Taggato: Egitto, Golden Parade, mummie
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Ringrazio tutti i fratelli che hanno fatto chiarezza e ordine nel mio ricordo sconnesso,ma alla fine dei conti,è che quelle meravigliose esperienze abbiano portato a tutti noi un tassello in più d’aggiungere al lungo cammino intrapreso.Un saluto fraterno
L’esperienza di Montemonaco, nei miei ricordi, è legata molto alla bellezza del territorio intorno, ai colori mozzafiato delle colline crcostanti il paesino, alla dolce “scontrosità” di alcuni abitanti e al senso di fermento vitale che aleggiava nella sala del Centro Ellissa. Quante emozioni contrastanti ricordo! C’era curiosità, magia, stupore e…ancora tanta paura di espormi, di dire la mia… L’organizzazione dei seminari mi fu però di grande aiuto perchè, durando diversi giorni, dava non solo a tutti la possibilità di parteciparvi, ma in fondo aiutava anche chi, come me, “aveva bisogno di tempo per aprirsi”. L’escursione alla Gola dell’Infernaccio fu davvero particolare e utile: ricordo come procedemmo controccorrente, “come i salmoni” diceva iL Maestro… Ci fu anche un bivio sul percorso e la possibilità simbolica di seguire “un’altra Via” rispetto a quella più battuta: chi voleva, poteva scegliere!
Anche la Campania è terra di misteri, leggende e culti. Nel sito archeologico di Cuma, nell’area vulcanica dei Campi Flegrei, nel territorio di Bacoli e Pozzuoli, troviamo la prima città greca d’Italia – Cuma. In una grotta, in un antro scavato nella roccia, dimorava qui la famosa enigmatica Sacerdotessa Sibilla, preveggente e dispensatrice di oracoli. E’ un luogo magico, carico di vibrazioni, da inserire se non si è ancora visitato, nei propri itinerari da programmare.
Carissima Corolla, per antro della Sibilla ti riferisci a quell’affascinante camminamento trapezoidale scavato nella roccia o ad un’altra grotta?
A proposito di miti e leggende magiche del territorio italico, mi sono imbattuta nella pubblicazione di un libro intitolato”Fate, sibille e altre strane donne” scritto da una docente di Storia delle Tradizioni popolari” all’Università di Palermo(fondatrice di una casa editrice Folkstudio), che,tra le altre cose, parla delle “donne di fora”le quali,come gli anziani raccontano di aver visto e tramandano di generazione in generazione,si riunivano nella Piazzetta detta delle Sette Fate, in una torre oggi abbandonata,nel centro storico di Palermo. Per ‘Donne di fora’ s’intendeva sette creature magiche, fate, legate al mondo degli incanti,ma allo stesso tempo, donne in carne ed ossa,in grado d’interagire col mondo dei vivi ed oltre…capaci di apparire e scomparire e di conoscere i meriti e le colpe di chi camminava sulla loro strada e la stessa leggenda viene riportata da un antropologo in “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano” che le descrive dicendo”queste bellissime donne di fuori, di notte uscivano nel cortile della Piazzetta mostrando al fortunato\a di passaggio: balli, suoni, feste e cose grandi. Se li portavano sopra al mare, fuori fuori, e li facevano camminare sull’acqua senza farli bagnare. Ogni notte compivano questa magia”. La torretta serviva a distribuire l’acqua del fiume Gabriele alla città, eppure, durante la notte gli anziani, assicurano di aver visto luci e colori!
La grotta dimora della Sibilla Cumana nel territorio flegreo – per quanto ne sappia – negli antichi tempi si è poi trasformata nel cunicolo a struttura trapezoidale edificata per mano dell’uomo. Non sono un’esperta, la mia segnalazione riguarda per lo più l’atmosfera particolare del luogo e le vibrazioni arcaiche naturalmente percepibili.
