Reply To: Considerazioni ermetiche su progresso, civiltà, educazione e vita sociale.

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Quando a scuola affronto la prima lezione di sociologia, di solito, la definisco come lo studio delle scienze umane condotto con un metodo scientifico, per lo più di tipo statistico; questo perché, nell’analizzare le scienze umane, intervengono altri meccanismi e altri processi di cambiamento che portano all’innovazione, all’autoregolazione, alla conservazione e all’autoconservazione, in qualsiasi struttura sociale, di ogni ordine e grado, di ogni civiltà e di ogni epoca. Proprio come nelle attuali e “innovative” considerazioni di Kremmerz, la ricerca sociologica di un cammino comune in questo connubio individuo/umanità, spesso si avvale di altre discipline come la filosofia sociale, la psicologia, l’antropologia culturale, la scienza, il diritto e, ovviamente, la storia; ma ciò che accomuna tutte queste discipline è l’idea di fondo che l’uomo sia una sorta di animale indefinito, caratterizzato da una serie di mancanze, tra cui un bagaglio istintivo sottosviluppato, (per via delle numerose sovrastrutture), rispetto agli altri animali, che lo rende volubile e vulnerabile da un lato, e dotato di una particolare apertura al mondo, dall’altro. Quest’ultima caratteristica si è rivelata, tuttavia, estremamente utile e duttile, riuscendo a compensare e a superare difficoltà che gli altri animali non sono stati in grado di affrontare. Quindi, nei secoli, sono state ideate serie di ordini culturali e simbolici per compensare le umane mancanze biologiche. E qual è il risultato di questi studi e di queste teorie? Che l’uomo, spinto da un naturale e basico istinto di sopravvivenza ha nel tempo plasmato la propria struttura biologica, a seconda dei variabili fattori ambientali; grazie alla sua “apertura al mondo”, ha maturato una specie di mainframe, in cui il sistema genetico ha elaborato dati e input neuro-ambientali, spinto da un’unica finalità: evoluzione e sopravvivenza, con tutti gli errori e gli orrori storici e attuali che ne sono derivati. Perché evoluzione e sopravvivenza, volendo assumere un atteggiamento antropologico, non sono legati né al bene, né al male, come gli anticorpi che combattono un virus, sono solo due forze che collimano, la vittoria dell’uno o dell’altro, la decidiamo noi, secondo la nostra memoria storico – genetica e la nostra propensione (reale e materiale) alla guarigione. Perché se c’è una cosa che ho imparato negli ultimi anni, sociologia a parte, è che Amore non è una volontà statica, ma la propensione dinamica frutto di obiettivi raggiunti precedentemente e proiettati a traguardi futuri. Quindi se la società progredirà attraverso l’invenzione di una nuova cura o la rielaborazione di una vecchia o solo sperimentando come i fattori socio ambientali incidano sulla nostra salute, il nostro neuro – mainframe lo saprà. E le prossime generazioni avranno una cartella genetica in più da consultare. Sperando che la sappiano aprire.

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