“Oracoli – Misteri e Arti Divinatorie tra oriente e Occidente”

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In appendice: Giuliano Kremmerz “I tarocchi dal punto di vista filosofico”: Il Matto- Gli Amanti-La Morte.
(collana “Elissa”)

Tarocchi, Rune, Geomanzia, Chiromanzia, I Ching, Aruspicina, la Mantica del Lotto ecc. presentati in una sintesi ragionata da un’equipe di studiosi di estrazione diversa, per porgere a chiunque la possibilitˆ di scegliere il modo pi? congeniale per introdursi ai misteri oracolari, autoiniziandosi alla tessitura del proprio destino.

Pagine: 114
Prezzo: 16 €

ESAURITO

 

 

 

Si riporta di seguito l’Appendice del Libro:

I TAROCCHI DAL PUNTO DI VISTA FILOSOFICO
DI GIULIANO KREMMERZ

 (In Appendice al libro “Oracoli – Misteri e arti divinatorie tra Oriente e Occidente” – Collana “Elissa”, Editrice Miriamica, 1997).

Prefazione

Si annida in molti un vivo desiderio, una voglia grande di diventar maghi. Scienziati, filosofi, ricercatori indipendenti, dottori pratici di ipnotismo, magnetizzatori, ciarlatani, giornalisti, preti e mistici, tutti hanno la loro famosa idea della magia e dell’arcano magico.
Chi posa a superuomo arrivato al settimo cielo, chi a critico incredulo, chi a mistico, chi a pontefice che scomunica. Ma dal 1889 in cui cominciai a scrivere della Scienza dei Magi, un progresso enorme si è compiuto: la scienza umana, osservatrice e sperimentale, attraverso tanti studi e memorie d’indole diversa, è arrivata a capire e a confessare che vi è qualche cosa nell’uomo vivente la quale a prima vista non appare, una riserva di forze ignorate che in certi momenti non precisabili possono dare fenomeni inaspettati ed effettivi.
Se l’uomo non fosse la bestia più intelligente e dotta della zoologia, si contenterebbe di mettere a profitto quello che ha trovato e provato, per allargare la conoscenza pratica di queste realizzazioni di poteri occulti che sono in noi.
Poteri che sono in noi, non in noi che abbiamo imparato a leggere e in noi che abbiamo studiato nelle scuole statali un sacco di belle cose scientifiche (ora si insegna ufficialmente anche la psicologia sperimentale) ma in noi uomini, vale a dire in me, in voi, nel vostro portinaio, nel proto, nell’umile donnetta, nella gran dama che passa in automobile, e via di seguito.
Viceversa, l’uomo intelligente e dotto, fabbrica sul poco di pratica degli altri, castelli di teorie che imbrogliano peggio tutte le semplici osservazioni delle persone semplici, che tentano di sperimentare senza spiegarsi per il momento nulla; così non più il fenomeno delle forze occulte in noi si ricerca secondo natura, ma attraverso questo cumulo di teorie sballate, e si finisce in quella torre babelica che fu la confusione delle lingue ai tempi della storia sacra.
Per dirne una molti di quelli che si occupano in Italia e altrove di questi studi, mistici e teosofi per la maggior parte, oltre a screditare questa nostra Magia antica, vedono dovunque la Magia nera.
 Questo appellativo di NERA, mette i brividi. Deve commettere molte tonnellate di guai questa cosa tanto nera!
”La moda onesta è la spiritualizzazione, l’uomo deve evolvere in alto, non in basso; deve allontanarsi dalla materia, non involversi nella pesante e più bassa fanghiglia della terra; tutto ciò che è fine, scopo, preciso risultato che un mago si propone per beneficio suo o di altri, è un errore condannabile; ecco perché la Magia è da scartarsi, e la “nera” specialmente deve essere maledetta”.
Bisogna rispondere così: la Magia è filosofia pratica e naturale. Non è mago colui che non crea, non benefica, non guarisce, non prende, non dona, non consola, non prevede, non provvede, non ama, non benedice, non solleva, non difende, non abbatte, non arresta, non deprime.
 Le forze occulte residenti in noi, integrate in poteri che sono essenzialmente della nostra natura animale, come i muscoli del nostro corpo, diventano atrofiche se l’esercizio non le sviluppa rendendole elastiche.
 La volontà direttrice di queste forze è un riflesso di quella scintilla divina che è il nostro intelletto.
 Nell’equilibrio di spirito e materia, maritati in dolce temperamento, la volontà non è mai tentata a prevaricare: la giustizia nel desiderio determina la potenza realizzatrice della volontà, il fiat.
L’uomo deve tendere con tutte le sue forze all’integrazione dei poteri e delle virtù della sua personalità latente, dormiente, dimentica, innanzi alla nuova personalità che gli ha imposto la società in cui vive. Né mistico per eccesso di spirito, né bestia per preponderanza della parte più grave dei suoi elementi. Così, lentamente evolvendo, entra nel campo del mag: uno stato dell’essere che chi non prova non può intendere.
Trovo in un libro di persona molto stimata, che per auto ipnotizzazione i maghi ottengono tutto; così in un opuscolo americano che è emanazione di un’impresa per fare i maghi in ogni parte del mondo, a dieci dollari per mese. È tanto facile dire come gli altri fanno la magia, senza farla! Così le opinioni dei mistici, degli spiritisti, dei filosofi e dei teosofi.
Se riesci a fare quel che vuoi tu, in una zona di giustizia umana ove la tua coscienza resta pura, non trattenerti a realizzare il bene per te e per gli altri: guarendo, donando, rendendo felice anche per un istante chi ricorre a te per la più volgare delle cose; e non prendere sul serio i moniti delle persone che trovano degno dei superuomini il rifiuto a chi domanda aiuto.
 Giuliano Kremmerz.

