Reply To: Comunicazione importante

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Originariamente postato da catulla2008
Il 18 Ottobre 2012 alle ore 15:28

In questo sito, là dove “La parola del Taumaturgo” si occupa della teleurgia o terapeutica a distanza, si menziona quel passo di Kremmerz in cui è detto: “Io sono ammalato e ricorro ad un fratello della “Miriam… mi metto in uno stato di affettuosa aspettativa che stabilisce, per sé stessa, una porta spalancata all’idea dinamica che mi viene mandata. Per questa ragione io predico sempre ai condiscepoli che non bisogna mai occuparsi delle persone che non chiedono. Se noi vogliamo curar un uomo che non ci domanda niente, troviamo la porta sbarrata col catenaccio”.
L’enunciato è una semplice verità scientifica: anche se sono allacciato all’Ente per l’energia elettrica, devo comunque mettere la spina nella presa per poterne usufruirne ed è con questo atto e non con la sola sottoscrizione dell’abbonamento che manifesto la mia volontà di fare. Lo stesso accade nella Fratellanza: il malato non è che l’anello finale di una catena (potremmo dire il consumatore finale?), anello imprescindibile senza il quale non vi è possibilità di manifestazione dell’energia terapeutica (fides/fede, cui rimanda Sannitica, viene dal sanscrito ‘legame’).
Quanto al discorso su desiderio e volontà (sottolineato da Ippogrifo) è un terreno arduo. Ad esempio “mi piacerebbe studiare l’inglese” è diverso da “mi iscrivo a una scuola di inglese”; “vorrei dimagrire” è diverso dallo “smetto di mangiare dolci e bere bibite e cammino mezz’ora al giorno”. Insomma il vecchio proverbio che sostiene la differenza tra il dire e il fare è più che mai valido quando si tratta della nostra salute.
Mi piace ricordare la giornata di studio tenutasi nel 2010 a Vico Equense in cui, durante il Convegno che vide avvicendarsi astronomi, giuristi, storici e soprattutto medici, uno di questi ultimi sottolineò l’importanza dell’ambiente nello scatenarsi di patologie rimaste latenti nell’organismo e mai manifestatesi prima pur essendo il soggetto geneticamente predisposto. A quanto pare non si pensa mai che il primo ambiente in cui si permane è il corpo nostro, con i pensieri che abbiamo, le ansie, le ambizioni, le arrabbiature, le frustrazioni a volte molto più inquinanti di un gas tossico: e tuttavia è così. Ed è da questo ambiente, non solo dalle aree industriali, che spesso giunge l’innesco alla patologia cui siamo geneticamente predisposti, ma di cui non siamo vittime fino a quando le condizioni non diventano favorevoli all’elemento patogeno.
Prendere coscienza della capacità che abbiamo di farci male è il passo necessario per divenire consapevoli della capacità che abbiamo di farci bene. Così, quando questa capacità fosse indebolita per l’usura del fisico, occorre che insieme alla medicina venga il cambiamento; insieme alla richiesta di aiuto la disposizione all’aiuto stesso. Altrimenti “non funziona”. Non PUO’ funzionare – per dirla con Segezia…

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