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Strategie vaccinali differenti fra i Paesi dipendono da fattori vari, da scelte politiche ed economiche, da disponibilità di vaccini, più che da motivazioni scientifiche.
Penso sia opportuno ricordare che il Covid-19 è malattia recente: nei mesi di novembre e dicembre 2019 la Cina ha impattato in sintomi, che, entro breve, sono stati ricondotti a una patologia sconosciuta, battezzata Covid-19; nel gennaio 2020 si era già scoperta l’eziologia e sequenziato il virus, il che ha consentito il rapido avvio della ricerca di vaccini e farmaci. Nei primi 4-6 mesi del 2020 si sono chiarite patogenesi e fattori predisponenti e aggravanti la malattia. A oggi, tuttavia, non disponiamo di farmaci efficaci a prevenire l’aggravamento nei soggetti che inizino a manifestarlo (tutte le forme fino a questo livello guariscono da sole, senza necessità di alcuna terapia! e senza necessità di terapia a domicilio) né a curare le forme severe e critiche e, anche nelle Terapie Intensive, l’intervento terapeutico, pur di alto livello, rimane di supporto alle risorse intrinseche del paziente.
Secondo le regole che il mondo contemporaneo si è dato a tutela di tutti noi, farmaci e vaccini possono essere utilizzati solo dopo approvazione degli Enti preposti. La sperimentazione richiede tempi lunghi, perché effetti collaterali possono presentarsi a distanza di mesi o essere talmente rari da manifestarsi solo quando il prodotto sia somministrato su grandi o grandissimi numeri. Ed è ciò a cui stiamo assistendo con il vaccino di AstraZeneca: avendo somministrato milioni di dosi, sono emerse segnalazioni di eventi tromboembolici, dei quali, per quanto rarissimi, occorre escludere il nesso di causalità col vaccino.
La situazione pandemica ha, come sappiamo, obbligato all’approvazione in emergenza dei vaccini, non appena i dati abbiano dato sufficiente prova di efficacia e sicurezza. Così, sempre relativamente ad AstraZeneca, se il vaccino era stato sperimentato nella fascia di età under 55, solo per quella fascia di età poteva essere approvato. Tuttavia, nel mondo reale l’imperativo è vaccinare le fasce più anziane della popolazione. Il Regno Unito ha coraggiosamente optato di dispensarlo agli over 55, realizzando di fatto una sperimentazione ‘sul campo’, di cui già oggi vediamo gli effetti positivi.
Solo il tempo potrà fornirci i dati necessari a una campagna vaccinale ottimale. Li stiamo raccogliendo in corso d’opera, e non possiamo fare diversamente: sapendo che per ogni 1000 nuove persone infette, dalle 20 alle 30 moriranno (il 2-3% a seconda delle popolazioni) e dalle 80 alle150 porteranno esiti variamente invalidanti, non sarebbe etico un comportamento di attesa.
Dal bagaglio delle conoscenze su virus e vaccini, possiamo estrarre linee di comportamento, anche se, nello specifico, abbiamo solo parziali dati su durata e qualità della risposta immunitaria in seguito a malattia o vaccinazione.
La scelta di vaccinare i soggetti che abbiano già contratto il Covid-19 è una scelta di politica sanitaria, a mio avviso opinabile in una situazione di carenza di dosi, ma non certo dannosa per chi riceve il vaccino, anzi.
Sempre dalle conoscenze infettivologiche e immunologiche, è verosimilmente superflua la ricerca anticorpale sia pre- sia post-vaccinazione o malattia: sappiamo come possa non esserci correlazione fra livello anticorpale oggi rilevato e qualità della risposta a un successivo contatto con il virus. Inoltre, sappiamo che i rinnovati contatti col virus selvaggio, purché non mutato, o con gli antigeni presenti nel vaccino, conferiscano un naturale rinforzo alla nostra risposta immunitaria verso quel virus. Vaccinare chi abbia valori anticorpali elevati, lunghi da essere controindicato, è tuttavia, oggi, uno spreco di dosi.
Personalmente non ho dosato e non doserò la mia risposta anticorpale al vaccino ed effettuerò i richiami quando e se consigliati.in risposta a: La Natura, la Madre, la Miriam #30338Mi è successa una cosa strana M.Rosa, di non riconoscere la frase che ti ha colpito nel mio post. Poi ho capito: tu la riferisci ad Alcmena, la Donna e Madre, io la riferivo all’Eroe, il Figlio. Allora mi chiedo, se Alcmena è la migliore fra le donne e incarna il concetto espresso da quella frase, qual è la differenza fra Madre e Figlio? Nel mito il completamento è in Ercole, eppure Alcmena è perfetta. Ritornando alla Biologia, Alcmena è l’uovo, essendo l’uovo una cellula del suo organismo. Ercole nasce perché l’uovo è fecondato dallo spermatozoo di Zeus. Come ogni essere umano nasce da un uovo fecondato da uno spermatozoo. Si suole parlare di seme, liquido seminale, seme maschile. Però, cos’è il seme che germoglierà nel terreno, se vogliamo proseguire nell’analogia, se non l’uovo? E se l’uovo è così fecondato, cosa feconda il seme?
Mentre rileggo il testo del M.to M.A.Iah-Hel da te citato, mi viene in mente il culto di Aton, instaurato dal Faraone Akhenaton a metà del XIV sec. a.C. e torno a leggere l’Inno al Sole del M.to Kremmerz e l’Unità 3 del 2° modulo per Utenti iscritti e praticanti.in risposta a: La Natura, la Madre, la Miriam #30321Dal thread ‘La pandemia…’, Ippogrifo, vorrei riproporre qui il tema dell’eroe, non ‘predestinato’ tu dici, ma secondo legge di Giustizia, per indagare il rapporto tra l’eroe nella Mitologia, nella generazione per quel che sappiamo dalla Biologia, e nell’Ermetismo per l’uomo storico in noi.