1 – I TAROCCHI

Nello studiare le Scienze Occulte, procedete da idee semplici e chiare. Se lasciate briglia sciolta alla fantasia, all’immaginazione, troverete – nell’esagerata tensione del vostro orgoglio – di aver raccolto un risultato nullo. La Magia Naturale mette a profitto lo sviluppo delle forze occulte che si trovano nascoste in ogni organismo umano. Senza esagerare, sviluppa come può e per quel che può le manifestazioni che in noi possono produrre le forze non coltivate. Quando dico forze, dico vibrazioni sottili ed intelligenti del corpo umano, in se stesso preso come unità e nei rapporti con la natura universale. Il misterioso, il meraviglioso, il miracolo è nell’orbita della natura e non di là o sopra la natura. Sono le pratiche di leggi ignorate dalla conoscenza umana che presentano risultati non spiegabili e prodigiosi nell’insieme delle tante manifestazioni, sempre varie e sempre inattese.
 L’ignoranza e la superstizione dei volgari sono disorientate innanzi a fenomeni che l’uomo stesso produce in condizioni eccezionali, di cui non è facile darsi ragione. Un mondo di là è frutto e creazione di tutti gli uomini primitivi, che non possono spiegare fenomeni che non sono normali, cioè non facilmente producibili da tutti. Così furono creati i primi dei rudimentali dei selvaggi, così le religioni personificatrici di forze e di leggi naturali. L’errore di attribuire alle anime dei morti i miracoli dei vivi, è antica e sempre giovane testimonianza della ingenuità dei volghi.
 L’uomo che vola in aeroplano è un dio per le persone che ignorano gli studi progressivi che hanno fatto dell’aeronautica una scienza ed un’arte. L’uomo interiore come spirito vivente è stato preda delle istituzioni religiose, in tutti i tempi e sotto tutte le latitudini. È solamente da qualche secolo che la scienza ufficialmente riconosciuta, liberamente investiga gli stati speciali di rapporto tra il pensiero umano e la materia, e le risultanze di questi studi sono ancora modeste di fronte al grandioso intreccio di poteri dormienti nel nostro organismo ma, prima di conoscere le leggi del risveglio, passeranno ancora molti secoli!
 I ciarlatani profittano dell’ignoranza delle plebi intellettuali e ne sfruttano la credulità; il misticismo che è la parte più fragile del nostro meccanismo psichico, per educazione, tradizione e storia, aiuta ed alimenta lo stato di soggezione a divinità vecchie e nuove. Dove non sono creati dei astrusi o sanguinari come in oriente, si creano gli spiriti dei morti come in occidente.
La magia naturale resta nell’orbita della natura, contro le debolezze in buona fede di nuove religioni a base di spiriti disincarnati che tutti salutano come la religione dell’avvenire. E sarà sempre una religione, cioè una confessione dell’ignoranza umana delle leggi naturali che regolano gli spiriti dell’uomo vivente. Rispettiamo le onorevoli opinioni dei credenti, perché le scuole cristiane ci hanno inoculata la strabiliante concezione che la fede è nobiltà di espressione di anime pure e rette. La storia moderna comincerà quando una chimica nuova analizzerà e svolgerà gli elementi animici che costituiscono l’individuo uomo, e segnerà la fine di una lunga notte in cui l’uomo ha ignorato se stesso. La Cabala, per chi non lo sa, è la fisiologia delle leggi assolute e degli elementi immutabili della natura fisica, intelligente e mentale, della natura nella sua espressione concreta. La Cabala è forma ebraizzata della stessa filosofia orfica, egizia e pitagorica. La pitagorica è la più completa, ma è più difficile per intelletti non esercitati. Dunque in questa matematica di principi attivi e attivanti, il mondo Universo è concepito come un’unità, è l’unità più grande e la più assoluta, il macrocosmo visibile e invisibile nelle sue parti lontane a cui l’occhio e il telescopio non arrivano, tutto ciò che è, l’Essere incommensurabile, infinito.
L’uomo (ricordate l’enigma di Edipo) è l’unità immensurabile e infinita più piccola, è l’universo in piccolo; Essere breve, ma indeterminatamente profondo. È microcosmo nella vita della realtà concreta, finita ed infinita. L’Essere unitario immenso è globale, l’Universo grande è il pieno, il riempito, il gonfio. Etereo o pesante, è complesso di materia; superbamente evaporante e determinante correnti di sottili intelligentissime forme e forze, moto, vibrazione, armonia, dove ogni spostamento di molecole planetarie e stellari ha un riflesso e una reazione sui limiti più infinitamente lontani del grande corpo. Pitagora scriverebbe α (alfa) l’uno e il mille, il milione e l’infinito: il numero, cioè il valore per nessuna forza o concezione precisabile e limitato, e pure limitato nella precisione del numero che è grafico, e (quindi) per necessità finito. Bisogna intendere questo immenso che diventa finito, cioè determinato e delineato per semplice virtù della espressione.
