Il primo evento del 2012

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    Originariamente postato da sannitica2011
    Il 13 Febbraio 2012 alle ore 23:19

    Bello il tema sulla Natura affrontato nel blog. La Natura dalle infinite risorse, che andrebbe più amata e ringraziata, viene incontro all’umanità: mi ha molto colpita la notizia della scoperta di un fungo della foresta amazzonica capace di digerire e metabolizzare la plastica. Il Pestalotiopsis microspora è in grado di mangiare il poliuretano, difficile da smaltire e impossibile da riciclare. Un fungo dunque utile al biorisanamento in ambienti come le discariche, prive di ossigeno ma ricche di plastica. Interessante anche come è stata fatta la scoperta: alcuni studenti di Yale in un viaggio studio nella foresta pluviale Ecuadoregna hanno notato che un campione di microfunghi aveva in parte sciolto e deformato i contenitori di plastica dove erano riposti. Successivamente hanno isolato l’enzima utilizzato dal fungo per sciogliere la plastica e si è scoperto così che il fungo è in grado di nutrirsi unicamente di plastica e derivati, in ambiente anaerobico. Chissà che non possa aiutare anche ad eliminare l’ isola di plastica dell’Oceano Pacifico che pare abbia un diametro di circa 25oo km. ,formatasi sin dagli anni ’50, che per sparire (dopo aver causato molti danni all’ecosistema) ci potrebbe impiegare centinaia di anni.
    Scriveva Kremmerz che se appare che gli animali siano più sensibili alle forze della Natura è solo perché l’uomo è distratto dalla sua vita artificiale e la sua sensibilità si è affievolita. Ma, alle volte l’essere umano riesce a “sovrastrutturare” anche gli animali…

    Anonimo
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    Originariamente postato da wiwa70
    Il 16 Febbraio 2012 alle ore 19:01

    Le parole del Maestro Kremmerz mi colpiscono molto!
    In particolare la frase che dice:
    “L’uomo che dà al suo simile sofferente tutto il suo io, tutta la sua carità, si sacrifica a lui nelle opere e nella volontà.”
    Tante volte mi sono chiesta che cosa vuol dire davvero “dare carità” al di là di ogni sentimentalismo!
    Nei “Dialoghi sull’Ermetismo” il Maestro mi viene in soccorso in modo efficace e a dir poco, geniale!
    Infatti dice che la parola CARITA’ deriva da CARO e cioè CARNE: due parole, quindi,che nel mio immaginario, sembravano così distanti hanno in realtà la stessa matrice etimologica!E se la parola è la materializzazione di una Idea… il significato acquisisce allora un’accezione qualitativamente diversa: è donarsi fino nella carne, essendo disposti ad addossarsi il male altrui per alleviare la sofferenza del nostro simile e trasmutarla?
    E’ questa la Legge d’Amore che ha incarnato la figura del Cristo( parola greca che significa “unto”, pratica degli antichi atleti olimpici che si ungevano per assicurarsi la vittoria finale della gara), quando ha detto”Ama il prossimo tuo come te stesso?
    Un saluto a tutti

    Anonimo
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    Originariamente postato da catulla2008
    Il 17 Febbraio 2012 alle ore 15:55

    Debbo ammettere che questa idea così comune nella religione di ‘doversi addossare il male altrui’ per redirmerlo … (?!?) trasmutarlo…(?!) non ha mai riscosso le mie simpatie. Nel II volume della Scienza dei Magi (pag. 133) il Maestro Kremmerz dice: “Curare magicamente o taumaturgicamente … non significa che bisogna invocare che il male passi su di noi. È un errore il pensarlo e il volerlo… La preghiera (che è un condensatore di forza psichiche) se ben fatta, disperde il male e guarisce. Un terapeuta che ammala è un non senso…”.
    E in effetti, la magnificazione del dolore spesso – come è ovvio – produce altro dolore più che salute. Personalmente, non essendo nella condizione di comprendere né il tipo del Cristo né il tipo del Maestro di Ermetismo, preferisco pensare, con popolare buon senso di madre, che quando tuo figlio/a sta male tutto il tuo essere si appresta a combattere con lui/lei per sconfiggere quel dolore: che senti “come” tuo, ma non che vuoi DIVENTI tuo!
    Immagino quindi che, nella prospettiva di una umanità veramente integrata a sé stessa e al suo ruolo fra i viventi, sia un sentimento di compartecipazione attiva quello che dovrebbe estendersi a ogni essere umano e, più ancora, a ogni essere animato e oltre, fino a essere uno con la VITA: senza forma, lineamenti, limiti.
    Credo infatti, in sintesi, che ciò che cambia la terra in fiore e la crisalide in farfalla sia, semplicemente e appunto, la Vita: libera dall’aspetto formale, sebbene ad esso intimamente legata per Legge Universa… nella trasmutazione dalla materia in energia e viceversa.
    E di là dal ‘donarsi’.
    Perché per donare qualcosa bisogna prima esserne i possessori e, invece, non noi possediamo la Vita ma è la Vita che possiede noi (tanto che ci prende e ci lascia senza che noi ne sappiamo nulla né del prima né del dopo). Al più, in un lavoro da qui all’infinito, possiamo pensare di giungere a prenderne coscienza per averne assimilate le direttrici ad avervi adeguato tutte le nostre molecole…
    Insomma, se l’idea è di amare il prossimo mio come me stesso, penso toccherà imparare anzitutto ad amare noi stessi.

