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  • tanaquilla9
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    Tendere ad integrare, laddove è possibile, “sacro e profano” , ossia ciò che riguarda la via evolutiva e le esperienze di vita quotidiana è un obiettivo importante. Se un luogo (paese, museo, area naturale, monumento, ecc.) ci fa riflettere su noi stessi in rapporto al percorso ermetico, scopriamo che i segni di quest’ultimo sono impressi da millenni in numerosissimi luoghi, messi lì come memoria dei punti cruciali di un percorso senza tempo. Alle volte basta allontanarsi poco da casa. Ma anche un incontro casuale e significativo in un viaggio, o un luogo che ci evoca qualcosa possono testimoniare uno dei tanti modi in cui la dimensione ermetica si estende alla nostra realtà di tutti i giorni. Porto esempi: come si può, girando per la Campania, non pensare all’arrivo in queste terre della sapienza egizia? quando templi, affreschi, oggetti, iscrizioni, a volte nomi – Pozzuoli ha molti esercizi pubblici chiamati Serapide, Osiride, ecc. – ce lo ricorda? Oppure la Villa dei Misteri a Pompei. Molti studiosi affermano che la megalografia nel suo insieme mostra l’esperienza misterica dell’iniziazione dionisiaca per lo più amministrata da donne. Una serie di pannelli a grandezza naturale infatti fermano scene rituali e momenti salienti del percorso misterico attraverso espedienti pittorici. A me ha sempre colpito oltremodo (e interpretato così) il pannello ove un sileno offre una coppa ad un giovane che vi guarda dentro, come per specchiarsi in essa mentre, dietro di lui, un altro identico al primo, alza alla sua destra (est) una maschera. Il giovane che si specchia, dunque, vede se stesso come maschera, e questa – secondo il rituale dionisiaco – annunciava la presenza del nume. Questa scena mi ha sempre ricordato l’anelito di ogni aspirante a che il proprio essere interiore, dopo un percorso purificatorio, venga alla luce.

    tanaquilla9
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    Grazie a Fleurdelys e a Buteo per le notizie sull’ultima scoperta scientifica in campo medico.
    Mi collego, poi, a Bell e al “continuum” della Tradizione e terapeutica Ermetica a ritroso nel tempo. A proposito della cultura alessandrina e ellenistica, accennata nell’ultimo post, ho trovato notizie interessanti sui “Terapeuti” d’Alessandria d’Egitto.
    E’ Filone (c.30 a.C.–45 d.C.) a parlare nel “De Vita contemplativa” della comunità dei Terapeuti che vivevano ovunque ma soprattutto in Egitto, nei dintorni di Alessandria, come riporta il prof. Miccinelli in “Cento anni di pragmatica fondamentale”. Erano Esseni che menavano vita contemplativa e più tardi i Cristiani che vivevano nelle solitudini dell’Egitto propiziandosi la vita celeste. In seguito la terapeutica divenne la parte della medicina che si occupa dei mezzi di guarire le infermità e addolcire i dolori. (cfr. La Scienza dei Magi, III, p. 263). Infatti la parola Therapeutès, da therapeuo, (così in Platone) ha due significati “servire, rendere un culto” e “curare, guarire”.
    Nei “Pensieri” di Marco Aurelio il terapeuta è l’uomo “attento alla sola divinità che abita in lui per circondarla di un culto sincero”, di conseguenza la therapia è il “conservarsi puro da ogni passione, dall’irriflessione e dall’umore per ciò che proviene dagli dei e dagli uomini”.
    Frammenti di papiri descrivono i Terapeuti (o asceti) di Serapide, un corpo sacerdotale, che dimorava nel grande Serapeo di Menfi e che sapeva “pregare” per la salute dei sofferenti (probabilmente attraverso i riti incubatori). Al tempo di Filone il terapeuta è colui che ha a cuore l’etica, che vigila sul suo desiderio, non per distruggerlo, ma per accordarlo allo scopo prefissato. E, il solo scopo che porti alla salute è l’Essere, il quale proviene dall’Unica Sorgente. Questa cura etica può fare di lui un essere felice, sano e semplice (cioè non duplice, non diviso, ma unitario), cioè un saggio. Inoltre egli sa pregare per la salute altrui e, ciò facendo, restituisce il sofferente a se stesso e alla sua evoluzione. Pregare per il terapeuta non è solo recitare preghiere e invocazioni, ma tenere il suo essere in contatto con l’Essere, affinché la Sua Presenza attraverso di lui si diffonda nella persona malata e infelice. (notizie tratte da: “Aver cura dell’essere. Filone e i terapeuti d’Alessandria”, Jean-Yves Leloup, Edizioni Arkeios). Ovviamente si intravede in ciò una comunità di tipo iniziatico (che qualcuno fa derivare dai sacerdoti Caldei). In fondo (in una interpretazione non letterale) sembra si stia parlando della preparazione purificatoria ed etica della Fratellanza di Myriam nella quale inoltre, grazie al collegamento gerarchico col Centro, evoluzione e terapeutica vanno di pari passo.