Hai perfettamente ragione! Tutto il territorio flegreo è così ricco di suggestioni mitiche e leggendarie che anche se probabilmente quel camminamento non ha a che vedere con l’antica dimora della Sibilla Cumana, come evidenziò Amedeo Maiuri già negli anni trenta del Novecento, in quel luogo denso di indubbio fascino, come ti ho scritto, si sono senz’altro fissati gli sguardi, le attenzioni, le speranze, di tantissima gente e a questo punto, potrebbe anche essere il caso di dire: vox populi, vox Dei !!! Ci perdoneranno gli archeologi anche perché, al di la dell’ubicazione esatta dell’antro da cui vaticinava all’origine, la voce della Sibilla riecheggia magnificamente e da millenni di arcaiche vibrazioni, come hai giustamente scritto, per tutta l’area flegrea …
Un caro salutoNon posso che unirmi ai vostri pensieri, alle emozioni di tanti di voi che, come me, hanno avuto la fortuna di poter condividere tante esperienze a Montemonaco…… esperienze uniche, indimenticabili, che lasciano una impronta indelebile, incancellabile….. esperienze che, ognuna nella sua specificità, veniva virtualizzata e finalizzata da Chi ce ne faceva dono per Amore affinchè potesse essere ulteriore strumento di Bene per la nostra Salute ed Evoluzione e potesse aiutarci a crescere, ad acquisire nuove consapevolezze e a poter cosi essere in grado di dare ad altri……. un seme messo a dimora ormai per sempre lì, nelle nostre cellule, dentro ognuno di noi, che ha prodotto subito frutti per i più pronti , più lentamente per altri o che è ancora lì , vivo e pronto ad aprirsi e a fruttificare quando la Vita lo chiamerà alla sua funzione….
Quasi sempre al mio ritorno da quelle giornate speciali avevo il bisogno di fermare sulla carta quel grandissimo vissuto come, per bisogno, mi accade sempre quando vivo delle forti emozioni…….
Ne riporto una perché, anche se so che le mie sono piccole e semplici parole che non esprimono sicuramente appieno la sostanza di quei meravigliosi doni, voglio comunque condividerla con chi non ha avuto la fortuna di poter esserci e partecipare, quale augurio per loro, e anche per noi, di poter ancora viverne altre…….
“Aria di rugiada, profumo di terra bagnata, sorgente di acqua pura,un tino coperto al centro di un’ara, avvolta da rami di germogli fioriti. Un grande bosco, tra i rami filtra una luce dolce, di primo mattino, per un attimo il sole irrora il tutto della sua luce, della sua forza, del suo calore e tutto, per pochi minuti, si illumina, il sole sembra consacrare quel rito, sembra volerci dire sono qui, vi guardo, vi osservo, vi proteggo. Il tino viene scoperto, acqua limpida, profumata, con fiori, rami, frutti ed essa stessa sembra viva, vibrante, germogliante di fiori e frutti. Ne prendiamo, ne assaporiamo il profumo, ci bagniamo la lasciamo dolcemente entrare dentro di noi. Mi sembra che quell’acqua dia vita, forza, energia, calore, amore e che ci inondi di tutto quello che possiede. Siamo in una magia, una magia perpetua, infinita, di amore, di forza della natura, di bellezza della natura e mi sento nel Tutto. C’è silenzio, unione, fratellanza, amore, rispetto per sé, per gli altri, per quel bosco che ci accoglie, che si offre a noi, che ci dà. Vorrei saper dare qualcosa in cambio, vorrei poter promettere, vorrei essere sempre in grado di rispettare, di amare, di donare, come quel bosco con noi. Il silenzio, tutto è nel silenzio delle cose, nel sentire senza parlare, ci si allontana in punta di piedi, senza far rumore, come se non si volesse disturbare l’intimità del bosco, per poter ascoltare solo la sua voce. E’ bellissimo!”