 Il numero che tutto contiene in sè è l’1; ma l’espressione grafica o orale è già concretazione dell’infinito nel finito. Di qui l’unità microcosmica, l’uomo. Come la concezione del grande universo è globale, il piccolo universo l’uomo, è la profondità, l’abisso insondabile. L’abisso il quale non è nell’universo infinito, nella unità collettiva planetaria e stellare, ma è nell’universo piccolo, nell’uomo, nella profondità oscura della sua coscienza, cui non si assegnano limiti. Subcoscienza, coscienza, incosciente, coscienza subliminale, individuo storico, personalità occulta, demone socratico, passioni, angeli, medianità, follia, intelligenza, mentalità superiore, bestialità, istinti, memoria, sogni, visioni, glossalia, volontà divinizzate, virtù di ogni specie, vizi di tutte le categorie, ragione, sofferenze, gioie, amori, affetti, paure… in questo abisso vi troverete tutta la grande enciclopedia del Larousse.
 Il microcosmo diventa, nella sua profondità piccola e insondabile, più sbalorditivo del macrocosmo, il quale non è nell’universo nostro piccolo così tangibile alla percezione come il pensiero che, in un momento di buio lampeggia nella nostra psiche e ci sbalordisce per la sua luminosità. Sondate nell’abisso, e vi troverete la chiave delle religioni vecchie e nuove; ne estrarrete lo spirito dei morti di oggi e le tavole giranti, il diavolo delle chiese, gli elementi di tutte le umane follie, la mutabilità delle opinioni, l’ondeggiare delle fedi, il mistico evangelo del divenire, sant’Ignazio de Loyola e le teorie della schiavitù o dell’anarchia. Procedete ora per esempi: la sintesi del microcosmo è il corpo umano. Gli organi interiori del corpo umano sono termini fissi, non mobili: non sono, cioè, capaci di spostamento nell’organismo sintetico. Il cuore, i polmoni, il fegato, stanno nelle regioni ove compiono le loro funzioni particolari, né si spostano. Ogni sintesi mobile è organismo a fattori o coefficienti fissi. Il macrocosmo, cioè il mondo universo, unità sintetica immensa, deve considerarsi come mobile (sinteticamente spostabile) nel contenente infinito, ad organi e fattori fissi, di mobilità apparente, o limitata ad un’orbita fissa e determinata.
 Nel microcosmo (uomo) la vita è il prodotto delle funzioni equilibrate dei suoi organi. Nel macrocosmo (universo) la vita è nell’attività dei suoi elementi, di cui ognuno è una sintesi organica (pianeti, gruppi stellari, sistemi solari). Nell’uomo la lacerazione di una cellula epiteliale, la puntura di uno spillo, una pressione di qualunque punto periferico determina una sensazione tattile che può trasmutarsi in dolore, e che fa vibrare anormalmente i centri sensibili e agisce sugli organi e sulle funzioni di essi, determinando uno squilibrio tenue o forte o fortissimo; le sensazioni non sarebbero che risultati di questi squilibri, stati brevissimi e rapidissimi che rompono la quiete funzionale della sintesi più piccola. Nell’universo qualunque alterazione, anche normale, della funzionalità dei suoi grandi organi, qualunque stato nuovo di condizioni di essere di un pianeta o di un sole lontanissimo di miliardi di chilometri, determina sul resto del grande corpo sintetico, una riflessione sensazionale. Se la pressione prolungata di un’arteria brachiale arresta la circolazione nell’arto e si riflette sull’organismo umano più o meno tenuemente, l’interposizione di un pianeta fra un sole e il resto del sistema, deve modificare l’economia generale della vita planetaria in quel sistema ove ha luogo, ed oltre il sistema per riflesso.  Così nella tradizione egizia trassero origine l’astrologia e le influenze astrali nelle ipotesi del Tolom, il collegio sacerdotale che osservava le influenze degli astri. Così nel microcosmo il mondo esteriore visibile determina le impressioni animiche, e dall’abisso ignoto1, fondo astrale dell’uomo, emergono forze, movimenti e vibrazioni insospettati. Così si stabiliscono le leggi della magia divinatoria. La Cabala, dalle parole di scrittori fantasiosi, è uscita denaturata e complicata e lo studioso – dopo tanto leggere – per ritornare col mio invito alla semplicità di origine delle interpretazioni elementari, deve demolire metà delle idee fatte e pasciute di belle frasi. Come libro misterioso è comprensibile se si trova la chiave che la esplica, anzi le molte chiavi che l’aprono a gradi. Dal relativo monta