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Buteo
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Ci sono detti che appena coniati s’imprimono nell’immaginario e da lì in poi rientrano nel patrimonio della mentalità comune.
Tale è “L’uomo è ciò che mangia”. A coniarlo a metà ‘800 fu Ludwig Feuerbach, filosofo tedesco protestante (1804 – 1872). Oppositore del dualismo anima corpo, del pensiero religioso e di ogni filosofia che non tenga conto della corporeità, affermava: ‘Io sono un’essenza reale, sensibile’ ‘Il corpo nella sua totalità è il mio io, la mia essenza stessa’.
Sostenne che per migliorare la spiritualità di un popolo, occorresse risolvere l’indigenza, rendendo disponibile cibo in quantità adeguata. Intuì che, per l’inscindibilità di psiche e corpo, l’uomo debilitato perché affamato, difficilmente avrebbe potuto coltivare spirito e intelletto: ‘I cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e sentimenti. L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. Se volete far migliorare il popolo, in luogo di declamazioni contro il peccato, dategli un’alimentazione migliore. L’uomo è ciò che mangia”.
Era consapevole che il pensiero esiste perché esiste un corpo. E il corpo, per produrre adeguata attività di pensiero deve essere sano e per essere sano deve essere nutrito. Non era assolutamente né un principio salutistico né mistico. Era affermare la necessità di un corpo sano quale ‘conditio sine qua non’ per una progressione spirituale, come è nella tradizione ermetica.
Una differente lettura mi sembra spuria, come poco chiari gli attuali riferimenti al detto.
Se preso alla lettera, sembrerebbe che ‘l’essenza’ di ciò che mangiamo, animale o vegetale che sia, non solo permanga in noi, ma si introduca o si sostituisca alla nostra stessa essenza. Se questa è l’ipotesi, sarebbe opportuno che sia dimostrata.
Guardiamo cos’è il processo digestivo.
Il sistema gastrointestinale è la via d’ingresso nel corpo di sostanze nutritive, vitamine, sali minerali e liquidi. La fisiologica digestione comporta che la materia vivente ingerita, animale o vegetale, sia sottoposta all’azione meccanica di denti e parete gastroenterica e biochimica degli enzimi digestivi, che, dalla bocca in poi, attaccano la struttura organica in toto, agendo su tutti i suoi componenti, quindi su proteine, lipidi, glucidi e nucleotidi, scomponendoli nelle loro parti elementari. Sono assorbite le vitamine, non essendo l’organismo in grado di costruirle, mentre, a grandi linee, sono scissi in aminoacidi le proteine, in zuccheri semplici gli amidi, in acidi grassi i lipidi. Solo nel neonato alcune proteine, come le IgA contenute nel latte materno, passeranno integre nel circolo, ma dopo qualche mese non accadrà più.
A processo digestivo compiuto, nulla sarà rimasto della struttura originaria ingerita, totalmente scissa in quei ‘mattoncini’, che, assorbiti dagli enterociti, saranno immessi in circolo e utilizzati dalle cellule di ogni organo e apparato per i propri processi energetici e per la propria attività cellulare.
‘L’identità corporea’ o ‘essenza’ di quanto era entrato nella bocca non c’è più (salvo ipotesi da confermare).
L’altra considerazione è che l’atto del ‘mangiare’ è di ogni organismo animale.
Per vivere accrescersi e riprodursi, ogni animale ingerisce vegetali o animali o entrambi, a seconda di come sono andati conformandosi apparato digerente e proprietà digestive in ogni specie. L’elefante si nutre di foglie, rami, erba, fiori frutta. Il lupo di pecore, capre, camosci, conigli ecc. L’organismo animale, e noi apparteniamo al regno animale, si è andato strutturando in modo tale da poter utilizzare la materia vivente ingerita, avendola ridotta ai suoi componenti basali che sono assorbiti dalle cellule a vantaggio del proprio complesso organico. Ha un senso dire che l’elefante e il lupo sono ciò che mangiano? Aldilà del fatto che strutturalmente sono (e siamo) la rielaborazione della materia di cui si nutrono?

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