    tanaquilla9
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    Ti ricordo, caro Garrulo, l’intervento di Cerere6012 del 18 gennaio scorso che scriveva: “… bisognerebbe capire cosa è questo Principio e come entrare in contatto col proprio… diversamente si sta disquisendo di aria fritta!”. Non siamo filosofi parolai. Inoltre estrapolare frasi dagli scritti del Maestro Kremmerz non ci aiuta perché bisogna sempre guardare il contesto completo in cui esplica il suo pensiero. Ad esempio nella Parola al Maestro o al Taumaturgo, presenti sul sito, vi è sempre il riferimento del brano, per poterlo leggere per intero. Certamente nella Schola siamo educati mano a mano alla neutralità e all’equilibrio. Quindi a non farci condizionare da stati di bisogno ma a saperli dominare, praticamente e in ogni circostanza della nostra vita.

    tanaquilla9
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    Anni fa feci un viaggio a Cipro, l’isola di Afrodite Cypria nel Mediterraneo orientale, percorrendo in auto (la guida è all’inglese, ahimè!) la parte meridionale dell’isola che è greca, separata dalla settentrionale che è turca. L’isola – mi è rimasta impressa per la sua bellezza, dai monti Troödos al mare smeraldo – ha una straordinaria posizione geografica, incrocio di rotte tra oriente e occidente, Grecia, Egitto, Turchia, Siria, e sembra esser stata un lembo d’Asia separato dalla terraferma. La sua cultura risale a 12.000 anni fa, ed era famosa per le sue miniere di rame (cuprum). Nel paese di Kouklia vi è il santuario più antico di Afrodite che sembra risalire al 1300 a.C. La dea vi era venerata sotto forma di pietra conica, un basalto nero alto 1 mt. e 22, posizionato al centro del tempio e riconosciuto come il secondo Omphalos della terra, con funzioni di oracolo, legame fra “cielo e terra” e simbolo del culto ad un Principio Femminile ginandrico. “La pietra nera nasconde una dea senza volto che solo per amore si mostra, nel balenare di un soffio di vento”. Oggi è conservata al Museo di Kouklia, accanto al tempio, e la dea cosiffatta nulla ha a che vedere con la raffigurazione leggiadra che i Greci ne fecero. Il radicamento e l’antichità del culto di Afrodite a Cipro è il frutto di una antichissima tradizione locale connessa con i riti della fertilità e della Madre Terra, unita, fin dall’Età del Bronzo, a motivi religiosi di origine medio-orientale e alla figura di Istar-Astarte. I Greci arrivati a Cipro vi avrebbero trovato questa figura divina e se ne sarebbero appropriati, trasformandola plasticamente in quella consegnataci dalla mitologia d’epoca arcaica e classica. Le Charites (le Grazie) si presero cura di Afrodite giunta sull’isola profumandola con essenze preziose. Così dicono gli Inni Omerici. Gli scavi in un villaggio dell’età del bronzo Pyrgos-Mavroraki testimoniano l’esistenza della più antica fabbrica di profumi ed essenze per cui Cipro eccelleva nel mondo antico e il distillatore trovato a Pafos conferma la conoscenza delle tecniche distillatorie (per sublimazione e a ciclo continuo). Il passaggio dalla storia al mito e i richiami alla dea sono numerosi dappertutto. I Bagni di Afrodite, nella penisola di Akamas, raccontano l’amore della dea e di Adone; a Petra Tou Romiou, una baia a mezzaluna, è nata Afrodite, scegliendo come culla un faraglione che emerge dal mare. La spiaggia è di ciottoli dai mille colori e dalle mille venature, le acque sono cristalline. Qui, più che altrove, sono entrata in contatto con l’energia venerea di Cipro.