Perché ritengo Ercole predestinato? Nulla affatto sinonimo di ‘facilitato’, basti considerare le sue dodici fatiche e il superamento di ‘prove’, perché ogni eroe possa definirsi tale.
Predestinato perché la nascita di Ercole fu voluta fortemente da Zeus, che per lui ricerca la donna perfetta in cui concepirlo. La donna sarà Alcmena, colei che eccelle in ogni virtù. Alcmena, la Madre. Cos’è la Madre? Cosa è il figlio? E cosa il Padre? Sappiamo che il figlio si forma nell’uovo materno fecondato dallo spermatozoo paterno. Poiché ogni bimba nasce con il proprio corredo di cellule uovo già presenti nelle ovaie, cos’è l’uovo materno, se non una delle cellule che vengono a differenziarsi per costruire l’embrione stesso, che diventerà feto e poi il neonato femmina, la bambina, la donna, la madre? E, risalendo a ritroso, sarà la madre della madre, la bisnonna, la trisavola e via via in una ascendenza in cui Zeus riconosce lo storico che andrà poi strutturandosi mentre si trasmette riscendendo di madre in figlia e in figlia, fino al compiersi dell’evoluzione, che avrà in Alcmena l’uovo che concretizza quello ‘storico’ atto a nascere per essere eroe. Il racconto mitologico sottintende che, se Alcmena non è una donna ‘qualunque’, è perché la sua non è un’ascendenza ‘qualunque’. Nelle generazioni si è srotolato il percorso di perfezionamento e, anche se il mito non lo dice, quella di Alcmena non può che essere un’ascendenza eroica. È infatti figlia di reali, essendo re e regina la summa delle qualità e dell’eroismo di un popolo. L’eroismo è femmina, perché è virtù connaturata: non può scaturire né da ragionamento né da calcolo, prevede la disposizione dell’animo alla costante e consapevole accettazione del rischio di dolore e di morte, perché così è e così deve essere, perché quello è il destino, il dovere, ciò che deve esser fatto, ciò che è giusto fare. È la completa adesione alla propria vita ed è amore incondizionato. Una virtù così primordiale non la si insegna e non la s’impara: può essere trasmessa ab initio solo e soltanto fisicamente dalla madre, nei geni, nell’utero e nei primi anni vissuti dal bimbo in simbiosi con lei. Il mito è infatti molto preciso: Zeus dedica ad Alcmena 3 giorni e 3 notti di amplessi, avendo fermato il carro del Sole, a rimarcare l’importanza dell’atto. Si impegna molto, sembrerebbe anche molto più del necessario, essendo un dio. Tuttavia, lì si conclude il suo intervento: al figlio, al futuro eroe, provvederà solo la Madre. Parimenti, qual è l’apporto biologico del padre? Lo spermatozoo inietta nell’uovo solo i 23 emi-cromosomi, che si fonderanno ai corrispondenti 23 emi-cromosomi materni: l’unione avvia la replicazione cellulare e tutto il lavoro di generazione del figlio è compiuta dalla cellula uovo, il laboratorio che struttura il nuovo essere, all’interno dell’utero della madre, dal cui corpo trae tutto il nutrimento che occorre. E noi sappiamo, dall’Ermetismo, che corpo e anima sono una cosa sola. Il Padre dell’eroe è anch’egli importante: nel racconto mitologico è il dio e, in quanto tale, trasmette geni che essendo divini, non necessitano di ulteriore evoluzione. Ecco, condivido con voi, perché auspico che alle mie si aggiungano le vostre osservazioni e che insieme possiamo un poco penetrare la realtà.Grazie Admin per aver esplicitato il nocciolo della questione. E grazie ai Fr+ e Sr+ che sono stati e sono stimolo a studio e ricerca. L’appartenenza alla Fr+ TM+ di Miriam mi porta a vedere oggi come la scienza medica sia l’erede zoppa dell’antica medicina sacerdotale, di Pitagora… L’osservazione, lo studio, la sperimentazione, le ricerche hanno attraversato nei secoli le scuole mediche e si sono immerse negli intricati labirinti della complessità delle cellule, delle molecole, delle loro forme e delle loro azioni e trasformazioni, nelle attrazioni e repulsioni degli atomi, nello studio delle cause e degli effetti, degli equilibri e degli squilibri, nella scoperta e riproduzione di metaboliti sostanze ormoni ed elettroliti… per via via risalire con interventi farmacologici o chirurgici, a riparazioni o sostituzioni di attività in organi e apparati, in una modalità sempre più ‘separata’ che frammenta, analizza ma non sintetizza… Ogni scoperta svela un tassello in più e tuttavia sempre più allontana dal centro… A 111 anni di Pragmatica Fondamentale auspico che la scienza medica compia il passo nella medicina ermetica, che ricerchi le chiavi della Magia, che il Successore del M.to Kremmerz mantiene fruibili, per perseguire la Scienza Assoluta e la Medicina Integrale.
