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in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #12319
Da sempre si è cercato di modificare i prodotti agricoli e di allevamento con incroci, innesti, fermentazione, ecc., ma è dagli anni 1980 che la messa a punto di metodiche, conseguenti alle acquisizioni di biologia molecolare e d’ingegneria genetica, ha apportato cambiamenti sostanziali.
S’iniziò alla fine degli anni ’70 con la sintesi della somatostatina e dell’insulina. Ben presto la tecnica si estese dal settore farmaceutico e medico agli altri settori: la possibilità di analizzare struttura e funzione dei geni, di manipolarli, di costruire geni sintetici, di assemblarli nel genoma della cellula originaria o di altra cellula di animali o piante superiori, ha dato il via, nel settore alimentare, agli Organismi Geneticamente Modificati (OGM), il cui fenotipo esprime caratteri ritenuti utili e migliorativi. Importanti campi di applicazione diventano l’agricoltura, la zootecnia, l’industria agroalimentare. Le principali colture OGM coinvolgono il mais, il cotone, la soia, la colza e la barbabietola da zucchero. Si ottengono piante GM (geneticamente modificate) per trasferimento nel patrimonio genetico di geni finalizzati al rendimento produttivo, alla diversificazione dei prodotti, al miglioramento della qualità, alla resistenza a erbicidi a patogeni e parassiti, a stress ambientali (aridità, salinità delle acque o del suolo, gelo).
In zootecnia si mira a migliorare la produttività, la riproduzione; si agisce sulla linea germinale per trasmettere determinati caratteri alla progenie, ad es. per aumentare nelle vacche la produzione di latte o ottenere una composizione più favorevole alla caseificazione.
Se in generale non vi sono remore nei confronti delle biotecnologie in campo farmaceutico e medico, così non è nel settore alimentare, dove la produzione di OGM è causa di dispute e polemiche per timore di eventuali danni sia alla salute, per ingestione di cibi modificati, sia all’ambiente, per diffusione di specie aliene. Questo ha fatto sì che ovunque nel mondo gli OGM siano registrati e regolamentati e, quindi, che in alcuni paesi siano coltivati e consumati, mentre in altri, come l’Italia, si possano importare e utilizzare, ma non coltivare. A oggi, a livello mondiale, sono stati autorizzati più di 140 OGM.
L’Unione Europea ha reso obbligatoria l’etichettatura di tutti i prodotti che presentano un contenuto di OGM superiore allo 0,9%. Tale soglia di tolleranza si applica agli OGM autorizzati in Europa; per quelli riconosciuti al difuori scende allo 0,5%. Per gli altri vige la tolleranza zero.
Tutto il processo di produzione degli OGM prevede fasi complesse, tempi lunghi, laboratori adeguatamente attrezzati ad alta specializzazione, di conseguenza costi elevati.
La biotecnologia classica lascia tracce negli OGM, perché oltre al gene trasferito s’inseriscono altre sequenze geniche, come il “promotore” e altri geni ausiliari: sono queste tracce, insieme al DNA modificato, a permettere il riconoscimento in laboratorio delle cellule che sono state trasformate.
Quello che la metodica CRISPR-Cas9 consente è, invece, modificare il genoma mimando ciò potrebbe avvenire in natura con una mutazione spontanea. Ovviamente alla fine il risultato è lo stesso, ma non rimanendo traccia della mutazione genetica effettuata, il prodotto non può essere classificato fra gli OGM (pur essendolo a tutti gli effetti), quindi diventa libero sul mercato e non soggetto a regolamentazione.
L’altra evenienza importantissima è che la tecnica costa pochissimo e non richiede laboratori sofisticati: è già possibile acquistare via internet piccoli kit per fare l’Editing con la CRISPR, a costi inferiori a 200$. (http://www.the-odin.com/diy-crispr-kit/)
Diventerà quindi oltremodo difficoltoso voler discriminare fra cibi ‘buoni’ e ‘cattivi’: non ci saranno etichettature, salvo modifiche normative, che segnaleranno gli alimenti manipolati geneticamente. Cosa che peraltro già accade oggi, essendo registrati come OGM solo quegli organismi sui quali si sia intervenuti con tecniche di bioingegneria e non quelli il cui DNA sia stato modificato con altre metodiche. Un esempio su tutti il cereale Tritordeum, creato in laboratorio, ma spacciato per alimento ‘naturale’ e venduto nei negozi biologici, per il quale rinvio al link http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2015-11-29/food-mangiare-gli-occhi-160847.shtml?refresh_ce=1
Sapendo che tutto ciò che avviene, sia che lo etichettiamo ‘spontaneo’ in natura o ‘artificiale’ in laboratorio, avviene nella Natura, perché nulla accade al difuori di essa e nulla può realizzarsi che non sia già intrinseco nella sua potenzialità, da miriamici possiamo comunque rifuggire da modalità ossessive e mantenere un atteggiamento neutro verso ciò che è cibo.
Sappiamo come possa essere ‘attivata’, grazie agli strumenti della nostra tradizione, la ‘capacità adattativa’ cui fa riferimento Gelsomino (post 11/02). E, soprattutto se, come ci invitano a fare i Maestri, ci nutriamo di tutto in modo parco, attenendoci alle prescrizioni mediche alimentari e alle indicazioni del Maestro ermetico in caso di disfunzioni o predisposizione a patologie, è verosimile che nel cibo ingerito le varie sostanze si equilibrino fra loro, per rendere disponibili all’organismo quei nutrienti di cui necessitiamo.
Il che non esime gli organismi preposti alla tutela della salute pubblica di vigilare sulla qualità del prodotto finale al consumo.in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #12188Negli anni ’90 in Spagna, nel corso di studi sugli archei, furono rilevate nel DNA ripetizioni di sequenze caratteristiche, delle quali non si comprendeva il significato, e che furono poi riscontrate in quasi il 90% degli archei e in circa la metà dei batteri, anche filogeneticamente lontani. Questo fece pensare che avessero un ruolo importante. Furono chiamate CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats: brevi ripetizioni palindrome interspaziate in modo regolare).
