Voglio intervenire in questo discorso così scientifico di materia e antimateria partecipandovi alcune riflessioni. Secoli di cristianesimo ci hanno inculcato la stramba idea che la nostra anima sia come l’acqua in un bicchiere, contenuta ma separata dal corpo. Così, ogni squilibrio, malattia, sofferenza che ci punzecchia siamo lì a preoccuparci di eliminare o tacitare quella che viene percepita come ribellione dell’organismo. Oppure, di contro, specie se siamo acculturati con qualche infarinatura di psicanalisi, ci mettiamo a indagare sul passato e l’inconscio e la parentela fino alla terza generazione convinti che la nostra indagine scioglierà senz’altro i nodi di ogni imperfezione…in virtù della concezione di perfezione finalmente (?!!!) acquisita.
Ma il nostro corpo siamo noi, e i suoi dolori il risultato di tutto quello che abbiamo fatto, detto, accumulato in ogni istante: dalle abitudini alimentari a quelle del pensiero; dai sussulti emotivi che ci sbattono nella giornata a quelli sensoriali che ubriacano di stimoli con odori, sapori, colori, rumori magari inutili quando non dannosi.
Insomma è vero che siamo UNO all’interno della circolarità della nostra catena, ma prima ancora siamo UNO all’interno della circolarità del nostro corpo dove ogni cosa – fatto, opinione, idea fugace – è noi e diventa noi continuamente. Siamo felicità e sofferenza prima ancora che questa diventi patologia. E siamo vizio e stortura prima ancora della malattia. E possiamo essere balsamo e salute prima ancora di ogni medicina.
Forse dunque la prima antimateria inafferrabile è davvero il pensiero: quello che si fa parola e poi opera, sia esso cosciente o inconsapevole.