15) E dopo aver ascoltato le canzoni, a emozionarmi solo per Vanoni e Battisti, e sì, forse Pavarotti, anche se non faccio testo perché non uso sentir musica, voglio ancora dirvi che l’8 aprile 2021 AIFA ha posto la pietra tombale sulla presunta efficacia del plasma iperimmune nelle forme gravi di Covid-19, mentre per chi rifiuti il vaccino e chieda a gran voce il farmaco, la buona notizia è il via alla sperimentazione in fase 1 del candidato antivirale di Pfizer, sviluppato da zero durante l’attuale pandemia, che, proposto per via orale, potrebbe essere somministrato al di fuori degli ospedali, se si dimostrerà sicuro ed efficace. Non resta che attendere con fiducia: se non questo, un altro o più d’un farmaco, vedrà la luce. L’approvazione vorrà i suoi tempi. Nel frattempo, magari si eviti l’infezione o si cerchi di superarla, come fa inconsapevolmente il 95% della popolazione, il più possibilmente indenni. Possibilmente, perché, oltre al long-Covid che si vede persistere in molte delle forme gravi, sempre più sono i casi segnalati in individui a basso rischio con COVID-19 lieve, che esitano in una varietà di sintomi a lungo termine.
Penso di aver concluso. Mi pongo ancora domande: è stato tempo perso? Da alcuni post, direi di sì. Ma qui è un mio peccato originale: illudermi di accedere alla conoscenza tramite le informazioni. Illudermi che le informazioni rendano fruibile la verità. Forse non è così. Men che meno per me. Avrei dovuto saperlo perché l’avevo anche letto: se vuoi sapere cos’è una cosa, devi essere quella cosa. A conferma che il percorso di conoscenza non può che essere personale. Come lo era per gli eroi: erano predestinati? Sì, certo. Ercole, un semidio. E cos’è il semidio nell’eroe se non l’uomo storico che è in noi, se noi siamo ciò che fummo? In ognuno di noi c’è o ci sarebbe un differente uomo storico. L’eroe viene da un seme semidivino: un impulso divino in un ventre materno. Poi il seme è coltivato = è educato. E-ducere, in un post si notava. Quindi il seme, quello predestinato, che la Sibilla individuava perché poneva nelle condizioni di germogliare per primo. E individuati i semi, le giuste cure. Perché il contadino non abbandona i semi nei campi: né quando li copre nella terra, né quando intravvede germoglio e poi le foglioline, né quando si accrescono gli steli… dai semi al frutto il contadino accudisce = ama. E i semi amati daranno dolci frutti. L’eroe mitologico è quel seme sano e forte, che poi sarà forgiato nell’infanzia e adolescenza, fortificato dai maestri e dagli strumenti che i maestri gli metteranno in mano. Solo a lui disponibili? Non penso. Ma penso non per tutti. Guardiamo a noi. Una piccola parte dell’umanità è nella Fratellanza. Il giorno in cui fui accolta mi fu detto ‘se sei qui, è perché già ci sei stata’. Non avevo e non ho prove della reincarnazione, né del contrario. Avevo da poco scoperto che noi occidentali abbiamo la nostra ben radicata tradizione. Cercavo il Maestro in carne ed ossa. E qui c’era. Noi Sorelle e Fratelli abbiamo gli stessi Maestri, che a tutti noi mettono nelle mani gli stessi Strumenti. Eppure, c’è chi fra noi diventa Maestro e chi, come me, è fuori dal tempio, chi fatica e chi corre leggero… Chi sono io? Non è sufficiente poter accedere alle medesime informazioni, si deve acquisire e conquistare la conoscenza…14) Ora parliamo di terapia, precoce e tempestiva.
Poiché l’80% degli infetti guarisce spontaneamente in pochi giorni e con pochi o nulli sintomi, percentuale che raggiungerà circa il 95% in 15-20 giorni, possiamo considerare eticamente (e anche economicamente) corretta la somministrazione precoce di farmaci antivirali o immunomodulanti (Ig iperimmuni) a tutti? Ammesso, e non concesso, che esistano e che ne disponiamo.
In (10) riportavo, a titolo di esempio, la modalità di intervento validata nella prevenzione della trasmissione, dalla madre al neonato, del virus dell’epatite B, responsabile di patologia frequentemente grave. Poiché è certo che il contagio avvenga al parto, s’interviene entro poche ore dallo stesso, con Immunoglobuline iperimmuni e vaccino, perché sappiamo che qualunque terapia con anticorpi, che siano Ig iperimmuni o monoclonali, ha effetto solo se precocemente somministrata. Se aspettassimo l’insorgenza di sintomi o segni di epatite, possibili anche dopo anni o decenni, il loro utilizzo non arrecherebbe beneficio: questi motivi giustificano assolutamente la somministrazione di Ig iperimmuni al neonato sano.
Ma può essere altrettanto giustificato l’impiego di anticorpi ove il 95% degli infetti presenti forma asintomatica o lieve-moderata e guarisca spontaneamente in pochi giorni?
Le immunoglobuline iperimmuni, per qualunque patologia siano confezionate, sono un emoderivato, ottenuto dalla lavorazione industriale di migliaia di donazioni di plasma di soggetti vaccinati o guariti dalla malattia per la quale si ricercano gli anticorpi. Sono disponibili preparazioni per infusione endovenosa, intramuscolare e sottocutanea. Per il SARS-CoV-2 non esistono preparati e, anche se ne disponessimo, la loro somministrazione, che deve essere precoce, quindi avvenire nelle fasi iniziali della malattia, sarebbe uno spreco immorale. Perché le immunoglobuline sono preziose e vanno riservate a portatori di patologie rare o a prevenire/trattare infezioni a decorso invariabilmente grave.
Stesso discorso per gli anticorpi monoclonali: molto costosi, potrebbero diventare disponibili in grande quantità, ma è ingiustificato il loro uso nelle fasi iniziali sia per i possibili eventi avversi, sia per il costo elevato. Più giustificato, sul piano teorico potrebbe apparire l’utilizzo dei monoclonali ad azione antinfiammatoria nelle fasi severe. Peccato che dagli studi non emerga efficacia significativa.
