che è stata condivisa l’osservazione che, come il malato si deve aprire alla catena e alla sua corrente sanatrice non solo con la testa ma anche e soprattutto con la volontà profonda, parimenti e ancor più ogni numero della catena si deve attivare in prima persona affinché la corrente di Bene promanante dal Centro operi in lui/lei quella trasformazione profonda che sola può propiziare una guarigione vera e sostanziale.
Dalla rilettura di quanto sin qui compiuto dai Fratelli e dalle Sorelle in merito all’analisi del timbro della Schola sono emersi spunti che indirizzano a una rilettura attenta e a un confronto fra Accademie, anche eventualmente favorito dallo scambio fra i Presidi delle stesse, così da arrivare in sede di riunione plenaria con terreno meglio pronto ad accogliere gli input Magistrali che la Delegazione e le Gerarchie vorranno trasmettere.
A proposito di quanto scritto dall’Accademia Giuliana mi ricordo come la Tradizione consigliasse di chiedere la luce PRIMA che il Maestro parlasse, così da intenderne la PAROLA e non dopo, quando la parola magistrale era ormai passata e il terreno, qualora non opportunamente preparato, non poteva più farla propria…
Si è svolta in data odierna la riunione degli iscritti delle Accademie Pitagora e Porfiriana. Dopo aver completato l’organizzazione del prossimo incontro plenario, è stato preso in esame l’appuntamento con il Rito di Primavera e sono stati riepilogati i punti salienti delle operazioni da svolgere. Per rinverdire motivazioni e modalità esecutive, si è data lettura delle osservazioni che la Delegazione Generale ha suggerito sulle dispense del 2007/2008 e nell’area riservata ai soli iscritti alla S.P.H.C.I. E’ stata data altresì lettura del messaggio augurale del M. L.J. Aniel e ne è stato considerato il contenuto. Infine si è proceduto ad accogliere le adesioni al lavoro di prosecuzione della ricerca sul timbro della Schola per l’organizzazione di almeno due gruppi di studio e la selezione degli argomenti da svolgere.
Nella seconda parte delle Annotazioni di Giuliano Kremmerz sullo stato di salute, sui rimedi e sull’anatomia occulta dell’essere umano, insomma là dove si parlava della cura con “i semplici”era più volte menzionata l’acqua
https://www.kremmerz.it/la-cura-con-i-semplici-nelle-annotazioni-astrologiche-di-giuliano-kremmerz-ii-parte/
Negli studi sin qui condotti dalle Accademie troviamo che l’acqua permea il sapere tradizionale che ha informato i luoghi delle Accademie (cit. “il fiume Po che attraversa Torino, come il Tevere e il Sebeto per Roma e Napoli, fondamentale nelle varie epoche per il coagularsi di un aggregato abitativo e della sua religiosità”).
Ora, secondo il libro “Dissertazione sopra l’origine de’ Tirreni, copiato anastaticamente da Google
https://books.google.it/books?redir_esc=y&hl=it&id=pXlYAAAAcAAJ&q=taur#v=snippet&q=taur&f=false
a pag. 47 si trova menzionata la parola TAUR (già ricondotta alla possibile etimologia di ‘monte’) come invece legata all’ebraico per “ricercatore d’acqua”. È possibile che l’acqua – la quale sta all’origine di ogni insediamento antico – fosse anche all’origine di tutte le medicine per la sua capacità di ‘dialogare’ con tutti gli organismi viventi e – magari – metterli in comunicazione fra loro?
D’altra parte, Kremmerz ci dice che “tutte le infermità sono curabili e tutti i mali sanabili con l’acqua”(vedi rimando qui sopra).
Più ancora, possiamo notare che la nostra rituaria immediatamente, fin dal nostro ingresso nella S.P.H.C.I., ci mette in grado di operare terapeuticamente per tramite di questo ‘semplice’.
E che dire di tutti gli studi compiuti dai quaderni accademiali a proposito dell’acqua?
Un’ultima curiosità…linguistica da partecipare per la nostra comune ricerca. Nell’antica lingua occitana (ma anche in altre contigue) la parola acqua era detta EVA….: intrigante il rimando, vero?
Come scrive l’Accademia Giuliana l’acqua è un elemento importante nelle nostre rituarie ed è un veicolo formidabile nella terapeutica perché vi si possono sciogliere i principi attivi, perché essa stessa contiene sali e minerali, perché conserva la memoria di ciò che vi è stato impresso (soffio, parole rituali e volontà guaritiva), perché è funzionale analogicamente alla purificazione.
Vi è però acqua ed acqua. Ad esempio: l’acqua di mare che è salata, l’acqua delle sorgenti, l’acqua dei fiumi, l’acqua stagnante, l’acqua del cielo, cioè la pioggia. Probabilmente esse hanno effetti analogici diversi. Sarebbe interessante vagliarli.
Anche le acque sulfuree. Nel lavoro della Sebezia ci sono approfondimenti sul culto italico a Mefite, e anche la Vergiliana a proposito dell’origine mantovana di Virgilio aveva messo in evidenza come le acque sulfuree siano una componente unificante da Nord a Sud i territori accademiali, se non ricordo male proprio attraverso il culto alla Mefite.