    Anonimo
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    Originariamente postato da wiwa70
    Il 18 Febbraio 2012 alle ore 17:35

    Condivido quello che è stato detto nel post ma ciò che intendevo e che non sono riuscita a esprimere per niente bene (!!!), l’ho ritrovato nelle parole del Maestro Kremmerz, a proposito di altruismo e capacità di donarsi agli altri, con purità di pensiero e desiderio,quando dice:”Se vuoi essere puro di mente e di desiderio, domanda a te stesso:se l’infermità di colui pel quale opererò lascia il corpo di lui per prendere il mio, avrò la forza di soffrire invece di lui senza lamentarmi e senza pentirmene?”.
    Il tema della sofferenza,malattia e morte sono molto ampi e complessi a mio parere; essi non vanno certo magnificati ma neanche demonizzati ossia averne paura, infatti fanno parte della Vita e hanno un senso più profondo. A chi chiede di guarire, perchè ha già fatto un percorso e “compreso”il significato della sua malattia ad un livello occulto, si potrà operare senza dubbi e tentennamenti, facendosi strumento di Luce e Salute; ma chi non comprende e non chiede non credo che sia perchè non voglia guarire, in senso assoluto, ma solo che ha bisogno dei suoi tempi per farlo e va rispettato.
    Ho visto vari malati terminali, senza alcuna aspettativa di vita,di cui sono pieni i nostri ospedali, aver cambiato completamente il proprio modo di essere in seguito alla malattia e morire con serenità e d’altro canto altri che sono morti più “arrabbiati”di quando sono nati, perchè l’hanno vissuta come una “punizione”divina! E invece ritengo che”HOMO FABER FORTUNAE SUAE”. Per quanto riguarda,invece, la capacità di donarsi,con amore, sono madre anch’io, credo sia normale pensare di donare la propria vita per un figlio senza alcuna esitazione, sarebbe strano il contrario….la cosa forse più difficile, di cui mi sono interrogata, è stato se riuscirei a donarla ad un perfetto estraneo!In questo senso confido in una pratica spirituale seria che possa “ampliare”i miei orizzonti ancora così limitati.

    Anonimo
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    Originariamente postato da filosobek88
    Il 18 Febbraio 2012 alle ore 17:48

    Il coriandolo è una spezia molto conosciuta già nell’antichità che ha la caratteristica di influenzare la crescita delle piante vicine: quelle che contrastano la fermentazione, come il finocchio, deperiscono; quelle che la favoriscono, come l’anice, ne traggono vigore.
    Per analogia la tradizione pagana considerava i semi del coriandolo un auspicio di fecondità e li lanciava, ricoperti di glassa, in differenti occasioni: agli sposi (da cui il nome italiano di “confetti” con cui i coriandoli sono conosciuti in tutta Europa) e durante il Carnevale.
    Il periodo tipico che precede la Quaresima, introdotta dal banchetto del martedì (detto grasso e punto di culmine delle feste dopo le quali vi è il “carnem levare” cioè l’astinenza dalla carne) riprende nell’epoca cristiana la festività pagana dei Saturnali romani e delle Feste Dionisiache greche, e più indietro ancora rimonta alla tradizione legata ai cicli stagionali e agricoli (il passaggio di Dioniso, raffigurato nel carro astrale, ancora oggi vive per i carri che sfilano riproponendo il passaggio astrale).
    Lo storico Mircea Eliade scrive che: “Ogni nuovo anno è una ripresa del tempo dal principio, cioè una ripetizione della cosmogonia, momento mitico del passaggio dal Caos al Cosmos. La confusione sociale, la licenza erotica, la morte del re Carnevale e dell’agnello o ariete sono altrettanti simboli di rigenerazione…”.
    Sotto questo profilo la morte – e dunque il dolore – sono visti perciò come passaggio necessario dovuto alla naturale fermentazione innescata dalla Luce.