Si scoprì in un ceppo batterico che la sequenza era corrispondente a frammenti del DNA di un virus batteriofago e che quel ceppo era immune all’infezione; in poco tempo si riscontrarono in vari batteri tratti di DNA uguali a sequenze nucleotidiche virali. Si formulò l’ipotesi che le CRISPR contenessero le istruzioni per innescare un meccanismo in grado di proteggere i batteri dagli attacchi dei virus. In pratica, una sorta di sistema immunitario.
Il meccanismo d’infezione, da parte di un virus nei confronti di una cellula o di un batterio, consiste nell’iniettarvi il proprio DNA, utilizzare le strutture dell’ospite per replicarsi, fino a causarne la morte.
Si è appurato che le sequenze ripetute sono segmenti di DNA di virus che in precedenza avevano attaccato il batterio, che il batterio aveva demolito in frammenti e incorporato nel proprio genoma a costituire il sistema CRISPR. Sistema che consente al batterio o all’archeo di produrre molecole RNA complementari al DNA virale: la molecola di RNA si lega a un enzima, la proteina Cas9 (o altre simili) a formare il ‘CRISPR associated system’, che diffonde nella cellula. Quando l’RNA incontra il DNA complementare, cioè il DNA di quel virus, vi aderisce e l’enzima Cas9 taglia il DNA virale in punti precisi. In questo modo l’aggressore è distrutto.
In pratica, a ogni invasione virale, frammenti di DNA sono integrati nei CRISPR, costituendo un sistema immunitario atto a riconoscere quel virus, o virus simili, in occasione di altro attacco.
Per arrivare a comprendere in toto la funzione del sistema CRISPR-Cas9 sono occorsi anni di ricerche e l’impegno di molti ricercatori, i quali avevano colto che la capacità del complesso di attaccare e tagliare il DNA virale con precisione nelle sedi stabilite, avrebbe suscitato grande interesse nell’editing genoma.
Infatti le cellule vegetali e animali hanno la proprietà di riparare le rotture del doppio filamento del proprio DNA incollando le estremità dei 2 frammenti con un piccolo cambiamento di sequenza o inserendo altro DNA.
Se si fosse programmato il complesso CRISPR a riconoscere specifiche sequenze di DNA, automaticamente il taglio sarebbe avvenuto nella sede voluta, interrompendo il DNA in quella sequenza. Il successivo processo di riparazione, comportando il cambiamento di alcune basi, avrebbe determinato quell’errore sufficiente a inattivare la sequenza genica. Sarebbe così diventato possibile inattivare il gene ‘difettoso’ oppure inserire un nuovo gene con tecniche d’ingegneria genetica. Ovvero, a intervenire, ad esempio, su una mutazione causa di malattia genetica.
Nel 2012 due biologhe mostrano che è possibile costruire il sistema CRISPR-Cas9 in laboratorio, programmarlo per indirizzarlo verso un preciso punto a scelta del DNA. Di qualsiasi DNA. Il sistema batterico funziona anche in cellule eucariote, cioè cellule di piante, animali e umane, perché il Cas9 taglia là dove le CRISPR indichino di tagliare. In laboratorio è quindi possibile fabbricare CRISPR ad hoc, riproducendo le stesse sequenze del gene che interessa silenziare o modificare.
Gli attuali sistemi CRISPR-Cas9 per l’editing sono molto più semplici rispetto alla versione batterica originale, come rispetto alle altre tecniche di editing genetico, che richiedono alta specializzazione e sono molto complesse; sono inoltre prodotti facilmente e a un costo bassissimo.
E infatti, dal 2012 in poi, la metodica è stata ampiamente usata nei laboratori di biotecnologie di tutto il mondo per togliere, aggiungere e modificare geni in topi, ratti, pesci, moscerini della frutta, lieviti, nematodi, cani, maiali, scimmie e varie specie vegetali, nonché cellule umane.
Gli studi successivi hanno puntato a una sempre maggiore precisione del taglio, affinché si realizzi solo dove si voglia intervenire e non anche in altri loci.
In questa scia sono da inquadrarsi le ricerche condotte dall’equipe dell’Università di Trento, che dichiara di aver messo a punto, come divulgato in gennaio, una metodica che consente un taglio preciso, per la quale è stato prontamente richiesto il brevetto.
Questa una sintetica e incompleta cronistoria di come si sia giunti alla scoperta e all’utilizzo del sistema CRISPR, considerato uno dei risultati scientifici più importanti negli ultimi anni.
Molte considerazioni possono farsi sia sull’oggetto della scoperta sia sul successivo impiego della metodica, per le molteplici implicazioni che comporta. Rinvio a un successivo post ulteriori informazioni, sperando che siano utili per un più completo quadro della situazione.in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #12147Qualche tempo fa ho visto un film biografico su un giovane matematico indiano, vissuto all’epoca del colonialismo inglese, il quale inviò le sue formule e teoremi a eminenti cattedratici di Cambridge. Il solo prof G.H. Hardy ebbe l’intelligenza lucida, l’onestà intellettuale e l’umiltà di vedere in quegli scritti un’opera geniale, ma … occorrevano le dimostrazioni.
Una comunità è tale quando si dà delle regole. Così è per la comunità scientifica. Regole desuete saranno abbandonate, ma quelle vigenti sono a garanzia di correttezza procedurale e di riproducibilità dei risultati, affinché non si spaccino per vere ipotesi prive di fondamento.
Io non posseggo né la cultura né l’intelligenza del prof Hardy e, pertanto, posso non essere in grado di distinguere ciò che è fantastico da ciò che è geniale. Per questo ‘occorrono le dimostrazioni’, perché anch’io possa al mio livello rendermi conto della veridicità di ciò che è divulgato.
I Maestri ci raccomandano in primis: ‘non credere, sperimenta’. Molto difficilmente avrò la capacità e gli strumenti per sperimentare ipotesi scientifiche innovative. Posso però attivarmi per attingere informazioni a quelle fonti che maggiormente mi diano garanzia di attendibilità. E, come giustamente ci fa notare Diogenonn, poiché Wkp pone “attenzione a quanto frutto di peer review”, non essendo il nostro né un circolo di specialisti né di scienziati, ritengo che, nel caso particolare, quanto pubblicato su Wkp possa costituire una prima base di risposta alla domanda di Catulla2008 che era specifica su quanto oggi la comunità scientifica ufficiale riconosca riguardo alla memoria dell’acqua. Poi, chi interessato potrà procedere verso più ragguardevoli approfondimenti.
