Tendere ad integrare, laddove è possibile, “sacro e profano” , ossia ciò che riguarda la via evolutiva e le esperienze di vita quotidiana è un obiettivo importante. Se un luogo (paese, museo, area naturale, monumento, ecc.) ci fa riflettere su noi stessi in rapporto al percorso ermetico, scopriamo che i segni di quest’ultimo sono impressi da millenni in numerosissimi luoghi, messi lì come memoria dei punti cruciali di un percorso senza tempo. Alle volte basta allontanarsi poco da casa. Ma anche un incontro casuale e significativo in un viaggio, o un luogo che ci evoca qualcosa possono testimoniare uno dei tanti modi in cui la dimensione ermetica si estende alla nostra realtà di tutti i giorni. Porto esempi: come si può, girando per la Campania, non pensare all’arrivo in queste terre della sapienza egizia? quando templi, affreschi, oggetti, iscrizioni, a volte nomi – Pozzuoli ha molti esercizi pubblici chiamati Serapide, Osiride, ecc. – ce lo ricorda? Oppure la Villa dei Misteri a Pompei. Molti studiosi affermano che la megalografia nel suo insieme mostra l’esperienza misterica dell’iniziazione dionisiaca per lo più amministrata da donne. Una serie di pannelli a grandezza naturale infatti fermano scene rituali e momenti salienti del percorso misterico attraverso espedienti pittorici. A me ha sempre colpito oltremodo (e interpretato così) il pannello ove un sileno offre una coppa ad un giovane che vi guarda dentro, come per specchiarsi in essa mentre, dietro di lui, un altro identico al primo, alza alla sua destra (est) una maschera. Il giovane che si specchia, dunque, vede se stesso come maschera, e questa – secondo il rituale dionisiaco – annunciava la presenza del nume. Questa scena mi ha sempre ricordato l’anelito di ogni aspirante a che il proprio essere interiore, dopo un percorso purificatorio, venga alla luce.