……. non posso e non potrò che essere per sempre grata per tutto questo….. e per tantissimo altro ancora……
Un fraterno saluto a tutte/i……..Desidero citare un altro Luogo situato all’interno del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, Elea Velia. L’Accademia Sebezia, anni fa, si è occupata di Velia e della Scuola Eleatica, organizzando anche un’indimenticabile visita in questa antica polis.Ricordo il nostro ingresso nell’archeosito da via Porta Rosa e la passeggiata silenziosa tra l’agorà, l’acropoli, i quartieri, le terme… Leggemmo con atten zione e rispetto alcuni versi di Parmenide, il cui percorso conoscitivo si snoda per due vie – l’Essere e il Non Essere. Avvertimmmo forte la presenza del culto tributato ad Apollo Oulis (non a caso il figlio di Apollo, Asclepio è considerato il padre della medicina. Gli ammalati devoti ad Apollo cadevano in un sonno letargico per essere guariti, ma la tecnica dell’incubazione è legata anche al nome di Parmenide, come si evince da un frammento rinvenuto alla base di alcuni busti. Nella Scuola Eleatica i medici erano tutti sacerdoti-terapeuti, operanti in sinergia, uniti dalla devozione al divino Apollo, supremo guaritore e consolatore.E’ stata un’esperienza molto interessante e coinvolgente.
Le leggende delle “Donne di Fora” o comunque di misteriose ed affascinanti creature che presenziano e “sorvegliano” certi passaggi, mi ha ricordato che in moltissime favole si racconta di questo: il cammino è spesso presenziato da gnomi o folletti, fate o maghe, che si fanno avanti per scrutare o mettere alla prova il viandante pellegrino in terra straniera. Un viandante che, beninteso, si è spinto oltre il proprio orto ed è “sicuro” di dove si stia dirigendo… Penso anche al fatto che in alcune fiabe, tali creature prendessero forme a noi note ma allo stesso tempo “invisibili” agli occhi (tronchi d’albero, sassi,ecc.). Sentire, poi, di come alcuni fratelli abbiano fatto esperienza,ognuno a suo modo, di situazioni simili mi riempie il cuore di stupore e tenerezza perchè ho sempre creduto, fin da bambina, che esistesse davvero il “Piccolo Mondo” o la “Piccola Gente”, come spesso sono descritti nei libri. Del resto, molti autori ne hanno parlato; penso a Tolkien ma anche a Barry, con il suo Peter Pan e la regina delle Fate.
Un altro luogo dove ho percepito “ le vibrazioni arcaiche” di cui parlava Corolla, è stato un luogo ricco di magia naturale, mi riferisco a quello che dal medioevo in poi fu definito “il castello di Venere” ad Erice, luogo frequentato dalle popolazioni locali fin dalla preistoria come attestano vari reperti rinvenuti nell’area e, a partire dall’età Arcaica (VII-VI sec.a.C.) così come testimoniato dalle fonti storiche e soprattutto da alcune iscrizioni ritrovate ad Erice, il sito fu sede di un santuario dedicato al culto di divinità femminili della fecondità (sono state trovate dediche in fenicio ad Astarte, in greco ad Afrodite e in latino a Venere). La notorietà del santuario nel quale si praticava la prostituzione sacra così come in altri coevi santuari sparsi lungo le principali rotte marittime del Mediterraneo, si accrebbe dopo la conquista della Sicilia da parte dei Romani nel III secolo a.C. che identificarono la dea con Venere portando il suo culto anche a Roma dove furono dedicati due templi a Venere Ericina.
