Non ho la competenza per parlare di “principio vitale” né di “trasmissione da vita a vita” come giustamente ha sottolineato Cerere6012. Quindi provo solo a descrivere per analogia quello che potrebbe essere un certo “meccanismo” mi si passi il termine, con cui l’aiuto terapeutico si possa manifestare nell’organismo che ne necessita. Catulla parlava del fuoco, e credo che l’immagine ben si presti allo scopo. Premesso che non penso si possa trasferire qualcosa, dal momento che questo qualcosa è già insito in ognuno: infatti nel modulo è specificato che il nostro aiuto mira ” a risvegliare, nel principio vitale insito in tutti gli organismi viventi,…”; per cui si deve per forza di cose ammettere che noi non trasferiamo niente di nostro, almeno questo è quanto al momento ho realizzato. Allora vediamo che cosa è il fuoco o fiamma, senza entrare nella chimico-fisica del fenomeno, ma osservando come esso venga trasferito da corpo a corpo. La fiamma non viene “appiccicata”, non ho detto appiccata, proprio per rendere l’idea di una aggiunta che presuppone una sottrazione da un elemento urente, ad un altro che prima ne fosse mancante. La fiamma attiva nel corpo con cui viene a contatto uno stato che è “affine” alla fiamma stessa ma è latente, allo stato potenziale e che può essere portato a liberare la sua qualità di fuoco per poco che venga “attivato” da una condizione di livello energetico appropriato. Quindi non è mancante la possibilità di esprimere fuoco in una sostanza, ma è solo mancante quella energia che può farle fare il salto di qualità. Allora, è possibile che l’aiuto terapeutico segua questa stessa modalità di espressione? E’ possibile che chi opera per la Terapeutica possa, coll’impiego degli strumenti a disposizione e ponendosi in uno stato di equilibrio (quindi senza passioni) e in “tensione fermentativa” far sì che il “principio vitale” ( di cui non conosco l’identità) sia attivato con un'”infiammazione” e quindi possa rimettersi energeticamente a posto?
Un caro saluto