Rispondi a: alcune tradizioni legate al solstizio d'inverno

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Macrobio
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Nella nostra tradizione italiana – e italica – si pongono i dolci natalizi e fra tutti il pangiallo tipico della Tuscia e di Roma. L’origine di questo dolce è antichissima e ne è stata tramandata la ricetta da Apicio nel suo De Rerum Coquinaria e allora, oltre all’innegabile bontà del prodotto che un goloso come il sottoscritto non avrebbe potuto non apprezzare, mi sono provato ad analizzare il dolce e gli ingredienti. Innanzi tutti è di forma tondeggiante con una glassa di colore giallo data dallo zafferano ed subito il primo elemento un disco solare che viene prodotto al Solstizio, giorno della rinascita del Sole. E’ composto di frutta secca quale mandorle, noci e nocciole e dolcificato con il miele. Dunque la mandorla: il nome dal dizionario etimologico deriva da mandula, migdala, amigdala , nomi di origine semitica che molti studiosi ritengono essere il nome frigio di Cibele, che significherebbe la grande madre (Francesco Bonomi, Vocabolario etimologico della Lingua Italiana). Il mandorlo è il primo albero che fiorisce in primavera ed è uno dei primi alberi da frutto a esser stati coltivati e la prima testimonianza di mandorlo domestico è stata trovata nella tomba di Tutankamon ed è da sempre considerato simbolo di rinascita. Il suo frutto, la mandorla, ha forma ellittica è stata detta anticamente “vescica piscis” la cui figura deriva dall’intersezione di due circonferenze di stesso raggio i cui centri giacciono ognuno sulla circonferenza dell’altro. Questo simbolo era conosciuto fin dall’antica Mesopotamia, associato ai culti della fertilità della Dea Madre; a Delfi il luogo dove la Pizia vaticinava era a forma di omphalos ovoidale (Delphos in greco è sia “ventre” che “delfino”, ed ecco la vescica piscis); la cosìddetta tavola nundinale è basata sul disegno base di questi cerchi che si intersecano, stesso disegno del fiore della vita, simbolo presente dall’antichità e passato ai Templari. La forma stessa della mandorla è una stilizzazione della vulva e questo ci conduce anche all’altro ingrediente, la noce (non dimentichiamo gli antichi romani chiamavano la mandorla “noce greca”) e l’albero di noce ha nome latino Juglans regia e Juglans è una contrazione di Jovis glans, ossia, ghianda di Giove. Ed ecco anche qui un richiamo alla fecondità, la ghianda, ovverosia, il glande, a causa della somiglianza nella forma oltre che gli antichi trovavano una somiglianza tra il frutto acerbo della ghianda, la noce, con i testicoli.
Anche la nocciola assume il simbolo di fertilità e fecondità e gli per antichi Romani donare nocciole era augurio di prosperità. Inoltre Hermes aveva una verga di nocciolo con i due serpenti arrotolati e nella tradizione popolare camminare con un bastone di nocciolo aiutava a tener lontani i serpenti oltre all’uso dello stesso legno per importanti pratiche magiche.
Nella lista degli ingredienti del nostro pangiallo poi figura il miele per il quale potremmo discorrere a lungo e mi limiterò alla simbologia legata alle api, strettamente connesse anch’esse alla fertilità e il miele da loro prodotto, preziosissimo e piovuto dal cielo, e raccolto – racconta Porfirio ne L’antro delle Ninfe – in oscure caverne, antri sacri alle Ninfe il cui significato è stato studiato a fondo in uno dei nostri Quaderni d’Accademia.
E dunque: simboli di fertilità e rinascita mescolati con il dolcissimo e sacro frutto del lavorio delle api disposti a forma di disco circolare di colore giallo oro. Troviamo quindi in una antichissima ricetta riuniti tutta una serie di simboli importanti e pieni di significato che ben ci aiutano ad individuare quanto nell’antichità fosse ben chiaro su questo momento di rinascita simbolica del Sole, il disco luminoso che noi tutti ci auguriamo ci illumini della sua Luce Divina e vivificatrice.
Credo che quest’anno consumare pangiallo sarà piacevole non solo per il palato…
Un affettuoso saluto.

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