Ritengo che teorie nuove e geniali o controcorrente possano essere sottovalutate, se non ostacolate, dal sapere comune. Ritengo che lo scienziato, lo studioso, abbia il dovere di correttezza procedurale e di onestà intellettuale; quindi che, divulgando le proprie teorie, comunichi con chiarezza quali soddisfino i criteri di evidenza scientifica, e quali invece rimangano ancora nel campo delle ipotesi.
“Occorrono le dimostrazioni” e lo diceva con dolore il prof. Hardy, perché la sua mente limpida ben vedeva il vero nei teoremi del giovane Srinivasa Rmanujan, ma aveva la consapevolezza che quello era il giusto modo di procedere a salvaguardia sia dell’uomo comune, sia dell’opera scientifica e del suo autore.
Gli studi riguardo alla memoria suscitano notevole interesse in questo forum. Sensibilità, percezione, pensiero, memoria sono stati oggetto d’indagine filosofica fin dai tempi antichi. Mi auguro che attraverso i prossimi post inerenti allo sviluppo delle funzioni umane, abbiamo modo di addentrarci nell’avvincente materia.in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #12132Se si è interessati a quanto oggi la scienza abbia verificato circa gli studi condotti sulla memoria dell’acqua, si possono consultare:
http://www.treccani.it/enciclopedia/acqua_res-a59330f4-87f0-11dc-8e9d-0016357eee51_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/
https://it.wikipedia.org/wiki/Memoria_dell%27acqua
Riguardo a chi siano e a quali studi abbiano effettuato sulla memoria dell’acqua:
https://it.wikipedia.org/wiki/Jacques_Benveniste
https://it.wikipedia.org/wiki/Luc_Montagnier
https://it.wikipedia.org/wiki/Masaru_Emotoin risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA SCIENZA #12101Non so perché, pur avendo simpatia per i numeri, mi ritrovai nei maldestri tentativi di traduzione dal latino e dal greco. Oppure sì, lo so, ma non sto qui a raccontar particolari della mia vita. Fatto sta che matematica e fisica sono rimasti per me affascinati misteri… assolutamente incomprensibili. E quando leggo di fisica quantistica e di fenomeni quali ci riporta wiwa, si riaccende la fiamma di una passione mal sopita e mi dico che prima o poi riuscirò ad applicarmi in questi studi. Intanto girovago un po’ sul web, in cerca di notizie. Perché in effetti possono accadere anche incontri interessanti.
Così mi permetto di segnalare, a chi fosse a digiuno e in difficoltà come me e avesse desiderio di un barlume in tanta nebbia, questo link: ‘Introduzione alla fisica dei quanti’admin: NON SI POSSONO CARICARE SUL SITO DEI VIDEO COSI’ PESANTI…!!!
E’ una lezione tenuta dal prof. G. Battimelli, Università la Sapienza, nell’aula magna di un liceo classico (ad hoc!). In effetti devo ammettere che difetta del sex appeal di Fabio Marchesi, ma è di disarmante simpatia e chiarezza esplicativa. A chi non avesse la pazienza di seguire tutto il video, consiglierei almeno i primi 10 minuti. Chi invece terrà duro come me fino alla fine, si troverà insospettabilmente a sentir discorrere di uccelli e topi…
- Questa risposta è stata modificata 6 anni, 2 mesi fa da admin Kremmerz.
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in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #12092Nella nostra società il cibo è disponibile in abbondanza. Se fino agli anni ’50 del secolo scorso a incombere era la malnutrizione per denutrizione, oggi il rischio è la malnutrizione per sovralimentazione. Risolto il problema dell’insufficiente quantità di cibo grazie all’industrializzazione dell’agricoltura, alle tecniche di conservazione e all’industria alimentare, l’attenzione si è spostata alla qualità dello stesso, ed è nata una nuova disciplina, la scienza dell’alimentazione, che studia le caratteristiche nutritive degli alimenti e fornisce indicazioni su come mantenersi nel miglior stato di salute possibile.
La divulgazione dei dati sulla composizione degli alimenti, i consigli dietetici e quant’altro, hanno ingenerato l’abitudine di suddividere i cibi in ‘buoni’ e ‘cattivi’, cibi che fanno bene e cibi che fanno male. È davvero così?
Sono trascorsi circa 30 anni dal giorno in cui giunse in pronto soccorso una mamma col bimbo di 6 mesi in stato di grave sofferenza. Bello e vivace, aveva succhiato latte in mattinata, e nel primo pomeriggio un biberon di frutta e latte. Era nell’età del divezzamento, ma rifiutava la frutta, che così fu aggiunta al latte. Reidratato, recuperati tono e vivacità, succhiò avidamente un biberon di camomilla zuccherata. Dopo di che fu di nuovo grave.
Lo zucchero contenuto nella frutta è il fruttosio, quello di uso comune è il saccarosio, che è un disaccaride composto di una molecola di glucosio e una di fruttosio. Nell’organismo in cui difetta l’enzima necessario a metabolizzare il fruttosio, questo si accumula e diventa tossico. Non fu possibile diagnosticare la patologia al piccolo, ma il sospetto di fruttosemia consentì che la sorellina fosse tenuta a dieta priva di questi zuccheri dalla nascita, cosicché giungesse sana all’età in cui fu possibile accertare la mancanza dell’enzima.
La frutta, universalmente considerata cibo sano, può dare malattia potenzialmente letale. La pasta, per anni demonizzata, è riconosciuta ora a pieno titolo nella dieta mediterranea. Eppure determina celiachia in soggetti predisposti. Le arachidi, una leguminosa ricca di oli e proteine, causa grave reazione in chi è allergico alla sua componente proteica; e via dicendo.