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    Originariamente postato da segezia810
    Il 19 Febbraio 2012 alle ore 12:01

    A proposito di semi ricordo un intervento molto bello fatto dal Maestro Jah-hel durante il convegno sull’alimentazione tenutosi a Torino e adesso programmato per il prossimo 26 febbraio.
    Viene da dire che la Natura è semplice e sintetica nella propria evidenza e che il seme è una realtà sulla quale chiunque può soffermarsi, meditare e riflettere. Vi sono però delle chiavi di lettura tanto più preziose in quanto fornite da una Schola che, quindi, non si limita a sciorinarle ma le inserisce nell’ambito di un metodo ermetico volto alla crescita in senso qualitativo.
    Credo pertanto che l’opera del Maestro Kremmerz (e di tutti i Maestri che continuano la tradizione magica “pro salute populi”) rappresenti la vera fortuna di qualsiasi ricercatore di buona volontà impegnato a dare alla propria vita un senso e a riconoscere al proprio cervello un ruolo: non disgiunto dal cuore ma neppure dal sale necessario a intendere e non fraintendere gli ideali legati alla ricerca di una dimensione divina.
    Nella pratica, vitale scientifica e quotidiana, di quanto si apprende in questa Schola Philosophica Hermetica Classica Italica (che non a caso difende il proprio “Nome” per il valore di cui è tramite) sta dunque la ricchezza più alta che si possa concepire in un essere umano: il cammino alla sua integrazione.
    E questa è la mia esperienza in itinere…

    Anonimo
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    Originariamente postato da lucius
    Il 23 Febbraio 2012 alle ore 14:34

