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ippogrifo11
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Segnalo ai frequentatori del sito un articolo che mi è capitato sotto gli occhi ieri sera, mentre spulciavo fra le tante notizie proposte dalla logica insondabile dell’algoritmo che ti accoglie e ti accompagna non appena ti connetti all’universo del web. L’articolo è introdotto con le parole seguenti: “Un picco nell’attività cerebrale verso la fine della vita potrebbe essere la prova che l’anima (o la coscienza) sta abbandonando il corpo” e fa riferimento a uno studio citato dal prof. Stuart Hameroff, anestesista docente all’Università dell’Arizona, sul New York Post. Per inciso, il prof. Hameroff ha lavorato in stretta collaborazione col fisico e matematico britannico Roger Penrose, docente di matematica presso il Mathematical Institute della Oxford University, a una possibile rappresentazione quantistica della coscienza e delle strutture cerebrali che ne formano il substrato materiale, visione per altro fortemente avversata da molti scienziati contemporanei.
Ebbene, nello studio citato da Hameroff si afferma che è stato monitorato il cervello di un paziente clinicamente morto con i sensori di un elettroencefalogramma, che hanno catturato una scarica di energia dopo la morte. Nell’articolo è detto testualmente. “Tutto era scomparso, poi quando non c’era più pressione sanguigna né frequenza cardiaca è stata registrata questa scarica”. Hameroff ha affermato che l’ondata di attività così registrata si configura come attività chiamata “sincronia gamma”, ossia un tipo di schema di onde cerebrali collegato al pensiero cosciente, alla consapevolezza e alla percezione. Rilevata dall’EEG, questa scarica può durare dai 30 ai 90 secondi (un tempo, a mio avviso, davvero rilevante trattandosi di un organismo caratterizzato dalla totale assenza di segni vitali). Sempre Hameroff riporta che gli scettici hanno sostenuto che, se non si tratta di un’illusione, potrebbe trattarsi dell’ultimo “sussulto” dei neuroni prima della morte (se non che – è ancora una mia riflessione – parrebbe che la morte fosse già avvenuta, per quanto, quando si parla di morte è preferibile parlare di un processo piuttosto che di un evento).
Personalmente, oltre alle osservazioni già esposte, non faccio altri commenti e resto in attesa che studi ulteriori, sperabilmente obiettivi e non condizionati da pregiudizi o da orientamenti individuali, possano offrirci una rappresentazione più attendibile di una fenomenologia che, se reale, si presenta quanto meno intrigante.
Un saluto a tutti i frequentatori del sito.

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