all’assoluto, per ridiscendere al finito e al temporaneo. Per l’orientamento delle moderne ricerche lo studio della Cabala contribuisce certo con un valore di grande efficacia a quel gruppo di dottrine in formazione che hanno per oggetto lo spirito dell’uomo e la materia, e non trovano il punto equilibrante in cui i due valori si compensano e si fondano2. La successione storica delle idee è imprecisabile. Nell’umanità, le idee generali si rincorrono e si rinnovano a cicli. Quali siano i fochi di queste curve paraboliche per valutare i cicli, non si sa. Sono ritorni a gruppi di creature sparite con la morte, e rinate a continuare l’opera iniziale di altri tempi? sono palpiti o pulsazioni della zona colloidale dell’universo, che espellono idee e immagini scomparse e non distrutte?… L’uomo ha sempre cercato il libro sintetico poco voluminoso, capace di integrare i problemi insoluti. Non una teoria, ma una chiave. La chiave della Cabala è a ricercarsi, come quella dell’Alchimia degli alchimisti classici, padri involontari e insospettati dei dottori in chimica delle università moderne. Il premio al rintracciatore della chiave è meravigliosamente cospicuo. Il cofanetto in ferro, contenente la verità, è chiuso. Chissà dove sia riposta la chiave! Ad un chiodo della dispensa? in fondo ad un pozzo? nel ciottolaio di Calandrino? chi trova, apra e richiuda, conservi la chiave con cura, perché non lui perderebbe il tesoro, ma il tesoro sarebbe perduto per tutti… Il diritto di proprietà è di ieri. Il possesso con un obbligo di servitù: conservarlo per sé, nasconderlo per sé, non farselo rubare, come della vecchia lampada di Aladino. E fu logico; la magia era ars regia; l’alchimia ars magna; sull’una e sull’altra pesava la concezione divina.
 Il Filalete scrive il suo trattato magistrale di alchimia indicando l’entrata per accedere al Palazzo del re. Far bene all’umanità è dei Rosacroce, ma scrigno chiuso e chiave in tasca. V’è una seconda ragione a giustificare tale atteggiamento: la profanazione. Colui che possederà il segreto, non lo donerà alle plebi: il tesoro del bene e del male si muta in un inferno di male se elargito agli immeritevoli e la corona è perduta. Per arrivare al possesso era necessario un merito. La filosofia della Cabala è realizzatrice di potere, ma per intenderla ha bisogno di essere riconsultata.
& In natura esiste tra le forme un legame indissolubile come tra tutte le sostanze. Questo concetto unitario del macrocosmo, unità universale, non è un saggio di difficile interpretazione dell’idea manifestativa della non separazione delle cose. La visione dell’universo è relativa, ma dovunque e comunque armonica e di immagini legate e mai indipendenti. Questa unità nella natura esiste per impossibilità di separazione. Eppure tutte le unità di forma e di sostanza, tutte le specie naturali sono unità per se stesse, solo perché istintivamente tendono alla separazione. Un esempio: l’uomo. L’egoismo ne conserva l’unità. Un istinto rudimentale dell’egoismo deve esistere in ogni specie dei tre regni naturali della convenzionale classifica scolastica. Le forme di cristallizzazione, le forme delle fioriture nei vegetali, le forme somatiche degli animali, sono istinti dell’egoismo separatore cui tendono, senza riuscirvi, tutti gli individui e tutte le unità. Il caos, nel secreto cabalistico, esclude l’idea della combinazione chimica e accentua quella della separazione come istinto, approssimandosi al miscuglio. 
 Se al caos fosse stato preposto il principio femminile che esiste e presiede alle forme nell’universo, non vi sarebbero state forme, perché ciò che presiede alla fusione delle sostanze di natura separata è principio femminile cui si dette nome Amore negli esseri a forma umana.
 L’odio è il principio di separazione, l’egoismo nel momento della sua ribellione al mondo. Malgrado ogni ribellione, v’è un legame che non si rompe tra la volontà che non cede e il resto della natura. L’individualità è un’apparenza. Il Separando è l’enigma della Magia dei grandi Maghi, ed è la sola finalità assoluta. Una pianta in un prato ed un cane che corre nella via che confina e si allontana dal prato, sono separati apparentemente: nel momento che guardiamo, noi dimentichiamo che cane e pianta respirano la stessa aria e toccano la stessa terra. Noi che osserviamo ciò, tocchiamo la stessa terra e respiriamo l’aria stessa, e dimentichiamo di essere parte congiunta e continua della visione esteriore. Chi ci può dire se la visione non sia un semplice prodotto di questa continuità? e che è questa a darci il senso illusorio della separazione nostra dalle cose viste?

