Visto il tema formativo che si sta trattando, il fenomeno di questa sindrome di hikikomori, in arrivo in modo dirompente dal Giappone, merita di parlarne, forse il più possibile. Letteralmente la parola sta a significare lo “stare in disparte, isolarsi”, da hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”, ed è utilizzata per definire coloro che hanno scelto isolarsi dalla vita sociale, spesso utilizzando forme estreme di emarginazione. Sono all’incirca stimati in Giappone circa mezzo milione di casi, in Europa e negli States, identificarli è più difficile perché il fenomeno è assai più recente e spesso scambiato come eccessiva dipendenza da internet o da videogiochi. Non mi stupisce il fatto che tale pathos parta proprio dal Giappone fin dagli anni ottanta, riguardi una sistema sociale ben noto e decisamente solido, in quanto iperattivo, ipertecnologico, iperproduttivo (ma con troppi iper per prima cosa). Leggo che la sintesi psicoterapeutica fonda l’anamnesi del disturbo ad una lacuna formativa circa la figura paterna, a cui fa da specchio una eccessiva protettività della madre. Il quadro familiare si completa nel riflesso sociale, dove le aspettative verso il successo personale, l’autorealizzazione e la conseguente autostima sono tirate alla massima potenza. Esattamente il contrario, credo proprio, di quanto andrebbe fatto in campo educativo. In primis, se le conclusioni cliniche sono esatte, verissimo che in un sistema spinto a manetta nell’ottica del lavoro, della carriera e del guadagno, i papà, anziché dedicare i giusti tempi e le dovute attenzioni ai loro pargoli, siano impegnatissimi nel migliorare la propria posizione sociale, per cui ci si scusa in buona fede con sé stessi, pensando che così si garantisce qualcosa in più anche ai figlioli. D’altronde, se il dato culturale caratterizzante un determinato modello sociale è quello, tutti stanno dentro a quel modello. Qualche addetto ai lavori in campo clinico, ha semplicemente definito questa categoria di ragazzi, secondo me con il dovuto rispetto che sempre bisogna avere dinanzi ad un qualunque quadro patologico che crea sofferenza, eremiti post-moderni. Mi auguro che una presa d’atto in campo scientifico, che parte proprio dal paese dove il fenomeno è nato, paese il Giappone all’avanguardia in tutti i campi dello scibile umano, induca alle giuste riflessioni circa qualche variante alle massime che ispirano e caratterizzano il quadro sociale, in quanto l’essere umano va ricondotto all’interno di ritmi più sintonici con madre natura e meno proiettati ad una condizione di artificialità dove guarda caso, certi pathos trovano le migliori condizioni per incubare i disturbi che all’improvviso si vanno poi a manifestare. Altrimenti, il rischio, o come dimostrano tali accadimenti, qualcosa in più del fattore rischio, è di girare a vuoto fac-simile criceto nella ruota, nel senso che si corre troppo per soddisfare bisogni artificiali, dopodiché, i cocci….. sono i nostri!!!
Un caro saluto ed una buona domenica.