Ad ogni accademia storica miriamica è stato assegnato un indirizzo e un programma speciale di studi, ispirato al suo specifico appellativo. All’Accademia Sebezia infatti il Maestro Kremmerz volle dare, con l’approvazione del Grande Ordine Egizio, il compito di simboleggiare l’occulto senso analogico del suo ruolo nell’ambito della S.P.H.C.I. Fr+ Tm+ di Miriam. Molti non si spiegano da dove provenga il nome Sebezia.
Alcuni lo associano ai numerosi caffè letterari, circoli, riviste e movimenti culturali di diversa natura che fra l’Ottocento e i primi del Novecento proliferarono a Napoli, ispirandosi alla mitologia del fiume Sebeto che un tempo bagnava la città partenopea. Ma ci viene dato di sapere dall’attuale Delegazione Generale che ciò che riguarda la “Sebezia” è attinto dal patrimonio tradizionale che nei millenni è stato sempre ben custodito e viene tramandato esclusivamente in forma orale o ri-velata.
Ecco perché assume l’enfasi della fiaba “a tinte e mezze tinte di carattere occulto”: “In epoca lontana, allorquando le forze della Natura erano assimilate dall’umanità fanciulla ed appena balbettante le prime inconsce sillabe del Verbo, pare che il suono fonico “SEB” richiamasse alla coscienza non ancora sovrastrutturata dei nostri antichissimi avi italici, la matrice fluida nella quale si erano formati, le acque bianche e pure da cui avevano attinto la vita ed il suo essenziale nutrimento, ancor prima di respirare l’aria e di vedere la luce del giorno. Successivamente gli arcani della Natura, diventati monopolio teocratico di pochi, iniziarono ad essere ri-velati al volgo attraverso le prime forme religiose ed i loro culti. Fu allora che il Verbo, incarnato dalla Natura Naturata, diventò geloso patrimonio delle caste sacerdotali che ne assunsero la paternità e il potere di amministrarlo e dispensarlo allo scopo di mantenere un equilibrio stabile nella comunità umana.
Nacquero così gli Dei impersonanti le funzioni archetipiche e le infinite espressioni di un’Unica Matrice e gli uomini furono ben felici di doversene ingraziare i favori praticandone i culti. Le divinità fluviali erano tenute in grande considerazione dalle popolazioni primitive che tendevano ad insediarsi nelle terre attraversate da uno o più fiumi. Ciò avvenne anche nell’odierna Campania ove la leggenda narra che in un’epoca remota furono celebrate le nozze tra Partenope, Sirena e Sibilla, personificante la manifestazione della Grande Madre mediterranea, ed il dio fluviale Sebeto. Dal connubio nacquero Ninfe, Eroi e Re che dettero vita alla stirpe partenopea che reca, perciò, per via matrilineare, il nome della divina genitrice Partenope, resa fertile dalla benefica linfa del Sebeto. In queste terre venne a trapiantarsi la Tradizione Egizia che, coi suoi Misteri Isiaci ed i relativi culti, ben si coniugò alle tradizioni locali: il Nilo-Osiride fu assimilato al Sebeto, la sua sposa Iside a Partenope, ed entrambe le nobili stirpi da Essi generate poterono fondere tradizioni e culti, avendone in comune l’originaria matrice archetipica e simbolica. Quando l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. coprì di lava e lapilli le terre circostanti, e il fiume Sebeto s’inabissò nelle viscere della Madre Terra, ancor più esso parve assimilarsi alle sorti del fiume della Scienza Sacra universalmente simboleggiato dal Nilo-Osiride.
Qualunque tradizione originaria ed autentica, per quanto sommersa, è destinata ad emergere inattesa ed inaspettata. Il “Ritorno” periodico e non occasionale di Entità divine, o quello degli Eredi di una divina stirpe nei luoghi in cui trovasi occultata – ma pur sempre viva – la Sorgente che alimenta il fiume della Conoscenza vera, determina immancabilmente il riattivarsi ed il rifiorire di quegli “Organismi” costituiti e preparati per divenire nuovi Templi in cui custodire e promulgare Scienza e Verità. Perciò ogniqualvolta i Numi Viventi tornano nella terra della Sirena Partenope la Tradizione rifiorisce”. All’Accademia Sebezia l’Aureo Maestro Kremmerz volle dare, quindi, l’onore e l’onere di simboleggiare col suo nome, al di là di ogni significato filologico, l’occulto senso analogico del suo ruolo nell’ambito della S.P.H.C.I. Fr+ Tm+ di Miriam. Ecco perché l’indirizzo ed il programma speciale di studi e ricerche della Sebezia, ancor oggi impartito dalla Del+ Gen+, mira a testimoniare l’antico connubio tra la tradizione egizia e la primigenia tradizione italica, scaturite da un’unica Matrice ed entrambe convergenti ed incanalate nella nostra Schola. In altre parole i diversi gruppi di studio, con la sovrintendenza di un Fratello del Circolo Interno, hanno ricercato e continuano a ricercare in maniera consona ai tempi, le tracce più concrete e storiche nella penisola italica di una nostra tradizione occulta e magica, iniziaticamente coniugatasi ai culti sacerdotali e templari della tradizione egizia, alla quale il Maestro J.M. Kremm-Erz ha collegato la Schola. Nel tempo, ai lavori accademiali in sede si sono alternate visite ai luoghi della tradizione italica, in coerenza con gli argomenti trattati, con l’interpretazione ermeneutica ed esperenziale di antiche rituarie italiche, fatta dal Procuratore Iah-Hel. Inoltre ci si è avvalsi della collaborazione e delle conoscenze di insigni studiosi, come archeologi specializzati nella ricerca di reperti italici.
