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Buteo
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Riconosco che l’ambientazione ‘primordiale’ del film abbia indotto a chiedermi se fossero veramente così primitive le popolazioni italiche dell’VIII sec. a.C., coeve a quegli etruschi, che ho sempre percepito civili e raffinati. Ma, forse, il particolare storiografico assume secondaria importanza perché qui a parlare è il mito e nel mito la narrazione si pone al di fuori del tempo e dello spazio. Sappiamo che il mito è tale perché vive in ogni epoca: forma le coscienze, è raccontato ai giovani, perché entri e agisca in loro attraverso l’analogia e li trasformi.
La primitività, la brutalità, l’uso del protolatino hanno rievocato anche in me il contesto ebraico-cristiano, come rappresentato ne ‘La passione di Cristo’ del 2004 (che non mi è mai interessato vedere). Non riesco però qui a cogliere la divisione manichea fra Male e Bene dell’Antico Testamento, dove Caino è il Male e Abele è il Bene. Sono gli Albani il Male e sono i Romani il Bene? O è Remo il Male e Romolo il Bene?
Io ho visto due eroi, due uomini che sono ‘fratelli’ e che pensano e agiscono in sintonia. Cosa li spinge? il Bene? Direi piuttosto l’inesorabile legge di Natura che dà vita o dà morte.
Tutto il branco, in entrambi i popoli, è composto da uomini ‘forti e brutali’, Romolo e Remo inclusi. Quale la differenza fra loro e gli altri? La forza fisica? Sì, forse, ma direi piuttosto l’intelligenza e l’astuzia, la capacità di attuare una lucida strategia. Fra i due fratelli c’è unità di mente e di cuore. Di più, c’è Amore: sono ‘la foglia e il suo dorso’, dirà la Vestale. La loro non è lotta per il potere e non è lotta per il bene: è lotta obbligata per la sopravvivenza di se stessi in primis e degli uomini coi quali fanno gruppo poi, consapevoli di essere reciprocamente gli uni indispensabili agli altri. La vittoria, di cui i fratelli si rendono artefici, dà loro lo scettro del comando. La regalità è riconosciuta sul campo perché lì è conquistata (come è in ogni settore delle cose umane, come è per l’iniziato la conquista della propria evoluzione). E sarà Remo ad assumerla in sé, perché l’amato fratello è ferito e ed è in lotta fra la vita e la morte. Non per questo lo abbandonerà, anzi. Remo prosegue guidando da solo il piccolo drappello che è diventato il suo popolo, difendendo strenuamente il fratello, fino a quando non cadrà. Quando cade Remo? Quando sarà chiesto all’Aruspice di leggere il destino di quel popolo nelle viscere dell’animale sacrificato. È lì che Remo, percorrendo il solco scavato nella sua mente dal pensiero di essere egli il Re, fraintende, convinto che ormai la regalità sia cosa sua. E crede di dover compiere il destino. Non questo aveva detto la Vestale. La foglia si sarebbe staccata dal suo dorso, uno dei fratelli avrebbe ucciso l’altro: solo allora il destino si sarebbe compiuto, solo allora uno dei due fratelli, e non dice quale, sarebbe stato il Re.
Ecco perché rispetto alle elucubrazioni mentali, il mito mi affascina. Le immagini del mito sono una fantasmagoria della vita da cui si emana un flusso che entra e amplia la coscienza, che guida e indica ostacoli, pericoli…

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