“…idee, le quali ad ogni minuto e sotto lo stimolo delle passioni, dell’interesse, o della necessità, ci inondano senza determinare la propria origine, perché anche le idee antiche, che sono state nostre in altre vite nostre, subiscono le leggi trasformatrici dell’adattamento alla vita attuale, e ci sembrano naturalmente moderne”.
In questo periodo di rinascita della Natura ciascuno di noi spera di fare altrettanto conservando – come Lei fa nei semi – l’esperienza nella memoria.
Un paio di anni fa, uno studio pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience da un gruppo di scienziati della Emory University di Atlanta, forniva evidenza del fenomeno della cosiddetta “eredità epigenetica transgenerazionale” per cui i ricordi si trasmetterebbero dai genitori ai figli “imprimendosi nel Dna” e influenzando lo sviluppo cerebrale e i comportamenti delle generazioni successive.
La scoperta poteva dar ragione del perché – ad esempio – un evento traumatico che ha toccato un antenato continua a influenzare la famiglia anche dopo molte generazioni successive. Dimostrava infatti che una condizione in cui l’ambiente esterno influenza la genetica di un individuo (ne modifica il Dna) rende il cambiamento ereditabile.
Di nuovo sul rapporto tra DNA e memoria, nell’autunno dello scorso 2014 giunse notizia che il bioingegnere Timothy Lu del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge aveva realizzato un nuovo registratore che permette di creare colture di cellule in grado di rilevare le informazioni nel loro ambiente e conservarle per un uso successivo. “Costruire circuiti genetici richiede non solo il calcolo e la logica, ma un modo per memorizzare le informazioni,” – disse -“Il DNA fornisce una forma stabile di memoria e ci permetterà di fare più complesse attività di elaborazione.” Nel loro studio, Lu e il suo collega Fahim Farzadfard descrivono come si possano registrare molti tipi di dati contemporaneamente, e come le informazioni memorizzate possano essere lette dalla sequenza di DNA proprio come il contachilometri di una macchina registra i chilometri. “È una bella aggiunta alla cassetta degli attrezzi che potrebbe integrare altre tecniche di memorizzazione” – afferma Jérôme Bonnet, bioingegnere al Centro di Biochimica strutturale a Montpellier, in Francia, pur non avendo partecipato alla ricerca. “C’è spazio per diversi tipi di memoria in biologia sintetica – asserisce – come i computer hanno il disco rigido e la RAM”. La memoria informa tutta la cultura, non solo in una parte. Farzadfard e Lu hanno pure dimostrato che tale memoria cellulare collettiva può essere invertita e riscritta e che, inserendo proteine fotosensibili nel circuito genetico, questo può anche essere attivato dalla luce. Inoltre, i bioingegneri sono stati in grado di utilizzare le cellule per registrare due variabili in una sola volta e pensano che la loro tecnica potrebbe essere facilmente scalata fino a eseguire compiti più complessi. Questa tecnica potrebbe inoltre investire altri ambiti oltre la biologia sintetica. Danwei Huangfu, biologo di cellule staminali al Memorial Sloan Kettering Institute di New York, prevede di sfruttarla per regolare l’espressione genica in cellule trapiantate che vengono utilizzate per il trattamento del diabete o per effettuare precise variazioni genetiche (per esempio nel tessuto pancreatico lasciando intatte le cellule del fegato).
Dopo tutto ciò mi domando: ma noi, popolo di Miriam, recheremo impressa la memoria di questo nutrimento grande? La trasmetteremo ai nostri figli e ai loro figli? E i nostri discendenti, magari leggendo La Pietra Angolare fra cent’anni, ne verranno risvegliati dal profumo?
“…perché anche le idee antiche, che sono state nostre in altre vite nostre, subiscono le leggi trasformatrici dell’adattamento alla vita attuale, e ci sembrano naturalmente moderne”.
Original author: sal