Se è vero che l’organismo animale ha un apparato digestivo capace di estrarre dai cibi ingeriti i nutrienti di cui necessita, purché l’alimentazione sia equilibrata, ciò non significa che tutti possiamo assumere gli stessi alimenti. La predisposizione o l’insorgenza in età adulta di patologie, quali gotta o diabete, richiede diete particolari; ogni individuo ha poi un differente fabbisogno alimentare in base a struttura fisica, attività lavorativa o sportiva e ambiente in cui vive.
Nel difficile tentativo di orientarsi fra l’alternanza di proposte dietetiche, di consigli su quale cibo togliere o aggiungere alla dieta, la riscoperta delle ricette della nostra tradizione, proposte da Bell, costituiscono un punto fermo cui far riferimento, anche per l’impiego dei prodotti della nostra terra, che sicuramente più si confanno ai nostri geni rispetto a cibi esotici.
Sarebbe bello se anche noi, come m_rosa dice della cavalletta che “sa esattamente cosa le fa bene mangiare…”, istintivamente sapessimo di quali cibi nutrirci e come variare l’alimentazione in base alle necessità della vita.
Penso che l’educazione ermetica, con la conoscenza sempre più precisa del sé corporeo, conduca non a un’istintiva, ma alla consapevole comprensione nel Maestro ermetico di ciò di cui necessita l’organismo per mantenersi sano o recuperare la salute.in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #12064Ci sono detti che appena coniati s’imprimono nell’immaginario e da lì in poi rientrano nel patrimonio della mentalità comune.
Tale è “L’uomo è ciò che mangia”. A coniarlo a metà ‘800 fu Ludwig Feuerbach, filosofo tedesco protestante (1804 – 1872). Oppositore del dualismo anima corpo, del pensiero religioso e di ogni filosofia che non tenga conto della corporeità, affermava: ‘Io sono un’essenza reale, sensibile’ ‘Il corpo nella sua totalità è il mio io, la mia essenza stessa’.
Sostenne che per migliorare la spiritualità di un popolo, occorresse risolvere l’indigenza, rendendo disponibile cibo in quantità adeguata. Intuì che, per l’inscindibilità di psiche e corpo, l’uomo debilitato perché affamato, difficilmente avrebbe potuto coltivare spirito e intelletto: ‘I cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e sentimenti. L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. Se volete far migliorare il popolo, in luogo di declamazioni contro il peccato, dategli un’alimentazione migliore. L’uomo è ciò che mangia”.
Era consapevole che il pensiero esiste perché esiste un corpo. E il corpo, per produrre adeguata attività di pensiero deve essere sano e per essere sano deve essere nutrito. Non era assolutamente né un principio salutistico né mistico. Era affermare la necessità di un corpo sano quale ‘conditio sine qua non’ per una progressione spirituale, come è nella tradizione ermetica.
Una differente lettura mi sembra spuria, come poco chiari gli attuali riferimenti al detto.
Se preso alla lettera, sembrerebbe che ‘l’essenza’ di ciò che mangiamo, animale o vegetale che sia, non solo permanga in noi, ma si introduca o si sostituisca alla nostra stessa essenza. Se questa è l’ipotesi, sarebbe opportuno che sia dimostrata.
Guardiamo cos’è il processo digestivo.
Il sistema gastrointestinale è la via d’ingresso nel corpo di sostanze nutritive, vitamine, sali minerali e liquidi. La fisiologica digestione comporta che la materia vivente ingerita, animale o vegetale, sia sottoposta all’azione meccanica di denti e parete gastroenterica e biochimica degli enzimi digestivi, che, dalla bocca in poi, attaccano la struttura organica in toto, agendo su tutti i suoi componenti, quindi su proteine, lipidi, glucidi e nucleotidi, scomponendoli nelle loro parti elementari. Sono assorbite le vitamine, non essendo l’organismo in grado di costruirle, mentre, a grandi linee, sono scissi in aminoacidi le proteine, in zuccheri semplici gli amidi, in acidi grassi i lipidi. Solo nel neonato alcune proteine, come le IgA contenute nel latte materno, passeranno integre nel circolo, ma dopo qualche mese non accadrà più.
A processo digestivo compiuto, nulla sarà rimasto della struttura originaria ingerita, totalmente scissa in quei ‘mattoncini’, che, assorbiti dagli enterociti, saranno immessi in circolo e utilizzati dalle cellule di ogni organo e apparato per i propri processi energetici e per la propria attività cellulare.
‘L’identità corporea’ o ‘essenza’ di quanto era entrato nella bocca non c’è più (salvo ipotesi da confermare).
L’altra considerazione è che l’atto del ‘mangiare’ è di ogni organismo animale.
Per vivere accrescersi e riprodursi, ogni animale ingerisce vegetali o animali o entrambi, a seconda di come sono andati conformandosi apparato digerente e proprietà digestive in ogni specie. L’elefante si nutre di foglie, rami, erba, fiori frutta. Il lupo di pecore, capre, camosci, conigli ecc. L’organismo animale, e noi apparteniamo al regno animale, si è andato strutturando in modo tale da poter utilizzare la materia vivente ingerita, avendola ridotta ai suoi componenti basali che sono assorbiti dalle cellule a vantaggio del proprio complesso organico. Ha un senso dire che l’elefante e il lupo sono ciò che mangiano? Aldilà del fatto che strutturalmente sono (e siamo) la rielaborazione della materia di cui si nutrono?in risposta a: La Scienza Ermetica nelle Arti #12039Rileggevo i post, i molteplici rinvii al Bello, l’auspicio a un’arte che nell’armonia di forme o colori o suoni abbia in sé l’anelito al sublime, tale che l’anima umana sia rapita al Bene… al Divino… Un senso di gratitudine che sgorga verso un ‘Dio Creatore’ all’aprirsi di paesaggi di incontaminata bellezza.. e di pace e di beatitudine..
Sì, forse il nostro animo è rapito dallo strabordare di cotanta bellezza, forse il bimbo nell’utero si cheta e le molecole d’acqua si dispongono in composizioni armoniose…
Sì, meravigliose sensazioni.. E tutto il resto?
Ricordo quando al Castello di Postignano il Maestro ci rammentava cos’è Natura: la verde vallata con rivoli d’acqua e fiori olezzanti e.. il letamaio che raccoglie gli escrementi delle vacche e.. la puzzolente discarica d’immondizia, i fumi acri di ciminiere e raffinerie..
