Debbo dire che quel Mitico Albero Robusto dal fogliame spesso…., particolarmente idoneo ad offrire riparo contro le tempeste (tra l’altro sempre più frequenti con i tempi che corrono e con i cambiamenti climatici qualunque ne sia la causa) l’ho sempre immaginato come una Quercia. G_b ci ricorda, dati scientifici alla mano, che la statua di Mefite, presente presso il Museo Irpino di Avellino, è stata intagliata in un tronco di quercia di circa mezzo secolo. Oltre all’archetipo di forza, resistenza, compattezza, stabilità che fanno capo a questa pianta (quercus robur, famiglia fagaceae cioè dei faggi, robusti per eccellenza) in fitoterapia esistono diversi usi legati alle proprietà tipiche dell’albero, in primis per i tannini presenti nella corteccia che svolgono azione antinfiammatoria, immunostimolante, che in sinergia con i flavonoidi agiscono positivamente anche sul microcircolo, un po’ come fanno in modo più selettivo i mirtilli di bosco ed il dolcetto, intendo quello che si possa definire “sciroppo d’uva”, che per essere “doc” deve depositare sul fondo bottiglia appunto i tannini, cosa che fanno molti vini rossi, in quanto questi polifenoli sono presenti nelle bucce dell’uva, nei semi all’interno dell’acino, nel raspo, la parte lignea del grappolo. Nelle giuste dosi e con pochi solfiti, quindi consumato con scienza e coscienza, anche questo sciroppo è terapeutico. Dulcis in fundo, il frutto della quercia: la ghianda, la noce con un solo seme ricchissimo di carboidrati, che per millenni, prima dell’avvento della moderna agricoltura con la coltivazione dei cereali, ha rappresentato una fonte di cibo per i nostri antenati, ora a completa disposizione di scoiattoli e altri piccoli roditori, ma anche di cinghiali orsi e cervi, e tra i volatili, in primis la ghiandaia, a cui deve la propria etimologia talmente ne è sempre stata ghiotta e parimenti associata.
Un caro saluto ed una buona domenica a tutti.