Or bene, al di là delle notizie storiche quello che mi ha colpito in quel posto, così per come era concepito, uno spazio pianeggiante vagamente circolare sulla sommità di uno sperone di roccia a strapiombo sul mare quasi sospeso nell’aria in bilico tra cielo terra e acqua, dedicato all’Amore, è che anche oggi, seppur con solo poche pietre rimaste, è ancora e sempre lì a celebrare lo ierosgamos sacro in cui tutti gli elementi si incontrano e unificano in un atto creativo infinito “perché ciò che presiede alla fusione delle sostanze di natura separata è principio femminile cui si dette nome Amore negli esseri a forma umana” E per un attimo un sorriso, dalle profondità del mare, è affiorato alle mie labbra…Tendere ad integrare, laddove è possibile, “sacro e profano” , ossia ciò che riguarda la via evolutiva e le esperienze di vita quotidiana è un obiettivo importante. Se un luogo (paese, museo, area naturale, monumento, ecc.) ci fa riflettere su noi stessi in rapporto al percorso ermetico, scopriamo che i segni di quest’ultimo sono impressi da millenni in numerosissimi luoghi, messi lì come memoria dei punti cruciali di un percorso senza tempo. Alle volte basta allontanarsi poco da casa. Ma anche un incontro casuale e significativo in un viaggio, o un luogo che ci evoca qualcosa possono testimoniare uno dei tanti modi in cui la dimensione ermetica si estende alla nostra realtà di tutti i giorni. Porto esempi: come si può, girando per la Campania, non pensare all’arrivo in queste terre della sapienza egizia? quando templi, affreschi, oggetti, iscrizioni, a volte nomi – Pozzuoli ha molti esercizi pubblici chiamati Serapide, Osiride, ecc. – ce lo ricorda? Oppure la Villa dei Misteri a Pompei. Molti studiosi affermano che la megalografia nel suo insieme mostra l’esperienza misterica dell’iniziazione dionisiaca per lo più amministrata da donne. Una serie di pannelli a grandezza naturale infatti fermano scene rituali e momenti salienti del percorso misterico attraverso espedienti pittorici. A me ha sempre colpito oltremodo (e interpretato così) il pannello ove un sileno offre una coppa ad un giovane che vi guarda dentro, come per specchiarsi in essa mentre, dietro di lui, un altro identico al primo, alza alla sua destra (est) una maschera. Il giovane che si specchia, dunque, vede se stesso come maschera, e questa – secondo il rituale dionisiaco – annunciava la presenza del nume. Questa scena mi ha sempre ricordato l’anelito di ogni aspirante a che il proprio essere interiore, dopo un percorso purificatorio, venga alla luce.
Il post di Tenaquilla mi ricorda una esperienza di qualche tempo fa.
Quante volte avevo sentito, o meglio, letto, la frase “estasi dionisiaca” ebbene quando nella realtà mi sono trovata di fronte al “Satiro Danzante” di Mazara del Vallo, qualcosa è scattato dentro di me e quella condizione è uscita fuori da un confine più o meno immaginifico per diventare reale e concreta.
Si tratta di una statua in bronzo (di dimensioni un po’ superiori a quelle umane) raffigurante un satiro danzante che poggia sulla gamba destra (parzialmente mancante) mentre la sinistra è piegata indietro in una posizione gentile ed aerea, mancano le braccia che, se ci si rifà alla stessa immagine immortalata (mi sembra) in un bassorilievo, avrebbero dovuto impugnare, probabilmente, il tirso e il calice simboli del culto dionisiaco. Ma la cosa più strabiliante è il volto, che conserva, intatti, gli occhi di alabastro, i capelli sospesi nel vortice delle danze e la bocca semiaperta, ebbene quella è l’immagine fissata per sempre, oltre i limiti spazio temporali, di un essere che si è realmente ricongiunto al suo Dio, in una forma di estasi mistica.Tra i luoghi in cui ho sentito della magia, c’è n’è uno vicino casa mia: si tratta di vysehrad, resti di una fortezza che si trovano su una collina che si affaccia sulla Moldava, il fiume che attraversa Praga. Si tratta di un posto che sento magnetico ma a cui la tradizione popolare pure attribuisce qualcosa, se oltre alle leggende vi è ai suoi piedi un ospedale molto ricercato dalle partorienti. Inoltre é un luogo associato alle origini mitiche di Praga ed ad una tradizione del femminile che in qualche modo sopravvive se è vero che la protagonista della storia che seguirà, la regina Libuse figlia di una ninfa e chiaroveggente, nonché principessa che si sceglie il marito nel popolo, è ricordata in un opera lirica nazionale che si rappresenta ogni anno (vedasi anche il film the pagan Queen). ma ecco la storia:
un giorno Přemysl e Libuše camminavano insieme al loro seguito sugli spalti del vecchio palazzo di Libusín. Era sera: il sole si stava abbassando sui boschi lontani, che tutto intorno avevano lasciato il posto ai campi coltivati e ai villaggi, e l’ombra del castello cadeva alle spalle del fiume. Libuše si volse verso le ombre azzurre e tiepide della notte che avanzava e all’improvviso un gran silenzio s’impossessò di tutte le cose della terra e dell’aria. Nessuno del loro seguito aprì bocca: il vento trattene il fiato e gli uccelli che avevano cantato fino a quel momento, ammutolirono nelle chiome degli alberi. Libuše levò un braccio, e come toccando qualcosa in lontananza, mosse delicatamente le dita e disse:Vedo una città
che sarà illustre nel mondo
e la cui gloria raggiunge le stelle.