Il plasma iperimmune contiene sì anticorpi anti-SARS-CoV-2 ed è anch’esso molto prezioso. La sperimentazione nelle forme critiche non ha sortito i risultati sperati, probabilmente essendo i pochi vantaggi più da correlarsi ai componenti plasmatici piuttosto che agli anticorpi presenti.
I farmaci antivirali, attualmente proposti, sono scelti fra quelli in sperimentazione o già approvati per il trattamento di infezioni causate da altri virus, come HIV, virus dell’epatite C e B, dell’influenza. Perché abbiano una possibile efficacia, devono essere somministrati in fase molto precoce: vale quindi il discorso di cui sopra.
Dobbiamo ammettere che al momento non esistono terapie antivirali o immunomodulanti o altre terapie efficaci per il trattamento del COVID-19.
Di integratori, qualsiasi essi siano, non voglio nemmeno parlare, come di qualsiasi altro prodotto sia apparso o appaia da qui in poi pubblicizzato su qualsivoglia rivista generalista, scientifica o pseudotale. Fin troppo facile, nonché immorale, millantare meriti dove il 95% della popolazione guarisce spontaneamente. E guarisce grazie all’eccezionale sistema immunitario di cui siamo andati dotandoci nel trascorrere di millenni e millenni.
L’unico strumento scientificamente ed eticamente valido è il vaccino.14) Ora guardiamo i numeri. Prendiamo i dati ufficiali del giorno 05 aprile 2021 (Aggiornamento casi Covid-19, Ministero della Salute – Istituto Superiore di Sanità):
570.096 persone sono il totale dei soggetti con infezione da SARS-CoV-2 = questo è il 100% dei positivi (accertati) in Italia al giorno 05/04/2021.
537.574 persone sono in isolamento domiciliare = il 94,3% ca. degli infetti sono a casa perché o asintomatici o con sintomi lievi o moderati, senza necessità di terapia, se non blando supporto.
28.785 persone sono ricoverate in reparti Covid = il 5% ca. ha una forma severa o moderata in aggravamento.
3.737 persone sono ricoverate in Terapia Intensiva = lo 0,7% ca. ha una forma critica. La mortalità sarà dal 40% al 70%.
Il 2% del totale di tutti gli infetti non sopravvivrà.
Sappiamo che sono a rischio di forma severa e critica i soggetti più anziati e quelli con alcune patologie preesistenti all’infezione, variamente associate fra loro. Ma sappiamo anche che buona parte di coloro, che appartengono a categorie ritenute a rischio, supera indenne o con lievi sintomi l’infezione. Come sappiamo anche che chi appaia in buona salute può manifestare forma che improvvisamente diventa grave: ricordiamoci del paziente n.1 di Codogno, un maratoneta…13) In alcuni post si notava che l’interesse dell’industria farmaceutica sembra indirizzato alla ricerca e produzione di vaccini per il SARS-CoV-2, piuttosto che a farmaci per la cura.
Su AIFA possiamo leggere quali molecole siano oggetto di ricerca, quanti e quali studi siano in corso in Italia, quali in collaborazione internazionale, quali siano stati interrotti o conclusi, quali i risultati preliminari.
In altri post, da media e internet, si riprendono esempi di successi nella cura precoce del Covid-19, dai quali emergerebbe una non velata denuncia di mancato o ritardato intervento medico, responsabili di progressione drammatica della malattia. Più medicina del territorio, più cure subito al domicilio e, così, nessun ricovero! Già, molto accattivante! Sarà davvero così?
Innanzitutto, uno sguardo, anche veloce, a quella che è l’evoluzione naturale della malattia dal suo inizio, quindi dal contagio, perché l’intervento medico deve, ovviamente, rapportarsi alla patologia nelle sue fasi e alle condizioni di base del paziente, con attenzione al rapporto costo/beneficio, dove il costo non è solo da intendersi in termini economici, ma in potenziali effetti avversi dei farmaci.
Il contagio: nel caso del SARS-CoV-2 quasi mai conosciamo quando l’infezione avviene. Potremmo venire a sapere di essere stati in contatto un certo giorno con un soggetto risultato poi positivo, oppure potremmo iniziare a manifestare sintomi, senza avere idea della tempistica del contagio. Però sappiamo che appena il virus raggiunge le vie nasali, inizia a replicarsi nelle cellule della mucosa e sappiamo che subito il sistema immunitario attiva prontamente i fattori della risposta immunitaria, sia ‘innata’ sia ‘ritardata’ (v. post precedenti). E qui, da subito, entra in gioco la variabile individuale: se consideriamo tutti i soggetti attualmente infetti, un’altissima percentuale di loro risponderà così efficacemente da evitare la comparsa di qualsiasi sintomo: è importante sapere che tutti, quindi sempre il 100% degli infetti, presentano un periodo d’incubazione asintomatico di 5-7 giorni, durante il quale il virus si replica e il contagio si trasmette.
Tolti coloro che resteranno asintomatici fino alla completa eliminazione del virus, nei successivi 5-7 giorni tutti gli infetti inizieranno a manifestare sintomi, secondo lo spettro della malattia, che saranno lievi e tali da non consentire, né i sintomi, né la visita medica, né le eventuali indagini di laboratorio o strumentali, di prevedere per il singolo l’evoluzione. Ma, sicuramente, entro i successivi 5-7 giorni, almeno l’80% di tutti coloro che hanno contratto il virus, o persiste asintomatico o va incontro a risoluzione spontanea della Covid-19.
