Il Carnevale, come molte altre usanze popolari, si rifà a logiche antiche, basate sulla concretezza della pratica e tradotte dal simbolismo sacerdotale come sempre articolato a più livelli: da quello riservato agli “addetti ai lavori” a quello popolare. Diogenonn ricordava le usanze dell’antica Roma col Navigium Isidis: presente anche nei libri dei moderni ricercatori come lo scomparso giornalista Cattabiani, il Carro navale di babilonese memoria recava il simulacro del dio Luna e dio Sole che veniva trasferito al santuario, culla della rigenerazione. Morti mescolati ai vivi e animali benedetti insieme agli esseri umani, caratterizzavano e caratterizzano nelle usanze la rimescolanza tipica del Caos ricordato dalla Direzione della Schola.
I coriandoli, confetti multicolore tipici del Rinascimento italiano poi ripresi in veste cartacea nel XIX secolo, vanno nel senso del medesimo sgretolamento gioioso. Sottolinea Kremmerz “la fine di un mondo non è sempre la frantumazione del pianeta tanto piccolo che noi abitiamo …la fine del mondo può essere la morte di tutta la rancida vecchiaia, sommersa da un ringiovanimento di luce e di pensieri che, sorti dai sepolcreti fatidici, riprendono la missione già anticipata, e rinnovano, rigenerano idee e visioni nel mondo esteriore”.
La maschera di Arlecchino trasferisce nel costume questa trasposizione multicolore. Nella commedia dell’arte, l’abito di Arlecchino ha forma e foggia eguali a quello di Pulcinella, suo fratello minore. Si dice infatti che quest’ultimo nasca quaranta o cinquanta anni dopo il primo, come ne fosse la trasformazione o continuazione naturale. Forse che come tutti i colori risolvono nel bianco anche Arlecchino risolve in Pulcinella?
Bianco come la neve e le colombe, Pulcinella è però nero sotto il cappuccio. Le sue tinte sono le stesse dell’esoterico Jupiter fattosi cigno per ingravidare Leda e quindi indicante l’umanazione della divinità. La fiaba del brutto anatroccolo racconta ai bambini di ogni generazione come spesso ciò che appare diverso e sproporzionato deve solo fare il proprio tempo prima di mostrarsi in tutta la propria magnificenza, capace di dispiegare le ali e volare…
“Che cosa è la vita e lo spirito vitale?” Kremmerz invita a chiedersi. E ancora: “se non fossimo civilmente educati a stimar la morte come un istante solenne di una gravità sublime, ci metteremmo a ridere…”.
L’ultimo giorno di ‘grasso’ è martedì, giorno di marte che trova il suo grafema in un sole che lancia una freccia: è il trapasso?
Al martedì, ultimo giorno del Carnevale, segue infatti il mercoledì delle ceneri: nel giorno di Mercurio-Ermete, messaggero tra l’umano e il divino, quando anche l’ultima umidità radicata nella materia vivente è evaporata, gli occhi spalancati della maschera volgono oltre il rigor mortis e “Ciò” che aveva corpo perde gradatamente nome e forma in un processo inverso a quello l’aveva individuato… Ma questa è un’altra storia.
Kremmerz conclude: “Le leggende dei culti, la passione di Mardruk, la passione di Osiride, la passione di Cristo, sono lacrime e martiri, morti e resurrezioni… Osiride rinasce nella vita vegetante e animale … La morte in Egitto è un mutamento di stato”.
Original author: sal