Questo luogo è celato nelle profondità dei boschi,
a nord lo protegge la valle del Brusnice,
a sud una grande montagna rocciosa.
La Moldava si apre la strada sotto le sue pendici.
Costruite questa città, ve l’ordino,
là dove io vi indicherò.
Sulla Moldava, sotto Petřín,
un falegname fabbrichi con il figlio una soglia;
e per questa soglia chiamate la città Praga.
I popoli, seppur forti come leoni,
curveranno la testa davanti a questa soglia
per averla salva.
Così la mia città
avrà lode e gloria.Přemysl e i suoi uomini guardarono in quella direzione, ma videro solo la notte che avanzava. Poi lo spirito divinatorio abbandonò Libuše e il bagliore negli occhi si spense. E quando fu mattino, Libuše chiamò i capotribù dei vari distretti e li mandò nella direzione indicata con la raccomandazione di fermarsi dove avrebbero trovato un uomo che faceva buon uso dei denti.
I messi giunsero in un luogo chiamato Petřín, a nord del Vyšehrad, sulla Moldava, e qui trovarono un contadino e suo figlio che tagliavano un albero con una sega. Essi giudicarono che il contadino stesse appunto facendo buon uso dei denti della sega. In quel luogo sorse una grande fortezza, e un villaggio sotto la fortezza, che poi si sarebbe allargato fino a diventare la capitale del popolo cèco, e, giacché con l’albero che stava tagliando il contadino intendeva fare una soglia [prah], la città che vi sorse si chiamò Praga [Praha].
La storia completa è
http://bifrost.it/Sintesi/Libuse.htmlImmediatamente il post di Guglielmo Tell mi ha richiamato il racconto letto mentre eravamo tutti insieme a Solleone e scritto da Matilde Serao su Partenope.
(cito) “…la capanna del pastore sorge accanto quella del pescatore; la rozza e primitiva arte dell’agricoltura, le industrie manuali appena sul nascere compiono fervidamente la loro opera. Prima sorge sull’altura, il villaggio a grado a grado guadagna la pianura; un’altra colonia se ne va sopra un’altra collina ed il secondo villaggio si unisce col primo; le vie si tracciano, la fabbrica delle mura, cui tutti concorrono, rinserra poco a poco nel suo cerchio una città. Tutto questo ha fatto Parthenope. Lei volle la città.”
Trovo dunque bellissima e intrigante l’idea che alla fondazione di una città presieda una ninfa “la vergine, la donna… immortale” che “splendida, giovane e bella, (vive) da cinquemila anni”.
I miti di fondazione solitamente sono associati agli uomini e privilegiano l’aspetto pratico, manuale…: un po’ l’equivalente dei denti di cui fare buon uso. Dunque fa piacere che di là dalle tradizioni orali note si tramandi anche quella meno consueta della presenza di un eterno femminino, ispiratore di ogni nucleo coagulato intorno a un centro e che questo avvenga a Napoli come a Praga.
Qualcuno ha notizia di altri miti simili? -
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