    Ho letto con interesse i post più recenti tra i quali ho trovato particolarmente stimolanti quelli di wiwa 70 del 16 e 18 febbraio e di Catulla 2008 del 17 /2 sui temi squisitamente ‘esistenziali’ del ‘ Dolore’ , della ‘Carità’ e ,quindi, della terapeutica ermetica applicata, fino alla concezione ‘filogenetica’ della ‘ VITA ‘.
    Lungi da me presumere di aver correttamente compreso i significati veri e profondi delle categorie ‘spirituali’ evocate, non voglio però esimermi dall’analizzare alcuni aspetti ‘critici’ delle posizioni emerse dai post segnalati.
    Wiwa 70 richiama un virgolettato del Maestro Kremmerz ‘’ … se vuoi essere puro di mente e di desiderio, domanda a te stesso: se l’infermità di colui per il quale opererò … ecc.ecc. ‘’ chiedendosi se effettivamente la ‘carità’ consista nel richiamare su se stessi il male del sofferente che ci chiede l’aiuto terapeutico.
    L’argomento ( tipico) è stato posto innumerevoli volte, soprattutto dai novizi della Schola Kremmerziana.
    Le gerarchie non hanno mancato a più riprese di fugare dubbi e perplessità sull’argomento. Mi prendo l’ardire di riferirne , almeno secondo quanto da me recepito: La premessa è che una delle condizioni indispensabili perché il ‘ piccolo miracolo ‘ si realizzi è quella di porsi ( il più possibile) come ‘veicolo’ idoneo a richiamare le forze terapeutiche ( utilizzando anche gli strumenti rituali in dotazione) e ad indirizzarle teleurgicamente verso il malato (che ha rivolto una specifica e libera richiesta di aiuto) che trovasi in fiduciosa attesa. Uno dei parametri per misurare il livello di idoneità a tale veicolazione di energia sanatrice è, appunto, la ‘ purità di mente e di desiderio ‘, senza la quale poco o nulla si ottiene. D’altronde se non fosse necessaria tale condizione di purità non si comprenderebbe a cosa servono tutte le pratiche purificatorie che vengono prescritte. Pertanto, è solo per provare a se stessi ( una sorta di autotest) il grado di purità raggiunto che ci si può chiedere se si è veramente liberi da paure e/ o tentennamenti che, questi sì, sarebbero dei veri ostacoli alla realizzazione dell’atto di ‘amore’ e ‘carità’ verso l’umanità sofferente.
    Quindi,riassumendo: il processo graduale di purificazione ( rituale , ma anche di condotta di vita sana ed equilibrata) ci rende progressivamente sempre più idonei a veicolare le forze terapeutiche universali, al punto da superare qualsiasi paura e reticenza, compresa quella ( in realtà insussistente) di vedersi ‘contagiati’ dei mali del sofferente che ci chiede aiuto. Contagio non solo impossibile, ma soprattutto non richiesto né necessario. Per inciso, vorrei sottolineare che il tema della purità di mente e di desiderio è strettamente connesso con l’altro della ‘neutralità’ ermetica ( anch’esso da sempre dibattuto) che non significa ‘indifferenza’ ma, appunto, purità di mente e di desiderio, perché un più o meno marcato coinvolgimento emotivo/passionale inficia, appunto, quella purità sopradetta e quindi il risultato benefico atteso.
    Passando al post di Catulla 2008, è il concetto di ‘VITA’ , più volte richiamato, ad aver attirato la mia attenzione. Viene detto ‘’… ciò che cangia la terra in fiore, la crisalide in farfalla, ecc. …’’ è semplicemente la Vita. Ma, il dubbio mi sorge spontaneo, la Vita non è , a sua volta, il risultato di un processo complesso che ha come incipit lo Jod cabalistico, l’impulso principiale, la Volontà creatrice , cioè la VIRTU’ INFINITA (Sole dei Soli ) stigmatizzata dallo stesso Maestro Kremmerz? La Vita ne consegue e si manifesta in una miriade di forme !
    Così come, nel prosieguo del post si sostiene : ‘ … per donare qualcosa bisogna prima esserne possessori e, invece, non noi possediamo la Vita , ma è la Vita che possiede noi …’
    Posso sbagliare l’interpretazione, ma intravedo una sorta di improbabile dualismo tra NOI e la VITA.
    La Vita , secondo l’assunto , sarebbe possessore di noi e noi saremmo posseduti dalla Vita ?!
    A mio intendere, la Vita non possiede alcunché bensì semplicemente si manifesta in tutto il Creato ( e sorvolo sull’Increato, cioè sullo stato potenziale del non ancora manifesto) e quindi anche in noi umani.
    Possiamo dire, quindi, che noi siamo una delle tante manifestazioni della Vita e portatori , noi stessi, della Vita e trasmettitori di Vita, in comunicazione permanente con tutte le altre condizioni vitali, visibili o invisibili ai sensi umani. D’altronde il Maestro Kremmerz ha più volte sostenuto che la terapeutica ermetica si realizza come ‘trasfusione’ da vita a vita e, quindi, anche da uomo a uomo. Ciò in coerenza anche con il concetto : … quando tutto manca basta una parola buona, o anche solo un pensiero…
    Se noi non fossimo Vita non potremmo trasfondere Vita.
    Riassumendo, mi pare verosimile sostenere : Noi siamo manifestazione di Vita, quindi siamo Vita noi stessi, quindi possiamo trasmettere la Vita che è in noi e che è Noi.
    Spero di avere contribuito ad arricchire il dibattito . Sono peraltro convinto che ,al di là delle apparenti divergenze semantiche, le posizioni in campo sono sostanzialmente sovrapponibili e intercambiabili.

    Anonimo
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    Originariamente postato da ippogrifo11
    Il 23 Febbraio 2012 alle ore 20:18