    tanaquilla9
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    Cara Rrosalinda insieme a Mandragola11 vogliamo ricordarti meglio l’evento cui alludi e, nel contempo, riconoscere quanto abbia sempre avuto ragione il Maestro nell’addebitarci poca consapevolezza e lucidità vivendo le esperienze nell’ambito del programma studi del Centro Elissa.
    Nel tuo post ti riferisci alla rappresentazione della “Danza delle Gru”, che abbiamo fatto al parco Montiguarnieri di Montemonaco, e dietro la quale vi era stato uno studio sulla significazione delle figure della brocca etrusca di Tragliatella del VII secolo a.C., oltre alla sapiente regia della manifestazione. Quest’ultima consisteva nella rappresentazione delle scene e delle figure che appaiono sull’oinochoe di Tragliatella. Fra queste un grande labirinto, che è stato disegnato sul prato, danzatori, una donna che sgomitolava un filo, due bambini e animali. Gli animali erano 9, per ognuno di essi era stata fabbricata la maschera corrispondente, e rappresentavano le forze della Natura. La danza delle gru sempre presente sulla brocca, era diffusa nel Mediterraneo arcaico e si ricollegava a rituali notturni femminili arcaici. Il tutto era quindi simbolico, ricco di significato e soggetto a considerazioni ermetiche. Finita la rappresentazione, poi, sempre nel parco, fu data possibilità a tutti di correre e simulare un animale, ma non certamente assegnato. Al centro Elissa il giorno dopo scambiammo considerazioni sull’avvenuto e facemmo uno studio sulla eventuale valenza dell’animale totemico individuale.
    E’ bene ricordare insieme, confrontandoci, su quanto abbiamo sperimentato. Un fraterno saluto.

    tanaquilla9
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    Condivido i sentimenti di quanti hanno scritto su Monte Sibilla e suoi dintorni e non posso esimermi dal dire qualcosa al proposito. Ci abbiamo lasciato il cuore lì… credo sia stato il periodo più felice della mia vita, il più libero, e non solo grazie a quel territorio pregno di energia sibillina. Ma per la presenza del Maestro che, prima di tutto, ce lo ha fatto conoscere. Poi ci ha generosamente posto, attraverso le numerose attività svolte in loco, nella condizione di poter cogliere con coscienza quella energia femminile e originaria che ti pone di fronte a te stesso, annullando ogni orpello. Ma… prima o poi… perché non sempre abbiamo compreso subito, bene e a pieno. Per fortuna le esperienze non si cancellano, rimangono incise nella memoria, e possono sempre dare i loro frutti.
    Anche il nostro stare insieme, raccolti intorno al Maestro, numerosi, entusiasti, affratellati, non lo scorderò mai. E ho davanti agli occhi l’immagine di tutti noi, dopo una notte passata sulla Sibilla coi sacchi a pelo, svegli all’alba, lungo il crinale, quasi in fila indiana, mentre il sole, come una stella sorgeva dietro la Corona. (La sommità del monte è circondata da roccia rosata scoscesa che, formando una sorta di muro di cinta, le ha fatto assumere la forma di una corona).
    Ricordo, come fosse oggi, la prima volta. Eravamo in tre a salire sulla Sibilla coi suoi 2100 mt. (quando ancora il fiato lo consentiva!). Dopo la fatica della salita, camminavo con grande agilità, quasi sospinta, lungo il crinale, il dorso della montagna che paragonavo a quello di un immensa creatura preistorica. Mi sembrava procedere attraverso un tempio naturale e all’aperto; la pietra rosa, alcuni scalini scavati nella roccia, la ieraticità propria del luogo, e il silenzio assoluto, mi ricordavano altro, forse il Centro-Sud America… Sembrava un viaggio iniziatico… Era maggio e c’era ancora la neve. Guardando il terreno, ad un certo punto vidi chiaramente una pietra a forma di leone, ma plastico, colorato, disegnato, fotografico… Guarda, dissi… e, distogliendo lo sguardo era già svanito. Il leone… simbolo della Grande Madre degli dei?
    Vorrei ora raccontare dell’isola di Cipro, ove nacque Afrodite. Ma il post è già lungo così e lo farò in seguito.

    tanaquilla9
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    Si, m_rosa, è vero c’è da essere felici per questa ultima scoperta italiana. L’abbiamo sentita ieri al TG e sembra dia speranza di guarigione a tante malattie genetiche e ai tumori.Si tratta di un enzima che andrebbe a colpire solo il dna malato, non danneggiando la parte sana,ed effettuando i cambiamenti voluti solo nel punto stabilito. Oppure, ascoltavo al TG,va ad attivare il sistema immunitario che tornerebbe a riconoscere le cellule tumorali per combatterle.Forse i medici potranno dirci qualcosa in più e meglio.