E mi sono venuti in mente i film alla Walt Disney, dove il ‘buono’ è tutto ovatta e fiocchetti e il cattivo è scuro sporco e distorto..
E mi è venuta l’immagine dei lattanti dalle gote paffute e dagli occhioni luccicanti che sanno di latte e che a vederli s’intenerisce e s’allarga il cuore..
E poi… ho visto lattanti sindromici o malformati dai tratti impressionanti, fastidiosi nel loro aspetto così stonato, asimmetrico o mancante. Così disarmonici, così scostanti… da ritenersi in tempi addietro espressione del diavolo…
E ho pensato ai genitori.. al cuore stretto.. là dove dovrebbero sgorgare rivoli di gratitudine e di amore al divino..
Bambini definiti oggi ‘diversamente abili’, con abile e buonistico eufemismo. Bambini non ‘normali’, bambini malati, bambini per i quali s’invoca e si piange una vita spensierata e s’impreca contro una scienza avara che non produce ancora il rimedio universale o contro un dio che ha potuto castigare tanto!
E poi… le parole del Maestro: cos’è Natura. E quindi, cos’è malattia? È una via fra le possibili tante che la Natura può imboccare, una delle infinite manifestazioni della vita? Chi giudicherà la Natura aver intrapreso una via ‘anormale’? ….
E poi… mi è venuta in mente una mamma.. e un padre..
Era nata la loro bimba, forse una bimba Down.
Me la portarono in studio. Era proprio una bimba Down e… c’era Amore.
Vennero dopo un mese. Era ancora una bimba Down e… c’era ancora Amore.
Sono passati anni. E’ sempre più una bambina Down. E c’è sempre più Amore…in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #11919Interessanti i concetti riportati nel post dell’Accademia Sebezia (29 dic.) e le considerazioni successive.
L’asserzione che ‘il corpo umano equivale alla natura’ esprime, a mio avviso, un postulato della scienza ermetica, e cioè che l’Universo è Uno. Se tutto ciò che è presente nell’Universo determina l’Universo stesso, l’uomo non può essere visto a sé: è nell’Universo, è parte di esso e da esso è inseparabile. E se l’uomo e l’Universo sono inscindibili, non possono che essere soggetti alla stessa Legge: in questo senso uomo e natura si equivalgono. Se desumiamo che il Macrocosmo o Universo e il Microcosmo o Uomo ‘funzionino’ in base alla stessa Legge, noi possiamo ipotizzare che le funzioni umane siano analogiche a quelle dell’Universo, e viceversa. Dall’osservazione di ciò che a noi è più vicino, l’uomo, sarà possibile estrapolare ‘modelli universali di comportamento’.
Questa appare pertanto la metodologia di studio adottata nella tradizione egizia e italica.
Non ho conoscenze sufficienti per cogliere analogie fra i vari organi e apparati umani e le strutture presenti nell’universo. Suggestiva è la visione della Terra come organo che digerisce. Forse più che ‘immaginare’ un organo strutturato, potremmo guardare alla funzione per cercare una lettura in chiave analogica. E così, a grandi linee, la funzione del nostro respiro è acquisire O2 ed espellere CO2 a scopo energetico; la funzione digestiva è scindere composti organici in particelle che siano assorbite e utilizzate a scopo plastico ed energetico; la funzione urinaria è eliminare acqua e metaboliti in eccesso e trattenere quelli necessari; la funzione sensitiva è recepire tutti gli stimoli o impulsi (qualsiasi essi siano) che giungano alla superficie corporea, ivi compresi gli organi di senso, e rispondervi in modo adeguato; la funzione immunologica è mantenere un’integrità, ovvero uno stato di salute; la funzione riproduttiva è generare; la funzione mentale è coscienza… Le funzioni visiva, olfattiva, acustica, propriocettiva, fonatoria prevedono una coscienza che le elabori… Questo per citare solo le principali funzioni.
L’impresa analogica mi sembra davvero importante, ma possiamo provare a cimentarci…
Secondo la tradizione italica, ogni evento e ogni funzione è presieduta da una divinità. Esisterebbero quindi ‘divinità’ ovvero, in lessico contemporaneo, ‘forze cosmiche’ che esercitano effetto sulle funzioni fisiologiche e che, se individuate, potrebbero essere ‘richiamate’ per il mantenimento o il ripristino dello stato di salute?in risposta a: UN THREAD SENZA TITOLO X UN “SOCIAL” SUI GENERIS #11914Posso riprendere le osservazioni di Gelsomino limitatamente alla mia esperienza.
Quando m’iscrissi al corso di Vipassana, non sapevo cosa avrebbe comportato. La mia intenzione non era certo praticare il silenzio, era apprendere una tecnica di meditazione, non solo, più in generale era uno scopo di conoscenza. Sappiamo che le tecniche di meditazione, patrimonio dei popoli orientali, hanno per finalità l’Illuminazione, ovvero la ‘Luce’. E nell’esercizio di quel tipo di meditazione è richiesto il silenzio. Silenzio quindi fortemente finalizzato. Ora, dalla mia limitata esperienza di discipline orientali, che consistono in diversi anni di esercizio di tai chi, nei citati corsi di meditazione, oltre alcune esperienze ‘minori’, ho appreso che, aldilà delle ‘particolari’ interpretazioni new age e occidentali, tutto è molto concreto e corporeo, tutto è basato su pratica ed esperienza fisica e che di mistico non c’è assolutamente nulla. Ma in quelle, come nella nostra tradizione, è indispensabile la presenza del Maestro ‘Integrale’. Ho avuto la fortuna di incontrare in entrambi i casi 2 Maestri ‘concreti’ (= che non vendevano fumo) che trasmettevano un insegnamento concreto. Quando al Maestro di Vipassana chiesi “tutto questo ok, e poi?”, egli con molta onestà ammise di non poter andare oltre, perché quello era stato autorizzato a insegnare, e se anche avesse fatto personalmente ulteriori ‘progressi’ non li avrebbe assolutamente trasmessi, perché non erano stati ‘oggettivati’ (diremmo noi) dal suo Maestro.