    Entro nel dibattito che si sta sviluppando intorno alla questione sul modo di intendere l’approccio all’azione terapeutica e al rapporto con l’ammalato. La questione è invero di indubbio interesse e ancor più stimolante se si pensa che essa attiene alla pratica ortodossa indicata dalla Schola nell’esplicazione della sua unica finalità.
    Eviterò di affrontare la questione sotto la prospettiva teorica: inutile stare a filosofare su un argomento che, appartenendo alla pratica, è essenzialmente pratico. Dunque, porto sul piatto il risultato dell’esperienza condotta sul piano personale e maturata, almeno spero, attraverso l’esercizio pluriennale della pratica ortodossa.
    Comincio allora da quel poco che credo di aver capito praticando.
    L’ammalato che abbia richiesto l’aiuto terapeutico della Schola entra in contatto con la Catena di Miriam attraverso l’elemento-numero che fa da ponte tra lui e la catena stessa. L’azione terapeutica trae origine dalla virtù o dalle virtù condensate nel patrimonio tradizionale e ortodosso “vivificato” (e perciò reso attivo) dal Centro. L’azione, forza in atto, passa attraverso l’elemento-numero (organismo vivente e intelligente [con qualche riserva su quest’ultimo punto]) ed è da questi diretta verso l’obiettivo: l’ammalato. Da qui in poi, l’azione terapeutica svolge il proprio corso, interagendo in primis con la volontà occulta dell’ammalato stesso, volontà – inutile ricordarlo – sulla quale incide probabilmente poco la volontà consapevole dello stesso ammalato e ancor meno, anzi nulla, la volontà dell’elemento-numero.
    Allora, quale dev’essere la condizione che si richiede all’elemento numero nel corso dell’azione terapeutica?
    Nessun’altra al di fuori dell’unica cosa che è chiamato a fare: fare da “canale”.
    A questo punto, la questione si sposta sul “canale”, il quale può essere:
    ostruito (condizione limite, forse, ma non impossibile)
    parzialmente ostruito o, se si preferisce, in versione più ottimistica, parzialmente disostruito (condizione, ahimé, assai diffusa)
    disostruito (condizione ideale ma non verosimile in esseri in itinere).
    Dunque, come “canali” o “tramiti”, per usare la logologia della Schola, nella migliore delle ipotesi non opponiamo “resistenze” al fluire dell’azione terapeutica. Nell’ipotesi invece più verosimile opponiamo le resistenze dovute al fatto che la nostra ‘materia vivente’, che è materia materiale ma anche materia psichica, ha le sue dinamiche che non sempre sono allineate con l’azione in essere. La cosa è di per sé già complicata e perciò è inutile complicarla ancora di più inframmezzandovi, nel momento in cui facciamo da ponte, idee circa l’amore, la malattia, la compassione e simili.
    Dirigiamo semplicemente la volontà che sta a presidio della nostra azione verso l’obiettivo cui è destinata. L’azione va a compimento con la conclusione del rito e perciò non può avere code, nel senso di aspettative circa il risultato dell’azione stessa.
    E l’amore?
    L’amore è uno stato di essere dell’operatore, non legato all’ammalato e ancor meno legato alla malattia. E’ un vibrare di per sé, in uno col compimento del rito. Il problema sta nell’evocarlo, questo stato, e, quando vi si riesce, fissarlo.
    Ecco, questo è il poco che ho capito e di sicuro, per questo poco avrei potuto utilizzare meno parole.

    Anonimo
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    Originariamente postato da diogenon-
    Il 24 Febbraio 2012 alle ore 15:49

    Veramente interessanti gli spunti offerti dagli ultimi post. Per essere testimone della mia piccola esperienza mi son sempre domandato cosa fosse lo stato d’amore e ho intravisto nella sperimentazione hermetica una probante possibilità per esserne in qualche misura toccato. Ora se gli strumenti rituali hanno intrinseca la dinamica per manifestarne la potestà sanatrice proveniente dal Centro erogatore Luce e Salute, di concerto il praticante si offre, come già ampiamente detto nei post precedenti, quale tramite più o meno cosciente. Per lo stato in cui provare a mettersi vorrei riprendere dalla “Parola al Taumaturgo”, alcune toccanti parole del Maestro alle quali cerco di far appello quando incontro una persona sofferente:

    “Sottilmente, benevolmente chi vuol provare deve sentire tutta l’ampiezza di uno stato di responsabilità, tenera responsabilità, come si sentirebbe spontaneamente per un fanciullino che senza parlare domanda aiuto nel muovere i primi passi; come l’ospite che apre la porta di sua casa ad una persona amica e la investe della sua padronanza; come si può percepire il sentimento di protezione per un debole che stia per annegare e al quale si stende la mano e lo si salva senza pensare né alla gratitudine di costui pel suo salvatore né alla costanza del suo amore per chi gli ridà la vita…Il malato, il dolorante è un’anima senza aiuto, che chiede e ricerca come un uccellino disperso dal gelo e battuto dalla bufera, un nido caldo e calmo. Si metta il protettore nella condizione di essere per l’ammalato nido, calore, affetto, madre, fratello, vita e sentirà in se riposare, come in un rifugio di salvezza, l’animo fatigato che chiede mercé e tutto vedrà compiuto.”

    E credetemi non è così facile e scontato … un abbraccio a tutti.