    tanaquilla9
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    Un libricino “Il senso artistico degli animali” di Etienne Souriau suggerisce che la Vita sia la prima artista. Vi sono fenomeni estetici-artistici di cui l’animale è individualmente causa e produttore. Queste attività affondano le radici nella vita organica il cui il fatto estetico è già presente. Riporto, sintetizzando, alcune considerazioni interessanti. “Non è all’istinto artistico del pavone che bisogna rendere gli onori. Tutto ciò è opera in lui della natura, il pavone utilizza la sua bellezza come un coreografo. Con l’attività del ragno, che trae dalla propria sostanza la seta di cui è fatta la sua tela, si inaugura la separazione fra l’opera e l’artista (l’artigiano se preferiamo): il ragno è l’artista, la tela è l’opera. Il canto dell’usignolo non è innato né ereditario ma appreso e talvolta individualmente migliorato e diversificato. Esso è per funzione rivolto verso un ascoltatore reale o virtuale. Molti indizi sostengono la sensibilità dell’animale alle forme buone del ritmo, come nella corsa del cavallo, o nei giusti cerchi su una colonna d’aria ascendente o sull’appoggio del vento, della poiana; la loro sensibilità alla bellezza, all’armonia, e alla coordinazione all’opera del fare comune oltre ad un istinto alla teatralità e alla mimica, come simulazione espressiva. Il senso artistico è evidente negli uccelli sia per la realizzazione di alcuni loro nidi, sia per la costruzione di giardini. Il Ptilonorhyncus violaceus ad esempio porta nel suo giardino (spianando, nei pressi del nido, una lunga superficie di terreno) tutto ciò che trova di azzurro: piume, pezzi di carta o di vetro. Poi coi rami appoggiati o legati dalla cima intorno ad un alberello costruisce un pergolato e lo dipinge col succo di una pianta tintoria stemperato nella sua saliva, tenendo nel becco un pezzetto di scorza per guidare il colore. Fatto questo (alcuni si dipingono il pezzo di azzurro) emette lunghi fischi ed altri uccelli della stessa specie vengono al “ricevimento”, si salutano, danzano e le coppie si formano. Sembra quasi ciò che narrano i poeti dei giardini della Regina Sibilla o di Alcina”. Il libricino conclude così: “L’uomo di oggi ama ripetersi di essere divenuto non solo padrone del mondo, ma padrone del suo destino. E questo errore, questa ingratitudine verso la vita, può costargli caro. Checché ne pensi egli è profondamente e fondamentalmente tributario del modo in cui la vita, misteriosamente, agisce in lui… E’ bene che egli resti in armonia con essa”.

    tanaquilla9
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    in risposta a: Archive.org #12030

    Grazie, Nikola, per l’utile segnalazione.

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    A proposito dei Neuroni Specchio, di cui parlava Bell il 12 gennaio scorso, chiedendosi se il loro intervento può “aiutarci a comprendere meglio il meccanismo di veicolazione e di attivazione di una Forza Terapeutica attraverso Cifre, Simboli, Immagini ecc.”, provo ad ipotizzare che questi possano spiegare, ALMENO IN PARTE, il funzionamento di un talismano. Alcuni aspetti della cultura antica degli Egizi (trattati in questo thread) sono utili a chiarire. Ritenevano che ogni cosa potesse divenire un talismano, cioè il veicolo di volontà che si lega ad esso; un oggetto animato che la riflette col concorso di: 1) immagini idonee, 2) materiale analogico (ad esempio l’oro è solare; l’argento lunare, il rame venereo, ecc.; le pietre preziose e semi-preziose avevano diverse funzioni e influenze, magnetiche), 3) colore appropriato, 4) incisioni, rese vitali da un rituale, di cifre, ideogrammi e geroglifici. In tal modo i talismani si traducevano in vere e proprie forze che realmente agivano sul beneficato, non solo proteggendolo o sanandolo, ma inducendo nella psiche di chi vi si rispecchiava, la determinazione verso lo scopo voluto. A conclusione era funzionale persino la parte del corpo su cui era portato. Bisogna ammettere che passano i millenni, cambiano gli usi e i costumi, ma ciò che riguarda l’animo umano non cambia.