2 – IL PROLOGO DEL PAZZO

Ho scritto questo libro, che è il libro della umanità divina, in ventidue notti di luna piena, per dare al mondo latino, a latendo, un monumento scientifico che i dotti della posterità dovranno studiare pesandone i sospiri, come insegnavano i maestri di cembalo dopo la morte di frate Guido d’Arezzo. L’ho scritto con inchiostro stemperato di sale armoniaco che, pur ricordato dagli alchimisti più celebri, non si compra a chilogrammi negli spacci del Governo. Vi ho sciorinato tutti i colori che la pietra dei filosofi suole prendere nei crogiuoli di fusione e credo, modestamente, di aver scritto un capolavoro. Non ne prendo il brevetto, perché prima che il Nilo dissecchi, non nascerà un vate che scriverà dei cieli con parola d’uomo.
 (Un lettore di ieri e di oggi): Eccoci innanzi a un documento della follia ragionante!
 È probabile. Né mi offende il tuo giudizio, perché o devo considerarti come un vilissimo pedante che cerca la grammatica infiorata negli scritti e una scienza a modo suo di vedere, con microscopio e bilancia infinitesimale, o devo immaginarti bestia presuntuosa che giudica come Minosse con la coda. In ogni caso ti è concessa libertà di vituperare quel che non capisci.
 Riprendo. Ho detto che non nascerà un vate che scriverà cosa come questa, perché i vati sono oggi come furono nei primi giorni, gli uomini che sentirono il fuoco sacro nelle budella, donde si formò la parola vaticinio che il vate strappa ai cieli, i quali sono – in linguaggio sacro – i nascondigli in cui si celano gli dei1. Ecco perché io ti ammonivo che i posteri devono pesare questi veri con la bilancia che la Sacra Romana Chiesa ha posto nelle mani di Michael la cui testa bellissima sta nelle nuvole, i piedi sul drago delle passioni umane, mentre le coppe della macchina sono in equilibrio tra l’ombelico e l’arcangelico pube(2). E ne ho impreso la grave scrittura dando uno sguardo alle miserie della decadenza religiosa e all’audacia terrificante della sapienza laureata che in filosofia nega, in esperienza concede a millimetri, ed in privato, dubbio implacabile, tiene sospesi. Religione, da religo, unisce l’uomo alla divinità per fede.
 Fides nasce dalla paura del dio ignoto, Zeus, Geova, Giove, la causa del fulmine che guizza sotto i nuvoloni che nascondono l’ente causale. Un astronomo va più in là e trova l’universo, unus versus, l’immenso ad una sola faccia. La magione degli dei dalla cima dell’Olimpo ascende ad imprevedute altezze, a pari passo coi perfezionamenti dei telescopi. La scienza (da sciò=io conosco) non può, non deve credere se non lo consente l’esperienza che è la prova della conoscenza, e la sua che ora pare una marcia di ostacolo, sarà un giorno non vicino e non lontano l’annunciatrice della necessità di un pontificato salomonico, il quale terrà le chiavi della fede per diritto di sapienza. Poiché le due chiavi di San Pietro, quantunque fuse in nobilissimo metallo, si sono ossidate per la mancanza di preparazione al sacerdozio scientifico in coloro che, per diritto di conclave, le hanno tenute sotto le ascelle. E mi fermo sulle rive del Tevere. Roma, caput mundi, ereditava il diritto conferitole dalla Ninfa Egeria di Numa, col mettersi a capo della fede dei popoli. Cattolico vale universale.