    Anonimo
    Inattivo
    Post totali: 307

    Originariamente postato da catulla2008
    Il 25 Febbraio 2012 alle ore 15:34

    Ritorno nel dibattito che è nato anche per via di un mio ‘appassionato’ post. L’argomento è infatti molto importante e tocca corde profonde – in me come in altri – poiché attiene all’impulso più intimo dell’essere in merito alla propria origine e alla propria direzione.
    Materia, Energia, Vita…: è l’inscindibile connubio delle prime due a generare la Vita. In questo senso noi apparteniamo alla Vita in quanto ne siamo una delle tante forme. E il concetto di Amore, dopo quello di Bene, derivano dall’Intelligenza arcana che, unica, può portarci alla conoscenza del Vero…: così troviamo sancito nei riferimenti della nostra Schola. Nessun dualismo quindi e piena concordanza con Lucius (né potrebbe essere diversamente) quando assume che la Vita è mirionima.
    Certo vi è, come vi è sempre stata, una Scienza Sacra che, sottoposta alla Legge e in uno con le Virtù umane, perpetua la Sorgente della Vita stessa. E proprio perché in uno con l’Umana Virtù, la Scienza non può prescindere da essa per una trasmissione “Divina”, cioè attinente l’Idea originaria. Però, come ci viene ricordato dai Maestri della nostra tradizione, “la scienza Pura, Sovrana, Perfetta prescinde dalle sue applicazioni alla vita sociale e ripudia come temporanee e caduche TUTTE le formazioni filiali restando AL DI SOPRA di tutte le mutabilità della politica e delle religioni” (dall’intervento del Maestro Iah-hel nel libro “Giuliano Kremmerz l’eredità isiaca e osiridea dell’Egitto sacerdotale”, edito nel 2002 e tuttora disponibile mediante l’Editrice Laterza) .
    Ecco dunque la grandiosità di un metodo ermetico che annovera, fra le sue caratteristiche, anche l’elasticità affinché ciascuno possa trovare la propria strada. Nondimeno – e per fortuna degli ammalati che entrano in contatto con uno dei componenti della Fratellanza – la perfezione individuale non è condizione all’elargizione di aiuto terapeutico: anche perché è la Catena a elargire e non il singolo iscritto.
    Ciò è tanto più evidente quando si pensa che la Schola è aperta a tutti e che, appena iscritti (!), già si è tramiti… Di cosa? Di Vita, di Salute, di Forza N che DALLE SORGENTI DEL SIMBOLICO NILO si propagano verso la periferia e verso chi si predispone al sostegno del proprio principio vitale e del potenziamento alle cure mediche.
    Non si tratta perciò di domandarsi se si è pronti al sacrificio (?!) ma di attivarsi in modo assolutamente scientifico, scrupoloso e costante per essere canale verso chi chiede in modo che quella Forza N, proveniente dal Centro, nell’esplicazione dell’applicazione terapeutica (unica consentita!) passando da noi renda gradualmente anche noi omologhi alla Sorgente. E, dato che il procedimento è, appunto, scientifico, riesce infallantemente… in tempi proporzionali alla resistenza del mezzo o alla sua ‘ostruzione’ (per dirla con le parole di Ippogrifo)!
    In questo senso intendo la compartecipazione: come cammino di integrazione a quella Vita che sì, permea tutti, ma la cui coscienza dispositiva giunge dopo una pratica – tradizionale, ortodossa e scientifica – di durata X e quindi non a caso o per mistica imitazione del Cristo.
    Niente dono dunque se non quello che riceviamo mettendo mano agli strumenti che ci vengono forniti per l’aggancio ortodosso a una tradizione millenaria (e che agiscono costantemente nel momento in cui siamo agganciati e non solo per un pugno di minuti al giorno!).
    Niente trasmissione della nostra piccola vita (?!).
    Niente certificato di idoneità per diventare iscritti (non ci sarebbe nessuno!!!… o quasi).
    La Pragmatica Fondamentale su cui si basa la nostra Schola specifica infatti che “la propaganda è dei (soli) Maestri…”. E che significa propaganda? Non già quella elettorale, dove la base elegge il suo capo, ma quella etimologicamente intesa che dalla radice sanscrita di ‘legare’, fissare, consolidare, significa la moltiplicazione per via di riproduzione (dal Centro alla periferia).
    E si sa che, per riprodursi, bisogna avere raggiunto la maturità!

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