Nel restante 20% dei casi, verso la fine della settimana in cui sono comparsi i sintomi, si osserva aggravamento per progressione dell’infezione alle vie polmonari o ad altri organi. La malattia evolve in quella che è detta fase moderata, con comparsa di tosse, generalmente senza affanno e auscultazione toracica da parte del medico facilmente silente, nonostante possano esserci iniziali lesioni al polmone. L’ossigenazione del sangue, misurabile con gli ormai noti ossimetri, inizia a scendere, ma a livelli non ancora preoccupanti e può esserci un po’ di affanno col movimento fisico, oltre ad altri sintomi associati alla malattia. Tuttavia, circa un altro 15% del totale di quei contagiati iniziali, nei successivi 5-10 giorni al massimo, andrà in remissione spontanea.
In genere, solo quando saranno trascorsi circa una quindicina di giorni dal contagio, quel restante 5% inizierà a presentare desaturazione di ossigeno e peggioramento clinico, entrando nella fase grave della malattia. A questo punto, se vogliamo avere una speranza di non perdere il paziente, dobbiamo tempestivamente procedere al ricovero. Non è possibile curare il paziente a casa, sia perché non disponiamo di farmaci utilizzabili al domicilio, sia perché occorre non solo somministrare ossigeno, ma monitorare e mantenere stabili i parametri vitali, con mezzi strumentali e laboratoristici, supportare l’equilibrio metabolico e fornire attento e adeguato apporto terapeutico, pur in assenza, a oggi, di farmaci che abbiano dato sicura prova di efficacia, anche per uso ospedaliero. E, di nuovo, importanti saranno le risorse proprie di ogni organismo.“Regno Unito, zero morti dopo mesi di Lockdown con scuole CHIUSE!
Francia, boom di contagi e morti dopo mesi di Lockdown con scuole APERTE!
Italia, tutta rossa e arancione, scuole APERTE e… 500 morti al giorno”
Un collega scriveva così ieri. Mi sembravano sufficienti queste 3 righe, Mandragola. Poi leggo che il 19/03 il Primo Ministro del Belgio dichiarava che ′′Dalle analisi dei contatti, possiamo vedere che le scuole sono luoghi chiave dove si verificano molti contagi. I bambini s’infettano lì, portano il virus a casa, possibilmente infettano i loro genitori…”, che in Svezia risalgono contagi e livello di occupazione nelle Terapie Intensive, che nel sud del Brasile si sta registrando un improvviso aumento della mortalità dei casi di COVID-19 tra giovani e adulti di mezza età, probabilmente correlato alla circolazione di un nuovo ceppo.
E avevo letto invece che il nostro governo riapre le scuole avendo a riferimento uno studio a nome di S. Gandini et all., edito su ‘The Lancet Regional Health’, che non è affatto The Lancet, ma una nuova rivista collaterale del Lancet Publishing Group, facente parte del colosso dell’editoria scientifica Elsevier, che accetta publication free, senza peer-review e anche con esborso economico da parte degli autori. Lo studio riferisce dati raccolti dal 12/09 al 08/11/20, quindi a inizio 2° ondata, in epoca pre-variabili, e opinabili in quanto un contact tracing in Italia non è mai stato fatto correttamente.
Se devo riferirmi all’esperienza nella bassa Lombardia, dove ora le varianti rappresenterebbero il 70% delle infezioni, posso dire che, nei mesi di febbraio e inizi marzo, in piena apertura delle scuole, le classi, dai nidi in su, si andavano svuotando per il rimpallo dei contagi fra bambini/ragazzi, personale e insegnanti. E che ora riscontriamo, in bambini o ragazzini peraltro asintomatici, positività del tampone di controllo al 14mo giorno di isolamento dal contatto con il caso positivo, in accordo con l’aumentata infettività dei ceppi circolanti.
Come potrebbe non essere che il virus circoli in scuole e asili per quanto circoli nella società fra le persone e viceversa? Non è così per i vasi comunicanti?(12) La produzione di anticorpi monoclonali (mab = monoclonal antibody) avviene attraverso una serie di passaggi:
1. s’immunizza un topo, iniettando (come un vaccino) l’antigene verso il quale vogliamo ottenere anticorpi. I linfociti del topino reagiranno contro l’antigene, differenziandosi nella produzione degli anticorpi necessari a eliminarlo;
2. si prelevano i linfociti così attivati dalla milza o dai linfonodi, sacrificando l’animale; si pongono in terreni di coltura perché si fondano con una linea cellulare ‘immortalizzata’. I partners di fusione migliori per i linfociti B sono le cellule di mieloma umano (tumore del sangue), perché trasmettono la loro capacità di sopravvivenza, dando ibridi stabili.
3. solo le cellule ibride (ibridomi) potranno sopravvivere e produrranno anticorpi. Si semina un ibridoma per pozzetto, si selezionano i pozzetti positivi (contenenti l’anticorpo della specificità voluta) e si clonano queste cellule.
Con questo procedimento i cloni di ibridoma crescono in colture su larga scala e forniscono grandi quantitativi di anticorpi. Tuttavia, essendo costituiti da sequenze proteiche murine, sono riconosciuti dal sistema immunitario dell’uomo, che reagisce, formando anticorpi umani anti-topo. La rapida eliminazione dal circolo che ne consegue, non solo ne riduce l’efficacia, ma è causa di possibile tossicità per il paziente.
Per ovviare al problema, si ricorse a strategie di DNA ricombinante nell’intento di ottenere anticorpi monoclonali più umanizzati e meno reattogeni. Le prime modifiche portarono alla realizzazione di un anticorpo chimerico, con una regione murina e le porzioni restanti umane, riducendo ma non eliminando totalmente il rischio di immunogenicità. Il passo successivo fu produrre anticorpi umanizzati, nei quali le sequenze murine fossero sostituite da sequenze umane ad eccezione di quelle che si trovano all’interno delle regioni, che determinano la complementarità di legame con l’antigene.