La ricerca dell’accademia Sebezia è partita primariamente dall’analisi del significato di tradizione primigenia, scendendo poi nell’identificativo di Italica e non ha tralasciato lo studio delle società paleolitiche e neolitiche, fino al nascere dei primi stati centralizzati, in cui il sempre crescente aumento demografico e di urbanizzazione determinò la perdita della conoscenza di quelle tecniche naturali che consentivano il contatto con la Madre Natura, sfociando nella necessità di un controllo sulla massa da parte di pochi depositari di quelle conoscenze, con la formazione di un potere centralizzato e con l’occultamento di quelle stesse tecniche in una dottrina iniziatica da tramandare.
Sembra inoltre dai più recenti studi che il passaggio dal Paleolitico al Neolitico, con la sostituzione della ricerca del cibo con la produzione del cibo e con la prima forma di urbanizzazione (simile al concetto moderno che ne abbiamo), abbia provocato l’insorgere di malattie e di stati di squilibrio. A sostegno della presenza di una tradizione originaria italica (per Italici vogliamo intendere le genti che in terra italiana hanno preceduto e sono state coeve al dominio romano) vanno riferite anche le parole del Kremmerz che cita scuole magiche osiridee, propriamente di origini italiche e si riferisce ad una sorgente, cui si ispira la Schola Italica da lui fondata, più antica del periodo della Magna Grecia. I Fratelli, divisi in gruppi di studio hanno perciò lavorato su tre filoni: 1°: La tradizione sapienziale italica autonoma e primigenia e sue pecularietà. Rapporti con Etruschi e Greci. – 2°: Trasformazioni e traslitterazione di essa nella cultura e nella tradizione romana. – 3°: Influssi della tradizione egizia attraverso la cultura greca, o diretti, nel mondo italico e romano. Prima di tutto si è abbandonato, dopo ampia trattazione, il principio – del tutto astratto – di una lingua, e di conseguenza cultura indoeuropea (come ebbe a dire anche il filologo Giovanni Semerano o il sinologo Martin Bernal della Cornell University) come unica matrice dei popoli italici, e ci si è accostati a quello di cultura pre-indoeuropea e mediterranea, facendo anche tesoro di quanto detto dal Kremmerz: “sono i linguisti, gli etimologi che suppongono (badate, suppongono) un gruppo indo-ariano o ariano-iranico…a questi si oppongono gli antropologi (come abbiamo constatato, ad esempio nelle opere dell’antropologo prof. G. Sergi) che, nella formazione dei crani fossili, trovano elementi che smentiscono questa ipotesi….E se io vi dicessi una mia supposizione paradossale, che cioè i proavi dei nostri proavi potrebbero essere venuti dall’Occidente?…”.
La sezione che ha studiato i primi costumi italici si è poi suddivisa in: studio dei riti e delle pratiche di ordine magico e religioso (compresa l’arte augurale); esame dei reperti archeologici e delle iscrizioni paleoitaliche (oggi, come sostiene l’archeologo M. Russo, nel quadro generale delle lingue e delle culture delle popolazioni indigene d’Italia di età arcaica si può parlare di una sostanziale unità linguistica che dal centro della penisola si estende fino alla Calabria. Tale unità obbligherebbe, secondo Poccetti, a ridimensionare fortemente la prospettiva invasionista); decifrazione dei miti latini. Ciò che ha molto colpito la nostra attenzione è stata la affinità tra gli “dei-atto” degli Italici (dei non isolati nella riservatezza dei templi individuali, ma fortemente specializzati, vere e proprie divinità dell’atto, individuate mediante le loro attribuzioni ed oggettivazioni, ossia mediante la loro azione e la funzione che dovevano svolgere e generantesi l’uno dall’attribuzione dell’altro), i Numen della religione primitiva romana, i Nether della religione egizia, e quanto espresso da Giuliano Kremmerz nel fascicolo “B” della Schola, a proposito degli elementari e dei geni. Il rito italico è indipendente dal mito e dalla lirica religiosa, ed è correlato alla sua stessa essenza funzionale. La realtà per i popoli italici è azione ed il rito ne è la proiezione concreta, poiché è esclusivamente funzionale ad una finalità o risultato.
Gli Italici avevano in sé quella genialità pratica e concreta, mai discosta dalla Natura, sinonimo per il Kremmerz di “significazione dell’equilibrio universale”. Rispetto alla tradizione egizia, la Campania è senz’altro terra eletta, sì da conservare ancor oggi un intero quartiere della città napoletana chiamato “Regio Nilensis”. I primi rapporti storici con la tradizione egizia risalgono all’ VIII secolo a.C. attraverso il porto di Pozzuoli, ed Ischia (Pithecusa), ma molte testimonianze dimostrano che risale a tempi ancora più antichi. Ed è anche significativo notare che furono i Romani, a differenza dei popoli greci, a recuperare a proprio vantaggio la tradizione più originale degli Egizi. Quanto fosse importante il culto isiaco in queste terre è anche dimostrato dal fatto che dopo il terribile terremoto del 62 d.C. che sconvolse la città di Pompei, il primo edificio ristrutturato fu proprio l’Iseum.
N.B. L’Accademia Sebezia continua a svolgere a tutt’oggi con le sue molteplici attività il suo ruolo ortodosso di Accademia Miriamica della S.P.H.C.I.