 I romani bellicosi, prima di aggiogare al loro impero un popolo nuovo, nell’urbe sacra ne accoglievano trionfanti gli dei. Grossi e piccoli dei d’ogni cielo, d’ogni regione, di ogni lingua, dovettero per un bel po’ di tempo formare, negli occulti meandri dell’Eterna, un’assemblea babelica che ebbe necessità un bel giorno di chiamare dentro le mura un Paolo o un Pietro che mettesse l’unità della celeste lingua nel pandemonio delle diverse divine favelle. Così l’Essenismo cristiano, sotto il simbolo del pesce3 prese radice a Roma, assorbendo culti e tradizioni che gli conferirono il diritto di chiamarsi cattolico, mentre il dominio imperiale si sfasciava nelle irruzioni barbariche.
 Che sia avvenuto di poi lo sanno tutti. La religione classica erede della grandezza pratica egizia, l’unico esempio della dottrina religiosa di tutti i popoli, doveva diventar cattolica nel precedere, come parola di un Dio luciferiano, ogni progresso della scienza umana, e divenne invece il tradimento storico dell’idea della luce.
 Non valsero tentativi riformisti. La storia dei Templari, ladrocinio vituperevole di temporalità e di sapienza a cui collaborò un Capeto, è troppo poco nota, ma lo sarà più tardi, quantunque lo stesso papa e lo stesso Capeto ne abbiano, molti secoli dopo e in maniera diversa, pagato il peccato.
In Italia molti martiri furono intesi male, perfino nel concetto fondamentale delle loro pretese eresie. Bruno e Campanella meritano uno studio al chiarore di altre lucerne filosofiche che non le profane alla scienza dei veri occulti.
(Un lettore di ieri e di oggi): Cominci col dire troppe cose…fermati a Roma.
Se lo potessi mi fermerei; ma parla lo spirito che non si arresta. La chiesa del Cristo non può essere né giudicata, né discussa, né riformata ab imis se non quando avremo digerito, per selezione, i venti secoli di vaccinazione pretesca che gravitano sulla psiche di tutta Europa, compresa la parte protestante e l’ortodossa.
& La rivoluzione francese non ebbe il suo effetto completo perché un’onda di verità non lava tutte le macchie dell’acqua delle fonti battesimali. Quindi ritorno alla scienza che esperimenta e dico: la dottrina dell’essenza umana s’impone; venti anni fa, parlare di scienze occulte e di magia al mondo degli studiosi, valeva una scomunica dal Vescovo o un diploma di ciarlatani dalle università. Ora il tempo è più propizio: i Vescovi non se ne danno per intesi, agguerriti a combattere l’idra modernista; le Università, pur intuendo che un vero profondo esiste, di cui le cattedre non conferiscono il secreto e il potere, già vedono qua e là dei nomi illustri che danno il primo battesimo scientifico a cose ripudiate sinora come imposture o sogni di creduli e confinate negli almanacchi delle fiere. Così un nuovo orizzonte si apre alla scienza ufficialmente accettata, e si affaccia un compito elettissimo di integrare in un sol fascio di dottrina sperimentata tutta la potestà della materia umana di cui la religione, sconfinando, ne ha denaturata la concezione. Il difficile del cuoco è nel dosare il pepe. Bisogna definire le parole il meglio possibile, per intenderci. Esiste veramente una scienza occulta? Questo famoso aggettivo “occulto” non è per caso un’etichetta classica azzeccata ad una bottiglia vuota? Apparentemente non dovrebbe esistere, perché con l’ammetterla, si conferisce una gratuita patente di asinità alle Accademie delle scienze umane; ma in realtà potrebbe esistere, perché le Accademie su lodate che posseggono tutta la sapienza nota, ignorano alcune verità assiomatiche le quali sono il fondamento di conoscenze che producono mirabili cose. 