La produzione di anticorpi totalmente umani, non reattogeni, fu possibile con lo sviluppo di tecniche che utilizzavano fagi e, più recentemente, topi transgenici. Di seguito i passaggi:
1 – In cellule staminali embrionali di topo, sono stati inattivati i geni preposti alla sintesi delle catene degli anticorpi murini. Con queste cellule sono stati generati topi omozigoti (a) che avevano perso la capacità di formare anticorpi di topo.
2 – In altre cellule staminali embrionali di topo sono stati introdotti i geni per la sintesi degli anticorpi umani. Con queste cellule sono stati generati topi transgenici (b) in grado di produrre sia anticorpi umani sia anticorpi di topo.
3 – I topi (a) che avevano perso la capacità di produrre gli anticorpi di topo sono stati incrociati con i topi transgenici (b): da questo incrocio è stato selezionato il ceppo di topi (c) capaci di produrre anticorpi completamente umani e incapace di produrre anticorpi di topo.
4 – I topi (c) vengono immunizzati, iniettando l’antigene verso il quale si vuole produrre l’anticorpo. Successivamente, dalla milza si prelevano i linfociti B che si sono differenziati nella produzione degli anticorpi voluti, per fonderli con linee cellulari rese immortali (da mieloma umano) ottenendo gli ibridomi. In questo modo si ottengono dall’ibridoma anticorpi monoclonali completamente umani.
La tecnologia degli ibridomi è particolarmente vantaggiosa dal punto di vista produttivo, perché ogni ibridoma può essere selezionato per la produzione di anticorpi con la specificità, l’affinità e l’attività desiderate, può essere coltivato indefinitamente e produrre grandi quantità di anticorpi identici.
Possiamo facilmente riconoscere la tipologia degli anticorpi monoclonali leggendone i suffissi: -mab = monoclonal antibody
murini (-o-mab), interamente derivati da anticorpi di topo. Altamente reattogeni.
chimerici (-xi-mab), in cui alcune parti sono derivate da anticorpi di topo e altre sono di origine umana. Possono causare allergia.
umanizzati (-zu-mab), in cui la struttura deriva in preponderanza dagli anticorpi umani, ad eccezione della parte che si lega all’antigene bersaglio, ancora murina.
umani (-u-mab o -mu-mab), in cui la struttura dell’anticorpo è interamente umana, nonostante a produrla sia sempre un ibrido uomo-topo.(11) Abbiamo visto come l’efficacia delle Immunoglobuline specifiche, somministrate tramite Plasma iperimmune o concentrato di Immunoglobuline iperimmuni, sia massima in prevenzione (profilassi dell’epatite B) o nelle fasi primissime della malattia. Questo vale per tutte le malattie infettive per le quali ne sia approvato l’uso, come per il Covid-19. La motivazione è facilmente intuibile riallacciandosi alla modalità di azione degli anticorpi (v.9-10 e prec).
La normale produzione anticorpale del sistema immunitario, contro microrganismi tossine cellule modificate quali le tumorali, è policlonale, consiste cioè in una miscela di anticorpi aptene-specifici. Ogni anticorpo è prodotto da un clone, una colonia di cellule formatasi per replicazione di un unico linfocita B, che si è differenziato nella produzione di copie di quel solo specifico anticorpo. Avendo la maggior parte degli antigeni numerosi apteni, in circolo troveremo tanti specifici anticorpi per quanti cloni cellulari si saranno generati in risposta ai diversi determinanti antigenici. Alcuni anticorpi saranno poco efficaci, altri invece molto: i cosiddetti anticorpi neutralizzanti, quelli che ricerchiamo a scopo terapeutico. L’affollamento dei molti anticorpi nel plasma, potendo interagire anche con differenti sostanze, può dare reazioni indesiderate, sia in fase di somministrazione, che deve avvenire in ambiente ospedaliero, sia successivamente (trombosi, insufficienza renale). Inoltre complica il procedimento di estrazione delle dosi di Immunoglobuline iperimmuni dal sangue delle donazioni, perché occorre eliminare tutti gli anticorpi non voluti.
La soluzione sarebbe isolare e replicare in laboratorio quei linfociti che si sono specializzati nella produzione di quell’anticorpo, per ottenere grandi quantità di anticorpi uguali fra loro, monoclonali perché prodotti da un clone di cellule. Ma i linfociti B, coltivati in vitro, hanno vita breve e non sono inutilizzabili per la produzione industriale. La soluzione arriva nel 1975, con l’invenzione dell’ibridoma (Premio Nobel nel 1984), che permise di produrre in laboratorio anticorpi monoclonali, uguali fra loro, che riconoscono e reagiscono con un solo specifico aptene (= porzione di antigene). Il primo monoclonale fu approvato nel 1986 dalla FDA, per prevenire il rigetto dei trapianti. Oggi il loro utilizzo è in molti campi, sia a scopo terapeutico, dove si sfruttano le azioni immunosoppressiva o antinfiammatoria o antitumorale, sia a scopo diagnostico.