Quando venni a conoscenza di una tradizione italica iniziatica, di cui non immaginavo l’esistenza, lessi Kremmerz e scoprendo punti in comune con quel poco che avevo appreso, senza null’altro sapere, chiesi subito l’iscrizione perché qui è la tradizione della nostra terra, qui sono le radici (i geni) da cui deriviamo. La fortuna fu di approdare subito alla Schola ortodossa, anziché incappare in una delle varie associazioni spurie. Non solo, l’altra impagabile fortuna, di cui mi resi conto strada facendo è, e lo è per noi tutti, avere il MAESTRO. Sempre nella mia limitata esperienza ho appreso che la trasmissione iniziatica non può prescindere dalla sua presenza e dal suo diretto insegnamento. Senza oggettivazione da parte sua ci si può forse illudere di progredire, ma, nella migliore delle ipotesi, non si va da nessuna parte.in risposta a: UN THREAD SENZA TITOLO X UN “SOCIAL” SUI GENERIS #11823Riguardo al silenzio riporto un’esperienza personale. Anni fa mi fu detto che la meditazione Vipassana era una delle più efficaci. Cercai e trovai un corso consistente in un ritiro di 10 giorni. Per avere almeno un’idea di cosa si trattasse, decisi di partecipare prima a una 2 giorni che si teneva a Milano. In quella sede l’insegnante riportò le parole del Maestro: ‘Bisogna sedere in una posizione sufficientemente comoda da poter essere mantenuta (immobili) ma non così comoda da addormentarsi’. Questa fu la sola cosa che capii: se avessi voluto sopravvivere a ore e ore di sedute immobili per 10 giorni, avrei dovuto procurarmi cuscini molto molto confortevoli. Così mi armai e partii.
L’esperienza consisteva in questo: silenzio assoluto per 10 giorni, di parole e di sguardi, no TV, no musica, no cellulare, no letture, no azioni, no pensieri.. negli intervalli. Era però consentito passeggiare nel parco. Il resto del tempo era meditazione, per apprendimento di anapana di vipassana, 2 esigui pasti vegetariani all’alba e a mezzogiorno, quindi digiuno. Poi un po’ di ore di sonno. Grazie al conforto dei miei cuscini riuscivo perlomeno a mantenere la posizione immobile senza dolore e, nell’ora di colloquio pubblico col Maestro, ascoltavo neofiti al par mio lamentare dolori lancinanti, che però tutto sommato sembravano ben accetti, forse perché espiazione di non so quali colpe o scioglimento di non so quali nodi. Per me era già sufficiente così, senza aver altro da espiare.
Il tutto fu terribilmente drammatico: non tanto per il silenzio, perché non amo né parlare né ascoltare a caso, quanto per l’inattività e il ‘non pensare’, cosa questa che si rivelava impraticabile. Rimasi solo perché dovevo assolutamente vedere dove avrebbe portato. Sviluppai i sentimenti più disperati, d’insofferenza, di rabbia e quant’altro. Equiparai l’esperienza a una reclusione in un carcere.
Il Maestro era un simpatico omaccione ottuagenario americano, ex militante CIA, stanziato in Tailandia, negli anni ’50, che aveva appreso la tecnica meditativa in Birmania.
Lo apprezzai molto: assolutamente non si atteggiava a guru, assolutamente osservava il mandato del suo Maestro, trasmettendo solo ciò per cui era stato autorizzato, senza nulla aggiungere e nulla togliere. Per la chiusura dei confini coll’istaurarsi del regime militare non gli era stato concesso di proseguire oltre e completare l’apprendimento. Poteva quindi trasmettere solo l’insegnamento base.
Alla fine del corso mi ritrovai con energia ed entusiasmo incredibili, una vera ‘ricarica delle pile’. Partecipai ad altri successivi 3 corsi; poi il Maestro non fu più in grado di venire in Italia e pochi anni fa venne a mancare.in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #11822Non ho mai riflettuto più di tanto sul concetto di ‘anima’. Dai banchi di ‘catechismo’ mi è rimasta l’idea di un’anima immortale, prerogativa dell’uomo, che lo distingue, anzi lo eleva sul resto creato, in particolare sugli animali, che ne sarebbero privi.
Leggere in questi giorni il post di Lucis_fero (25 dic.), laddove scrive ‘l’anima e lo spirito si uniscono per mettere al mondo…ecc.’, mi ha indotto a due considerazioni: la prima di aver sempre ritenuto i due termini, anima e spirito, all’incirca sinonimi; la seconda di non aver mai notato che anima e animale hanno stessa radice etimologica. Entrambi sono sostantivi, anche se ‘animale’ nasce aggettivo e significa letteralmente ‘dell’anima’.
Animale, dal latino ‘animal’ e ‘anima’ = respiro; anemos in greco e ātman in sanscrito = vento, soffio: “L’animale è quello che non si basta, è il peripatetico in perenne ricerca fuori da sé. Per mangiare, per riprodursi, per amare. L’etimologia ci racconta una qualità fondamentale dell’animale, la più evidente e la più affratellante: il respiro.” (https://unaparolaalgiorno.it/significato/A/animale).
Il respiro o anima è quella funzione che si attiva al momento della nascita: il feto non ha ‘anima’, ovvero non ha respiro. Il respiro, cioè l’entrata e l’uscita di aria nel e dal corpo, è ciò che consente l’inizio della vita fuori dall’utero, o dall’uovo, e che la mantiene. Come sappiamo, la fusione dei due gameti è subito vitale: l’essere in potenza costruisce da sé la propria struttura corporea fino a raggiungere una competenza tale da non poter più vivere nell’utero, o nell’uovo, ma dover uscire dal contenitore all’ambiente esterno.
Non conosco i processi che avvengono nell’uovo. Guardiamo il feto umano: i polmoni contengono liquido, l’ossigeno è estratto dal sangue proveniente dal filtro placentare. Intorno alla 35° settimana i polmoni raggiungono una maturità anatomico-funzionale sufficiente a consentire l’espansione polmonare in caso di parto pretermine.