    tanaquilla9
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    C’è Chi ha fatto per noi questo lavoro: noi iscritti, grazie agli strumenti che la Schola ci offre, possiamo attivare ritualmente le “forze” preposte a diverse patologie, per sanarci, poiché ognuna di queste forze è diretta ad una particolare infermità o disturbo. Queste forze hanno nome e segno grafico che le richiama, e ci è sempre stato detto che sono in noi e fuori di noi. La concezione analogica micro-macrocosmica è la medesima.
    Ora non credo che un antico egiziano, al di fuori del tempio, e nella profanità della sua vita potesse mettersi tout court in sintonia con un Neter o se fosse invece necessario attingere ad una tradizione sapienziale propria ad un corpo sacerdotale preposto a tanto.
    Se pensiamo alla nostra sperimentazione riconosciamo forze diverse e forse ci è capitato con qualcuna di esse, più che con altre, di entrare in contatto, ovverosia di avere un risultato terapeutico più preciso. Ma sempre perché siamo in catena e collegati iniziaticamente al Centro. D’altra parte il Fasciolo D della Schola si chiama “Il primo contatto”.

    tanaquilla9
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    Riprendendo quanto Buteo e Gelsomino hanno scritto, per svariate ragioni non credo sia possibile affiancare uno qualunque dei tanti percorsi orientali, approdati in Italia, a quello laico seguito nella Schola Hermetica. Prima perché, come detto già da Gelsomino, i discepoli occidentali di Maestri orientali, se vogliono progredire, e non incontrare il tale Maestro ogni tanto in un seminario, dovranno prima o poi sbarcare in Oriente in un monastero o in un ashram. Tra l’altro ho letto che una donna-monaca non abbia le stesse opportunità evolutive dei monaci in un monastero tibetano, e sia loro subordinata. Come anche mi risulta, dalla esperienza di una amica, recatasi in un ashram in India per qualche anno, per seguire da vicino l’insegnamento di una guru donna, che le erano state assegnate solo mansioni servili, mentre la Maestra pretendeva un trattamento da regina.
    Vi è dunque differenza di metodo tra i percorsi orientali e la Schola Ermetica, ma a rifletterci bene anche di finalità. Nella ns Schola la finalità, attraverso le pratiche tradizionali, è provocare la propria educazione ascensionale dirigendone l’esplicazione, in senso utile, ai dolori umani. Cioè la finalità è qualcosa di comprensibile per tutti. Invece le belle parole come “illuminazione”, come ce le possiamo spiegare? A quali stati di cui abbiamo fatto esperienza corrispondono? E’ su queste belle parole che fa presa la mistica se non si è preparati.

    tanaquilla9
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    Ciao freedom71,
    benvenuto sul Forum. Ti ringraziamo per averci partecipato le tue esperienze. Ma, se vorrai iscriverti al I corso “Carattere generale e finalità della Schola”, su questo sito, potrai notare le differenze tra il cammino miriamico e il tuo percorso. Nel corso troverai indicate anche le letture che potranno esserti utili per avvicinarti alla giusta comprensione della filosofia ermetica e potrai guardare dei video che ti chiariranno senz’altro le idee.Buon lavoro.

    tanaquilla9
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    Auguro a tutti un 2018 inizio di una nuova vita ricca d’Amore e di rinnovamento. Che ognuno possa, sappia e voglia rigenerarsi nel seno della Miriam. Auguro alla ns. Schola di essere sempre più faro di luce e porto sicuro per tutti i naviganti che si affannano nel gran mare della Vita. Che le Supreme Gerarchie, alle Quali mi permetto augurare ogni BENE, non ci lascino mai.

    tanaquilla9
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    L’argomento “Lunazioni” è interessante e complesso. Così come interessante è la discussione al riguardo che si sta formando sul Forum. Le Lunazioni sono la testimonianza di un antico sapere cosiddetto “iniziatico” del quale, scrive il Kremmerz, nessuno ha mai fatto uno schema razionale, per l’impossibilità della cosa, visto che esso sembra essere il frutto di una condizione evolutiva che intender non può chi non la vive. Basta rileggere la I puntata delle Lunazioni per averne misura. Ma di questo sapere sulle influenze lunari e siderali, precisa ancora il Kremmerz, “si conobbe solo la parte delle applicazioni esterne, unica cosa che entrava a contatto del volgo e anche questo a frammenti e a ruderi” (L,84). Allora mi chiedo: i rimedi delle Lunazioni possono aiutarci (ovviamente in primis nella loro sperimentazione) a renderci conto sempre più concretamente di cosa sia e di quanto sia fondamentale l’idea unitaria della Medicina Ermetica? Idea che prevede anche la esistenza di “occulte relazioni di tutti gli atomi dell’Universo”?. Ecco perché l’impegno dei medici della Schola a verificarne i possibili riscontri nella medicina attuale è importante.

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