Ricordo quando fra le due Accademie ci si scambiava notizie su Mefite. E’ un argomento che rivive e, secondo me, si collega anche agli ultimi terremoti dell’Appennino. Le Mofete (la parola deriva da Mefite), come tutte le risalite di gas, sono in prossimità di faglie e di zone sismicamente attive. Durante la risalita dalla profondità della Terra, attraverso faglie e fratture della crosta terrestre, i gas intercettano la falda acquifera dando vita a soffioni e/o geyser; oppure no, e si creano zone prive di vegetazione dato che i gas sono letali per la maggior parte degli esseri viventi fatta eccezione per alcune specie di batteri, e con forte odore di zolfo (mefitico). Durante i terremoti possono essere inquinate dalle acque sulfuree alcune sorgenti e nel passato Mefite tutelava la salubrità delle acque. Il suo nome osco pare derivi da Medhu-io= colei che sta nel mezzo, tramite, visto che il fenomeno della mefite rappresenta il collegamento più diretto al profondo, tra l’interno della terra e la sua superficie. E’ deità italica antica e sede di un oracolo: luogo parlante dalla profondità. Chissà che non ci fosse già anticamente una osservazione dei terremoti nei siti appenninici per la salvaguardia della vita delle sue genti.
Grazie Catulla per la condivisione , mi è stata di aiuto perché, benché incuriosito dal suggerimento del Maestro L.J.Aniel non ero ancora riuscito a ritagliarmi il tempo per la ricerca.
Volevo condividere con i FFrr+ e le SSrr+ la ricerca che ho svolto seguendo l’input del Maestro ● L.J. Aniel (vedasi in questa sezione riservata sotto Comunicazioni della De+ Gen+ il post del Maestro del 19 febbraio) in merito alla scultura in Piazza della Minerva a Roma.
Nel ringraziare per la profusione di stimoli ricevuti volevo dunque partecipare quanto ho trovato.
Fonti:
http://www.senato.it/3182?newsletter_item=1429&newsletter_numero=135#3 ;
https://it.wikipedia.org/wiki/Obelisco_della_Minerva
http://www.lasiciliainrete.it;
il catalogo della mostra Biblioteche Riunite intitolato a “Il misterioso obelisco dell’elefante di Catania” https://books.google.it/books?id=War1AwAAQBAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false)
Hypnerotomachia Poliphili (ipnerotomàkia polìfili), propriamente “amoroso combattimento onirico di Polifilo”, è un romanzo allegorico, pubblicato con 169 illustrazioni xilografiche da Aldo Manuzio il Vecchio nel 1499. Lo psicoanalista Carl Gustav Jung ammirava il libro, ritenendo che le immagini oniriche preannunciassero la sua teoria degli archetipi. Si tratta di un viaggio iniziatico che ha per tema centrale la ricerca della donna amata, metafora di una trasformazione interiore alla ricerca dell’amore platonico.
La scultura è un obelisco voluto da papa Alessandro VII, ad opera del Bernini , ispirato dal suddetto libro e a modello di quelli che ornavano la parte interna del tempio di Iside al Campo Marzio (o Iseo Campense costuito nel 43 a.C. e sopravvissuto fino al V secolo d.C.).
Nel ’700 Giovan Battista Vaccarin si ispirò a questa scultura per crearne una simile in Piazza Duomo a Catania e personalmente ho visto un’altra fontana con le stesse fattezze a Chambéry, scolpita nell’800 apparentemente per rendere omaggio a un generale tornato dalle Indie.
Sull’obelisco in Piazza della Minerva si leggono in latino:
SAPIENTIS AEGYPTI INSCULPTAS OBELISCO FIGURAS AB ELEPHANTO BELLUARUM FORTISSIMA GESTARI QUISQUIS HIC VIDES DOCUMENTUM INTELLIGE ROBUSTAE MENTIS ESSE SOLIDAM SAPIENTIAM SUSTINERE
VETEREM OBELISCUM PALLADIS AEGYPTIAE MONUMENTUM DE TELLURE ERUTUM IBI IN MINERVAE OLIM NUNC DEIPARAE GENITRICIS TORO ERECTUM DIVINAE SAPIENTIAE ALEXANDER VII DEDICAVIT ANNO SAL. MDCLXVII
Una possibile traduzione completa pare che sia:
Chiunque qui veda le figure del sapiente Egitto scolpite nell’obelisco trasportato dall’elefante, fortissimo fra gli animali, sappia che è proprio di una mente robusta sostenere il peso della sapienza
Alessandro VII nel 1667 dedicò [quello che] un tempo era un vecchio obelisco della Pallade egizia estratto da quella terra di Minerva [come] monumento eretto alla Madre di dio genitrice cordone della sapienza divina.
…ho appena ritirato dal corriere un pacchetto inviatomi da un privato (collezionista?) contenente il cofanetto con i due volumi del “COMMENTARIUM” anno I e II (Corpus Scriptorum Hermeticorum, Nardini Editore) dopo aver seguito le indicazioni ricevute dalla mia Preside della Giuliana per l’acquisto corretto….annuso le pagine, le tocco e l’emozione che mi sale é fortissima…..qualche sottile sottolineatura e qualche piccola crocetta qua e là di colui o colei che prima di me ha tenuto nelle mani questo gioiello….si apre “a caso” una pagina …la 158 al capitolo IX e leggo: ” I miei scritti vanno per le mani di poche persone. Se ho tredici lettori di cui uno mi comprenda, sono contento”…
Con l’aiuto della Myriam ho l’ambizione di rientrare in quella rosa….
Vi siete mai chiesti/e per quale arcano motivo, se si apre specie uno dei libri del Kremmerz a caso, si appalesi la risposta più appropriata a quella che sarebbe stata una nostra richiesta, anche se non coscientemente formulata? Sarà proprio vero che il Maestro è nell’anima…!
Confesso ,con una certa vergogna,che non me lo sono mai chiesto , ma sospinto dalla domanda la spiegazione che arrivo a darmi è che l’Ermes che è in noi , in questa come in altre occasioni , emerge , ed anche se non arriva alla nostra consapevolezza , comunque ci guida , ci indirizza nella direzione verso la quale il nostro io occulto, il nostro Nume , il nostro Principio divino vuole andare ,per potersi manifestare.