Durante il parto, l’integrazione simultanea di stimoli di varia natura agenti sui centri respiratori bulbari determinerà il primo respiro al momento dell’espulsione del feto. I primi sforzi inspiratori richiedono che il neonato sia ‘vitale’, cioè tonico e forte per superare la resistenza elastica dei tessuti e la presenza di liquido nelle vie aeree terminali: il neonato aspira attivamente l’aria in sé. Un neonato che, uscendo dal canale del parto, sia gravemente sofferente o depresso non è in grado di farlo. Occorreranno manovre mediche rianimatorie per insufflargli aria e consentire che viva. A presiedere l’importante e delicato evento i Romani avevano il dio Vaticano o Vagitano, che in sé era l’avvio del respiro e successivamente della parola.
In tutto il regno animale questo è il processo che si realizza alla nascita. L’aria non è immessa ma aspirata attivamente, è soffio/respiro/anima di ogni essere che nasca alla vita.
Aldilà di tutte le implicazioni filosofico/religiose attribuite all’evento, ho riletto le pagine di Kremmerz (Dialoghi, SM p. 10-17) relative all’anima. Estrapolo solo alcune frasi iniziali: “L’anima è qualche cosa che sta nel corpo e agisce finché il corpo è nelle sue funzioni?” “Perfettamente così.” E poi “…l’idea di equiparare l’anima all’aria, di concepire che respiriamo, è un’idea certamente sconfortante..”… “Morire per diventare aria.”… “Che brutta visione!”in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #11797Quando Bell espone un metodo terapeutico estrapolato dalle Lunazioni (post 18 dic.) che appare sovrapporsi alle più recenti indicazioni mediche, le quali, prima di essere approvate dalla medicina ufficiale, sono state indagate con metodo scientifico e quindi sottoposte a sperimentazione con evidenza di risultato, mi chiedo a quale sapienza attingano gli antichi rimedi, se siano frutto di osservazioni fortuite, d’intuizioni, di un procedere per prove ed errori o espressione di un’antica scienza, la cui metodologia si è perduta nei tempi… Sarebbe bello e interessante recuperarne le chiavi…
Carissimi auguri a tutta la Fratellanza.in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #11781L’argomento relativo ai Probiotici, proposto da Seppiolina74 post 20/12, è oggi di estremo interesse presso la comunità scientifica e le industrie farmaceutica e alimentare.
Gli esseri umani, come gli altri esseri, vivono in associazione con microorganismi commensali (batteri, archeobatteri, funghi, virus) residenti sulle superfici esterne (cute) e interne (mucose). L’insieme di questi microrganismi è detto Microbiota. Distinguiamo in: cutaneo, orofaringeo, respiratorio, urologico e intestinale. Il rapporto tra il numero di cellule del microbiota e le nostre cellule somatiche oscilla tra 10-100 : 1.
Per Microbiota Intestinale s’intende l’insieme dei microorganismi presenti nel tubo digerente, in precedenza detto ‘flora batterica intestinale’ o “microflora”. Si ritiene che l’ecosistema intestinale sia costituito da 3 milioni di specie o oltre 100 trilioni di microorganismi.
Per Microbioma Intestinale s’intende il patrimonio genetico di quegli stessi microrganismi. Lo studio dei geni evidenzia che il Microbiota codifica per un ampio numero di molecole che le nostre cellule non sono in grado di produrre, venendo a configurarsi nel suo insieme quale organo aggiuntivo al corpo umano.
Per Probiotico s’intende una colonia di microrganismi vivi di un’unica specie, prodotti in laboratorio, che, aggiunti agli alimenti o venduti come integratori, devono avere le caratteristiche di essere di provenienza intestinale, essere e mantenersi vivi fino alla scadenza e resistere all’azione digestiva per colonizzare le cellule intestinali dove esercitare i loro effetti positivi, non dare reazioni immunitarie o nocive ed essere di beneficio all’organismo.
Per Prebiotici s’intendono oligosaccaridi o fibre non digeribili, utilizzate dai Probiotici e/o dai batteri intestinali ‘buoni’ nei loro processi metabolici, venduti negli alimenti o come integratori alimentari.
Per Simbiotici s’intende l’associazione commerciale di probiotici e prebiotici.
Il Microbiota inizia a formarsi in epoca fetale. La cavità amniotica, da sempre considerata sterile, contiene in realtà alcuni microrganismi, i cui meccanismi di trasferimento batterico tra madre e feto non sono ancora del tutto chiari. La vera ‘colonizzazione’ del neonato si avvierà durante il parto, quindi con l’allattamento al seno o con biberon e col contatto interumano postnatale.
A 4 giorni il Microbiota dei neonati da parto vaginale ricalca quello vaginale materno, da cesareo quello cutaneo della mamma.
Dal 5 giorno di vita in poi il profilo del microbiota inizia a somigliare a quello di un adulto.
Studi su campioni di feci di neonati di 1 mese evidenziano correlazione fra composizione del Microbioma e tipo di parto, di alimentazione (latte materno o formulato), età gestazionale, ospedalizzazione, uso di antibiotici. Varia inoltre nelle popolazioni per area geografica; le variazioni interpersonali sono maggiori nei bambini rispetto agli adulti e si stabilizzano verso i 3 anni di vita.
Conoscere la composizione non implica conoscerne la funzione. Indubbio è che l’insieme dei microrganismi permette i processi digestivi, metabolizzando composti indigeribili, favorendo l’assorbimento dei nutrienti, producendo vitamine, costituendo difesa contro patogeni e rinforzo della barriera intestinale per stimolo funzionale del sistema immune… Non è ipotizzabile un processo di digestione alternativo in assenza del Microbiota intestinale.
Il nostro organismo rispetto al Microbiota è quel macrocosmo che non solo ospita, ma vive grazie al microcosmo della comunità di batteri, in perfetta reciprocità simbiotica. Noi siamo il terreno che permette la loro vita e loro vivendo consentono la nostra.
Il Microbiota si modifica in corso di diverse patologie e, pur non essendo ancora stabilito un rapporto di causa- effetto, è stata proposta la somministrazione di Probiotici a scopo terapeutico. Non abbiamo a oggi studi che provino effetto terapeutico o preventivo nei confronti delle stesse.