Isolato il SARS-CoV-2 nell’inverno 2020, la ricerca si è indirizzata agli antigeni maggiormente responsabili dell’invasività del virus e agli anticorpi neutralizzanti nel sangue di soggetti convalescenti da Covid-19, sia per utilizzarli come emoderivati, sia per produrre anticorpi monoclonali, perché, pur essendo il procedimento complesso e costoso, consente di ottenere grandi quantità dell’anticorpo voluto. Tuttavia, il trattamento con monoclonali non ha dato i vantaggi sperati a malattia conclamata e il loro utilizzo rimane raccomandato alle sole fasi iniziali (possibilmente prima che si manifestino i sintomi e soprattutto prima che siano evidenti i segni di interessamento polmonare) e limitatamente ai soggetti più fragili, che, per mancanza di disponibilità di vaccini, ancora non siano stati vaccinati.
Vediamo come si producono gli anticorpi monoclonali.(10) Vediamo una situazione di utilizzo di Immunoglobuline specifiche nella profilassi di una patologia infettiva, l’epatite nel neonato figlio di portatrice del virus dell’epatite B (HBV).
L’HBV è trasmesso nell’adulto per contatto con sangue infetto e con secrezioni genitali o saliva. Nel bambino, invece, la trasmissione più comune avviene nel periodo perinatale, in linea verticale dalla madre infetta durante il parto o appena dopo. Poiché il virus non si trasmette al feto in gravidanza, è possibile profilassare il neonato somministrandogli, entro 12/24 ore dalla nascita, una dose di immunoglobuline specifiche anti-virus epatite B (HBIG) intramuscolo, contemporaneamente alla prima dose del vaccino anti-epatite B, il cui ciclo sarà completato secondo il calendario vaccinale.
Perché Immunoglobuline specifiche anti-HBV più vaccino anti-HBV?
Il bambino nasce senza anticorpi contro il virus, quindi sfornito dei proiettili ad alta precisione: le HBIG sostituiscono questi proiettili. Potrà infettarsi al parto e anche successivamente, perché succhierà al seno e nel latte potranno esserci tracce di sangue per ragadi al capezzolo e perché, in ogni caso, la stretta simbiosi che vivrà con la madre comporterà, anche nei mesi successivi, un rischio di trasmissione del virus, ad es. per scambi di saliva. Se le HBIG (i proiettili ad alta precisione dei paracadutisti -v.9) lo supportano nell’immediato, il vaccino attiva le cellule di difesa a produrre gli anticorpi, quei proiettili che lo proteggeranno dagli ulteriori contatti col virus, rimpiazzando le HBIG che vanno progressivamente a esaurirsi.
Una parentesi: più del 90% dei bambini che si infetta alla nascita diventa portatore cronico, mentre il rischio scende al 25-60% per l’infezione contratta in età prescolare e al 5% nelle età successive, come per l’adulto. Pur evolvendo in generale in forma benigna, perché pochi sono i casi particolarmente gravi, i portatori cronici sviluppano nel tempo gravi danni al fegato e facile progressione in cirrosi ed epatocarcinoma, a distanza di 30-40 anni. Il rischio quindi è tanto più grande quanto più precocemente è avvenuto il contagio, pertanto è massimo negli adulti che hanno contratto l’infezione da neonati. Nonostante la corretta profilassi alla nascita un piccolo numero di neonati di madri portatrici croniche di HBV s’infetterà comunque; tuttavia la vaccinazione anti-HBV, obbligatoria in Italia dal 1991, ha ridotto del 70% il rischio di cancro al fegato.
Anche sapendo che le immunoglobuline, nonostante il miglioramento dei processi di produzione, rimangono, in quanto plasmaderivato, un possibile veicolo di infezioni e abbiano un rischio di reazioni avverse, pensiamo accettabile non profilassare quei neonati, con immunoglobuline e vaccino, facendoli incorrere con grande probabilità, in cirrosi o cancro al fegato intorno ai 40 anni?(9) Ritorniamo alla terapia in corso di Covid-19. Se, nel trattamento delle forme severe, la somministrazione di plasma iperimmune non offre vantaggi rispetto al plasma normale, avranno un significato le immunoglobuline specifiche o iperimmuni o neutralizzanti il SARS-CoV-2?
Le immunoglobuline iperimmuni sono il concentrato di anticorpi specifici, ottenuti per estrazione industriale dalle donazioni di sangue di migliaia di soggetti convalescenti con alto titolo dell’anticorpo che si sta ricercando (v.7); sono molto efficaci nelle fasi iniziali di infezioni, per fermare la progressione in malattia.
Ritorniamo alla metafora della piazza (v.5) quando incominciava l’invasione dei terroristi. Consideriamo un soggetto, non immune, né per malattia naturale né per vaccinazione, che inizi a essere infettato dal SARS-CoV-2: non ha anticorpi specifici, quindi non dispone di corpi speciali armati con proiettili ad alta precisione, ma, stavolta, un paese amico invia un plotone di paracadutisti perfettamente equipaggiati, che inizia con successo a colpire i terroristi in sua vece. Però i proiettili vanno esaurendosi e altri terroristi continuano ad arrivare… e, intanto che i paracadutisti sparano, si affanna senza sosta ad assemblare i ‘propri’ proiettili, in dura lotta contro il tempo, perché siano pronti prima che si esauriscano i rinforzi… Dipenderà dalla quantità di terroristi (carica virale) e forse occorrerà anche l’intervento della fanteria con bombe a mano (risposta immunitaria innata) e i conseguenti danni, che probabilmente rimarranno limitati, perché il sistema è molto efficiente a costruir proiettili per i propri corpi speciali (risposta immunitaria specifica). Non appena è assemblato il giusto prototipo (Ig neutralizzanti), la produzione è prontamente avviata e procede lesta e inarrestabile. E adesso, che arrivino pure in quanti terroristi vogliano, qui ormai si è ben equipaggiati.
