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Buteo
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Vorrei condividere alcune riflessioni dal film d’animazione Inside out, del 2015, che ho visto il mese scorso in tv. Nel film ogni essere, animali compresi, appare sotto l’egida di 5 emozioni primarie: Gioia, Tristezza, Paura, Ira, Disgusto, tutte alla consolle di comando della personalità, una di loro con la prerogativa di capo. Dalla loro combinazione armonica deriverebbe una vita equilibrata e serena.
Come sappiamo, le emozioni si generano nella parte più antica del cervello, il sistema limbico, in reazione agli stimoli provenienti dagli organi di senso o per attivazione di aree del ricordo.
Sappiamo che l’ambiente o mondo esterno è percepito tramite i recettori sensitivi, nei quali si originano le sensazioni e che tutte, olfattive escluse, afferiscono al talamo, centro di raccolta, d’interconnessione e di ricetrasmissione fra periferia, aree paleocorticali e neocorteccia.
Alla nascita, delle aree cerebrali, a essere pienamente attiva è quella ancestrale, là dove si generano le emozioni e le reazioni connesse alla sopravvivenza, che sono innate, cioè presenti in tutti gli esseri e riscontrate in tutte le popolazioni. Nella prima infanzia vi afferiscono gli stimoli senza l’intermediazione della neocorteccia, che sappiamo strutturarsi sugli accadimenti dall’epoca prenatale in poi, in risonanza con le emozioni provate e con le esperienze vissute dal bimbo.
Ogni evento, quindi, è percepito tramite i sensi, trasferito al talamo e da qui al sistema limbico dove sorge l’emozione, o un susseguirsi di emozioni in relazione alla modalità di percezione dell’evento stesso nel suo svolgersi fino alla conclusione, allorquando l’evento sarà incasellato nel circuito della memoria, tinto di quella emozione che alla fine sarà stata la predominante (la palla di un certo colore nel film).
Alcuni eventi saranno d’importanza tale da diventare ‘ricordi base’, quelli cioè che fungeranno da ‘traccia’ alla capacità di sentire e di agire della personalità, condizionando il nostro modo di recepire gli eventi e le nostre reazioni agli stessi. Questo perché successivi eventi, assimilabili a quelli già occorsi, troveranno la matrice in quel primo ricordo a cui è associata quell’emozione, che sarà automaticamente richiamata alla memoria e che farà vivere la nuova situazione sotto la tinta di quella prima (o prime) emozioni. In questo modo si struttura, o sovrastruttura, la nostra modalità di porci al mondo. Il meccanismo, di difficile esposizione, è ben evidente nel film, che invito pertanto a vedere.
Da queste premesse, ciò che vedo importante e ben posto in luce nel film è la funzione di Gioia.
La vediamo affacciarsi per prima alla neonata Riley e subito innamorarsi di lei. Innamorarsi che vuol dire averne cura, proteggerla, seguirla e sostenerla negli accadimenti perché ogni evento, qualsiasi esso sia, si strutturi in esperienza positiva. Vediamo con quanta cura agisca sui ricordi base, affinché si stabilizzino nel color della Gioia: su questi si costruiranno le isole della personalità, che sono i piedistalli nel percorso della vita, cioè le risorse interiori che si attiveranno per affrontare tutto ciò che accade. E vediamo come protegga questi ricordi dalla contaminazione, dalla distruzione…
Ma chi è Gioia? Non certo un’emozione. L’emozione è solo una reazione che si manifesta sul piano fisico e psichico. La Gioia rappresentata nel film è Volontà di Gioia. È l’essere interiore, attivissimo e combattivo. E tutta la sua irrefrenabile e disperata battaglia è ben espressa nel film. Non dimentichiamo che noi vediamo Riley e Gioia dalla nascita fin alle soglie della pubertà. Vediamo Reily crescere e strutturarsi. Gioia è già. Gioia è sempre attenta e pronta. Eppure assistiamo a quanto sia impotente, a quanto il suo affannarsi, correre, lanciarsi non preservi le isole della personalità dalla distruzione e Riley dalla disperazione. E questo perché Riley è una bambina, non ha ancora un bagaglio attrezzato per agire autonomamente con efficacia nel mondo. Gioia non può agire sull’ambiente esterno. Ad agire perché Gioia prevalga in Riley spetta ai genitori, ovvero a chi la Natura ha posto a tutela e cura dei nuovi esseri. Nel film si vede bene come siano essi a far sì che ogni evento sia ‘presentato’ alla bimba, cioè filtrato attraverso loro, che saranno barriera alle sue paure, conforto alla sua tristezza, capaci di consolarla con amore, rassicurarla e così rinforzarla affinché poco per volta Riley acquisti in sé la capacità di trovare quelle vie d’uscita in ogni evenienza sfavorevole e sappia godere appieno e gioiosamente di quelle favorevoli. Ed è ben evidenziato come il ritorno dell’attenzione e della cura dei genitori permetta il riattivarsi efficace di Gioia e la costruzione di nuove e più numerose isole della personalità a disposizione di Riley.
Il film mi riporta alla necessità che ha il bimbo della presenza della madre, della sua amorevole presenza, e del sostegno del padre. Infanzia che sia né borotalco e batuffoli né trascuratezza o violenza, ma infanzia cui sia consentito vivere la vita della madre, il che vuol dire per il bimbo star con lei, assorbire da lei, dai fatti che quotidianamente le accadono e dalle emozioni che lei vive, l’esperienza di vita, così come è per tutti i cuccioli in Natura.
E mi riporta alla fatica di vivere, adulto, su ‘isole della personalità’ traballanti o buie o gelide o violente o spaventose. Noi che sentiamo il richiamo alla ristrutturazione delle nostre isole e alla loro rigenerazione e trasformazione, possiamo trovarci di fronte a un lavoro immane, soli e senza genitori come siamo, se non fossimo accolti nella Fratellanza dove sono i Maestri a esser per noi quei genitori che con cura e Amore ci donano gli strumenti perché riattiviamo in noi la Volontà di Gioia, che in virtù di un benessere nostro da noi si diffonda alla materia tutta.

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