Suggestiva è però l’ipotesi che intervenendo sul Microbiota sia possibile correggere la malattia verso la guarigione. La scienza ufficiale procede con gli strumenti di cui dispone alla realizzazione di quel fattore ‘esterno’ che somministrato al paziente agisca sul corpo ristabilendo le corrette funzioni. La scienza ermetica può vedere nella ‘duttilità’ dell’organismo umano, espressa, come mostrano gli studi contemporanei, dalla responsività ad esempio delle cellule staminali, dell’epigenoma, del microbiota, la conferma che l’azione terapeutica, grazie agli strumenti di cui dispone, si realizza ‘nella carne’, ovvero in quelle strutture corporee che per natura sono predisposte a reagire, a seconda del tipo di stimolo, impostando se stesse verso un’attività vantaggiosa all’organismo oppure declinando verso funzioni che produrranno il manifestarsi della malattia.in risposta a: NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA #11715Tutti gli animali che si riproducono sessualmente hanno avuto due genitori, ma non necessariamente cure parentali. Esistono specie, soprattutto marine, che rilasciano uova e spermatozoi nell’ambiente circostante e, all’estremo opposto, mammiferi, uccelli e anche alcuni fra i vertebrati inferiori e gli invertebrati, che prevedono contatto prolungato fra genitori e prole.
Le rane liberano le uova fecondate nell’ambiente acquatico e non forniscono cure parentali. Uno studio condotto su 354 specie, delle oltre 6000 note, pubblicato dal National Geographic Italia, ha riscontrato che 57 specie si prendono cura degli embrioni. E ognuna in un modo particolare.
Ad es., la rana giamaicana delle grotte trasporta l’intera covata, che può comprendere fino a 70 individui completamente sviluppati, sul dorso della madre dalla grotta in cui è nata fino alla foresta, che sarà il loro habitat; le femmine di Leptodactylus producono un muco schiumoso ove depongono le uova, se ne prendono cura e difendono i girini dai potenziali predatori. Nel caso del Dendrobate pigmeo (centro America), il padre si occupa delle uova proteggendole e idratandole. Alla schiusa la madre trasporta e deposita ciascun girino in una piscinetta diversa (il fiore di una bromeliacea), di cui ricorda la postazione e fa ripetutamente ritorno in ognuno dei siti per fornire cibo a ciascun piccolo.
Modi così differenti in specie che, appartenenti allo stesso ordine, dovrebbero avere stesso comportamento, non possono che essere conseguenti alla situazione ambientale in cui sono venute a trovarsi: si sono sviluppati nuovi modelli e quelli che più hanno dato vantaggio riproduttivo sono stati adottati. L’ambiente causa modifiche nel comportamento dell’individuo che sono trasmesse alla prole, ovvero agisce a livello di geni e dei gameti, incidendo sul codice genetico della specie. Ciò è possibile perché i geni non si attivano da soli, ma sono “accesi” o “spenti” dall’epigenoma, il complesso sistema biochimico di regolazione che silenzia o attiva l’attività trascrizionale dei geni, senza modificare la sequenza del DNA. Fattori epigenetici agiscono acetilando o metilando il gene interessato, che se acetilato si svolge e si attiva, se metilato rimane avvolto e inattivo.
Per effetto dell’ambiente l’epigenoma attiva o inibisce il gene e l’interazione geni-ambiente diviene il nodo fondamentale nella regolazione del comportamento, dove l’ambiente influisce per 2/3 e la genetica per 1/3. La progenie eredita, dai propri genitori, i geni e le modifiche che l’ambiente produce sulla loro espressione. Oggi la scuola inglese di Etologia asserisce che non esiste alcun carattere (comportamentale o altro) che non sia frutto di un’interazione tra fattori genetici e fattori ambientali.
Uno studio condotto su ratti, le cui madri presentano differenze interindividuali verso i cuccioli, alcune somministrando alte cure materne, altre essendo trascuranti, ha scoperto che i piccoli che ricevono elevate cure materne (quindi con madri che li mordicchiano e leccano) hanno alti livelli di serotonina e, da adulti, un livello ridotto di stress, rispetto a quelli allevati da madri che interagiscono poco con loro. La serotonina aumenta, per meccanismo di regolazione epigenetica, l’espressione dei recettori per i glucocorticoidi nei neuroni ippocampali, inibendo la produzione di cortisolo, conseguente all’attivazione dell’asse ipotalamo ipofisi surrene che si avrebbe in risposta all’evento stressante. L’espressività dei recettori per i glucocorticoidi nell’adulto, rimarrà nella vita dell’animale quello determinato dalle cure materne ricevute da piccolo.
Sempre in rapporto alle cure materne nei ratti, il prof. Biggio (Napoli) ha osservato modifiche strutturali a livello delle cellule neuronali. Dopo la nascita, la presenza per numero e per dinamicità delle spine dendritiche sui neuroni dell’ippocampo, aumenta progressivamente, ma nei piccoli delle mamme ratto che a 30 gg improvvisamente li svezzano allontanandoli da sé e interrompendo l’accudimento, questa crescita non solo si arresta, ma addirittura regredisce, con depauperamento della struttura cerebrale. I fattori di stress mentre causano riduzione volumetrica per compromessa neurogenesi e atrofia degli alberi dendritici nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale, provocano incremento anatomo-funzionale in diversi settori dell’amigdala, area che si attiva in seguito a stress/paura.
Studi di neuroscienze dimostrano oggi che la qualità delle cure materne negli animali e negli esseri umani svolge un ruolo importante sulla salute mentale e fisica della prole, quindi dei bambini e dei futuri adulti, perché agiscono sui circuiti implicati nel comportamento sociale ed emotivo, che sono tra quelle strutture funzionali dell’encefalo più sensibili all’effetto dell’esperienza e che più a lungo ne serbano memoria plastica.
Ma l’importanza dell’amore materno era già emersa dagli studi di etologi, medici e psicanalisti, condotti nei primi decenni del ‘900 mirati all’ontogenesi del comportamento in specie diverse, il cui punto focale d’interesse era il rapporto madre-prole. -
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