A guardare con altri occhi la nostra attuale gioventù, si potrebbe cogliere un ritorno – piuttosto evidente – proprio a quell’arcaico linguaggio di simboli. Di fatto, per i nostri ragazzi, le linee del volto e del corpo sono messaggio concreto e prevalente rispetto a migliaia di parole, e quando comunicano cercano sempre più spesso e volentieri la sintesi di un’espressione. Tanto più vero, questo, che la stessa tecnologia si è dovuta attrezzare con immagini da caricare sui cellulari in modo da consentire la formulazione di ‘frasi’ mediante la sequenza di figure.
Domandiamoci dunque perché e cosa ci accomuna nella nascente società a quegli antenati lontani.
D’istinto direi che, ora come allora, e differentemente da quanto perpetuato negli ultimi millenni, c’è il forte sentimento della fugacità del tempo nonché la necessità di vivere l’attimo.
Noi, umanità secolo XXI d.c., abbiamo bisogno di contatti immediati, essenziali, davvero comuni anche con chi viene da fuori o incontriamo essendo fuori.
È un fatto: grandi spazi territoriali generano fatalmente segni piccoli di scambio rapido.
Insomna, ritorniamo formiche e -speriamo! – verso l’Unità Regina.
E, a proposito, anche noi abbiamo i murales…