Tutti gli animali che si riproducono sessualmente hanno avuto due genitori, ma non necessariamente cure parentali. Esistono specie, soprattutto marine, che rilasciano uova e spermatozoi nell’ambiente circostante e, all’estremo opposto, mammiferi, uccelli e anche alcuni fra i vertebrati inferiori e gli invertebrati, che prevedono contatto prolungato fra genitori e prole.
Le rane liberano le uova fecondate nell’ambiente acquatico e non forniscono cure parentali. Uno studio condotto su 354 specie, delle oltre 6000 note, pubblicato dal National Geographic Italia, ha riscontrato che 57 specie si prendono cura degli embrioni. E ognuna in un modo particolare.
Ad es., la rana giamaicana delle grotte trasporta l’intera covata, che può comprendere fino a 70 individui completamente sviluppati, sul dorso della madre dalla grotta in cui è nata fino alla foresta, che sarà il loro habitat; le femmine di Leptodactylus producono un muco schiumoso ove depongono le uova, se ne prendono cura e difendono i girini dai potenziali predatori. Nel caso del Dendrobate pigmeo (centro America), il padre si occupa delle uova proteggendole e idratandole. Alla schiusa la madre trasporta e deposita ciascun girino in una piscinetta diversa (il fiore di una bromeliacea), di cui ricorda la postazione e fa ripetutamente ritorno in ognuno dei siti per fornire cibo a ciascun piccolo.
Modi così differenti in specie che, appartenenti allo stesso ordine, dovrebbero avere stesso comportamento, non possono che essere conseguenti alla situazione ambientale in cui sono venute a trovarsi: si sono sviluppati nuovi modelli e quelli che più hanno dato vantaggio riproduttivo sono stati adottati. L’ambiente causa modifiche nel comportamento dell’individuo che sono trasmesse alla prole, ovvero agisce a livello di geni e dei gameti, incidendo sul codice genetico della specie. Ciò è possibile perché i geni non si attivano da soli, ma sono “accesi” o “spenti” dall’epigenoma, il complesso sistema biochimico di regolazione che silenzia o attiva l’attività trascrizionale dei geni, senza modificare la sequenza del DNA. Fattori epigenetici agiscono acetilando o metilando il gene interessato, che se acetilato si svolge e si attiva, se metilato rimane avvolto e inattivo.
Per effetto dell’ambiente l’epigenoma attiva o inibisce il gene e l’interazione geni-ambiente diviene il nodo fondamentale nella regolazione del comportamento, dove l’ambiente influisce per 2/3 e la genetica per 1/3. La progenie eredita, dai propri genitori, i geni e le modifiche che l’ambiente produce sulla loro espressione. Oggi la scuola inglese di Etologia asserisce che non esiste alcun carattere (comportamentale o altro) che non sia frutto di un’interazione tra fattori genetici e fattori ambientali.
Uno studio condotto su ratti, le cui madri presentano differenze interindividuali verso i cuccioli, alcune somministrando alte cure materne, altre essendo trascuranti, ha scoperto che i piccoli che ricevono elevate cure materne (quindi con madri che li mordicchiano e leccano) hanno alti livelli di serotonina e, da adulti, un livello ridotto di stress, rispetto a quelli allevati da madri che interagiscono poco con loro. La serotonina aumenta, per meccanismo di regolazione epigenetica, l’espressione dei recettori per i glucocorticoidi nei neuroni ippocampali, inibendo la produzione di cortisolo, conseguente all’attivazione dell’asse ipotalamo ipofisi surrene che si avrebbe in risposta all’evento stressante. L’espressività dei recettori per i glucocorticoidi nell’adulto, rimarrà nella vita dell’animale quello determinato dalle cure materne ricevute da piccolo.
Sempre in rapporto alle cure materne nei ratti, il prof. Biggio (Napoli) ha osservato modifiche strutturali a livello delle cellule neuronali. Dopo la nascita, la presenza per numero e per dinamicità delle spine dendritiche sui neuroni dell’ippocampo, aumenta progressivamente, ma nei piccoli delle mamme ratto che a 30 gg improvvisamente li svezzano allontanandoli da sé e interrompendo l’accudimento, questa crescita non solo si arresta, ma addirittura regredisce, con depauperamento della struttura cerebrale. I fattori di stress mentre causano riduzione volumetrica per compromessa neurogenesi e atrofia degli alberi dendritici nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale, provocano incremento anatomo-funzionale in diversi settori dell’amigdala, area che si attiva in seguito a stress/paura.
Studi di neuroscienze dimostrano oggi che la qualità delle cure materne negli animali e negli esseri umani svolge un ruolo importante sulla salute mentale e fisica della prole, quindi dei bambini e dei futuri adulti, perché agiscono sui circuiti implicati nel comportamento sociale ed emotivo, che sono tra quelle strutture funzionali dell’encefalo più sensibili all’effetto dell’esperienza e che più a lungo ne serbano memoria plastica.
Ma l’importanza dell’amore materno era già emersa dagli studi di etologi, medici e psicanalisti, condotti nei primi decenni del ‘900 mirati all’ontogenesi del comportamento in specie diverse, il cui punto focale d’interesse era il rapporto madre-prole.