Tutto molto bello! Possiamo vantaggiosamente servircene per combattere il SARS-CoV-2?La sospensione della somministrazione del vaccino AstraZeneca da parte di EMA e di AIFA è un fatto dovuto, assolutamente non determinato dalla necessità di una verifica delle condizioni di sicurezza, ma d’allarme artatamente creato nella popolazione da ‘grida’ sulla stampa generalista.
Io non ho le competenze per indagare le motivazioni degli annunci lanciati sui media.
Però mi chiedo: se al 28/02 l’Ente inglese per il farmaco MHRA segnalava 227 decessi dopo aver somministrato Pfizer e 275 dopo aver somministrato AstraZeneca, come è possibile che il Regno Unito non abbia fermato la campagna vaccinale? Anzi, che l’abbia intensificata, arrivando a oggi a oltre 23 milioni di dosi? In UK dove, al 28 febbraio 2021, risultando effettuate 10,7 milioni di dosi di vaccino Pfizer e 9,8 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca, è deceduto lo 0,0021% delle persone dopo esser state vaccinate con Pfizer e lo 0,0028% delle persone vaccinate con AstraZeneca.
Sarà forse perché nella società normalmente le persone muoiono per le ragioni più disparate? Sarà perché a chi abbia in corso una patologia ancora non manifesta, accadrà che la stessa si presenti secondo il decorso naturale delle cose?
E in Israele? Dove hanno vaccinato più del 50% della popolazione, e quella anziana, quindi più a rischio di morire per qualsiasi causa, non è ovvio che più del 50% delle persone che stanno morendo abbia ricevuto il vaccino negli ultimi 3 mesi? E, in effetti, è ciò che accade in Israele. Dove accade che il tasso stimato di contagi da coronavirus continui a diminuire, che lo scorso fine settimana siano stati ammessi spettatori vaccinati negli stadi delle partite di calcio; dove dalla prossima settimana potranno entrare in piscine, palestre, ristoranti, hotel e altri siti anche i bambini e le persone non vaccinate, purché all’ingresso si sottopongano a un tampone rapido; dove torneranno in aula altre decine di migliaia di scolari e studenti, oltre a quelli che vi sono già tornati con il recente allentamento delle misure anti-contagio. E dove, al momento, non sono previste ulteriori restrizioni in occasione della Pasqua ebraica, che inizia il 27 marzo, né del Ramadan, che inizia il 13 aprile.(8) La somministrazione di plasma è terapia di emergenza, che si attua in ambiente ospedaliero, per contrastare un evento emorragico grave in insorgenza o già in atto, come in corso di CID (coagulazione intravasale disseminata), una reazione a cascata, difficilmente responsiva, che consuma i fattori della coagulazione causando emorragie disseminate negli organi e facile evoluzione all’exitus. I pazienti affetti da Covid-19 grave, in fase avanzata, vanno incontro a CID: questo giustifica il trattamento con plasma, per il necessario apporto di fattori della coagulazione al paziente che sta consumando tutti i propri. Insieme all’ossigeno, al controllo metabolico e ai farmaci cui si ricorre nelle Terapie Intensive.
Dai risultati pre-print di uno studio di fase 2 controllato, in doppio cieco, multicentrico, condotto da aprile novembre 2020 in cinque ospedali a New York e Rio de Janeiro, in adulti con COVID-19 di grado severo, randomizzati al plasma iperimmune (da convalescenti guariti da Covid) rispetto al plasma ‘normale’ di controllo, a 28 giorni non risulta alcun miglioramento significativo dello stato clinico nei partecipanti trattati con plasma convalescente. Eventi avversi gravi si sono verificati nel 27% dei trattati con plasma iperimmune e nel 36% degli altri (differenza non significativa).
Consideriamo che le sperimentazioni propongono la somministrazione di ‘plasma’ iperimmune (che contiene sì immunoglobuline specifiche anti-SARS-CoV-2, ma soprattutto i fattori della coagulazione) e non di ‘siero’ iperimmune (che è il plasma con immunoglobuline, ma privato dei fattori della coagulazione). L’apporto di anticorpi specifici nella fase di Covid-19 severo non ha un razionale. Il ché è comprensibile se ritorniamo alla metafora della piazza invasa dai terroristi (v.5), alla seconda ipotesi, quando i corpi speciali arrivano tardi: lo scempio ormai è fatto, la distruzione troppa… il polmone è ormai invaso di cellule, non respira più… Se anche gli anticorpi riuscissero a far uccidere tutte le cellule invase dai virus, questo ‘massacro’ richiamerebbe altre cellule negli alveoli polmonari, a ripulire dalle ‘carcasse’ di cellule morte. E là, dove l’albero polmonare (v.2, i grappoli di palloncini) dovrebbe presentarsi in delicate trabecole rigonfie d’aria, si sono ormai formate stratificazioni di cellule, che rendono il tessuto polmonare simile a quello epatico, dove gli scambi gassosi non possono verificarsi più.
Le cure in Terapia Intensiva e Subintensiva sono indispensabili e fanno la differenza per molti, ma non per tutti: i dati a livello mondiale riportano fra il 30 e il 60% dei decessi. Alla base c’è un organismo, con tutto il suo vissuto, che ora è invaso dal virus e che ha una propria capacità responsiva alle cure ‘millimetricamente’ calibrate sui suoi parametri vitali. E noi miriamici abbiamo imparato che non esistono interventi miracolistici. Esistono volontà conscia e capacità innata di inglobare e attivare in sé ciò che l’ambiente mette a disposizione (qui le cure in Terapia Intensiva), proprio come fa la cellula uovo fecondata, il seme interrato, e qualsiasi essere sulla nostra Terra o, forse, Universo. -
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