La luce, il calore, l’elettricità, la forza meccanica delle scienze fisiche, l’amore nella psicologia, il dolore, il piacere… non sono che cose occultissime nella loro essenza assoluta. La scienza umana si è impadronita di questi sublimi ignoti, ne ha studiato le manifestazioni, le ha provocate e adattate agli effetti del mondo fisico o ne ha commentate le bizzarrie, se manifestazioni di psicopatie umane sono uscite dalla ordinaria categoria dei fenomeni naturali. Pretendere che Marconi ci spieghi perché una pila sviluppa energia e perché questa energia è speciale nella determinazione di tanti fenomeni, è un assurdo: è lo stesso che domandare al direttore di una fabbrica di zolfanelli perché questi si accendono stropicciandoli su una superficie ruvida…
 (Un lettore di ieri): Fermati almeno qui. Queste sono cose che le risolve qualunque mortale, senza scomodare Marconi. La luce, l’elettricità, il calore, il suono, sono noti anche ai mocciosi delle scuole operaie. Si sa come si producono e si riproducono sempre. Della loro essenza ne hanno profondamente discorso i dotti, fino a dar loro un’unica natura e origine.
E quando tutte le manifestazioni fisiche le avrai ridotte all’unica radice di forza o di moto, io ti ripeterò la stessa domanda: perché la forza? e perché il moto? qual’è il perché della natura di essi? E compare un inconoscibile, cioè un ignoto e un occulto. Ricordandoti che in tempi molto remoti io fui un pontefice, ti dirò che luce, calore, suono, magnete, sono quattro dei e quattro facce di un dio unico. I nomi li troverai in tutte le mitologie…
 Apri bene le spelonche delle tue orecchie se ti parlo di amore, di dolore, di piacere: qui l’occulto si presenta più oscuro che mai. Tu conosci le tre cose, il tuo vicino di casa le conosce ugualmente, la tua fantesca, il tuo portinaio, il ciabattino che è all’angolo della via, l’elegante signorina che corre nella lucida automobile, tutti le sanno queste tre cose. Ma le tre parole hanno mille significati diversi in mille persone, e cento in una sola persona in cento casi ed ore differenti.
La madre, la sorella, il padre, il libertino, l’uomo timido, il violento, il giovanissimo, l’adulto, il vecchio, tutti amano. Trovami la definizione dell’amore! Intendi? E se lo intendi come la tua cocumera lo può, lo intenderanno gli altri come lo intuisci o lo capisci tu? Guarda un crocifisso. Il Cristo dicono che sia amore, come quello del Budda che pregò la tigre di saziarsi della sua carne, perché il suo amore per lei non gli permetteva di vederla soffrir la fame. Quante santissime isteriche del pantheon cattolico hanno letteralmente fatto all’amore con Gesù schiodato dalle assicelle?
 E qui ritorno alla fisica. Percepisci tutte le sensazioni della luce, del suono, dell’elettricità come tutti i prelodati signori che ti ho citati più su? Mi dirai che l’universale omogeneità delle sensazioni è controllata dalla meccanica degli apparecchi adatti a registrarne l’intensità; eppure se il termometro segna 20°, tu e il tuo vicino di casa non sentirete l’identica sensazione fisica e psichica; e qui occorre un po’ di pepe, per non pensare che le cose stiano nel valore relativo delle percezioni individuali di esse. La sensibilità normale è sorda di fronte ad una super sensibilità morbosa. Ma è veramente morbosa una super sensibilità che forse potrebbe essere la normale di parecchie generazioni avvenire? e da questa graduazione immensurabile della sensibilità, il mondo è come lo vedi tu che abiti all’ultimo piano di casa, o come il portinaio che lo scruta dal pianterreno?
 Vedi, o allegro mio lettore, che incespichiamo in un ciottolo del petraio occulto ad ogni passo. Il cammino è aspro. Se nella vita quotidiana l’uomo avesse modo di riflettere e di pensare a tutto ciò che la scienza e la religione non spiegano, non prevedono, non impediscono, non facilitano, non incoraggiano nelle urgenze delle grandi e piccole noie quotidiane, resterebbe sbalordito della nostra miseria ufficiale, perché ufficiali sono scienza e religione. Le cause generanti le angosce della vita, dovrebbero appartenere al dominio dell’una o dell’altra, e restano invece occulte nei misteri delle tenebre più profonde dell’empirismo scettico. La civiltà di una razza grande e progredita comincia il giorno in cui l’uomo, scienziato o sacerdote, ha il potere di alleviare ogni dolore che ci opprime e ci spaventa. Tutto questo è anticristiano, lo so. Per tanti secoli ci hanno predicato che il dolore è umano, che oggi par di scrivere un’eresia affermando che la civiltà si avvia alla conquista del piacere di vivere!
 Guarda le piccole cose. Entri in contatto con un uomo che non hai mai veduto, in un tram, in un caffè. Costui non ti ha parlato, né molestato, e tu te ne senti irritato come se ti avesse dato uno schiaffo un’ora innanzi. Senti una fame da lupo ma, prima di entrare in casa, presenti che la marmitta si è crepata sul fornello e dovrai attendere, tirando moccoli a Santa Vereconda. Hai un figlio ammalato, e tra la madre che prega la Madonna e il medico che scientificamente te lo ammazza, tu indovini che mamma natura te lo risana. Sono cose di cui il vocabolario ufficiale già segna i nomi: antipatia istintiva, percezione premonitoria, previsione intuitiva; sta bene, ma forza e intelligenza e leggi che manifestano tutti questi fenomeni, sono occulte.
 Guarda le cose grandi: epidemie, guerre, inondazioni, terremoti. Scienza e religione fanno a gara per impedire i maggiori detestabili effetti. Ma chi doma, chi prevede, chi determina o limita le conseguenze dolorose? In forti epidemie veri eroi della scienza si sono immolati ad un nemico invisibile che non si debellava. La guerra? Chi l’arresta, chi la impedisce quando l’aura di sangue già respira nei polmoni di tutto un popolo? Che fanno scienza e religioni innanzi a tremendi cataclismi della natura che ingoiano vittime senza tregua? La scienza si arma di esperienza e ragiona; la religione, di preghiere pei morti, di fede pei vivi. L’occulto resta tale. Dunque la leggenda, anche se appiccicata ad una bottiglia vuota, può essere una sapienza occulta o arcana. Il vuoto dell’arca santa può contenere un Dio onnipotente o un Niente, ma l’occulto è vero, è possibile, è reale, e può essere un Dio che è il Niente. (Un lettore di ieri): Diventi empio.
Non meravigliartene. Siamo sui margini dell’abisso, in fondo al quale regna il sovrano Satana; il quale è la scienza dell’occulto, come Dio ne è la legge. La legge è universa. Il miracolo nella legge non è possibile. Perciò il Cattolicesimo è magico come culto, ed è nato come una religione scientifica dell’Occidente. Dal punto di vista creativo della fede, i teologi occidentali – metafisici sul tipo dell’Aquinate – hanno snaturato l’essenza del culto, ed hanno avuto paura della luce; basterebbero i due sacramenti del battesimo e della sacra unzione per determinarne il carattere sapiente; la messa dei morti, per celebrarne la negromanzia(4); la consacrazione nella messa ordinaria, per evocare il Grande Arcano degli Alchimisti. Interpola alle quattro lettere ebraiche che danno il nome di Jeve, una quinta, e otterrai la sigla dell’iniziatura gnostico-cristiana: Cristo, il Dio-Uomo, l’Uomo che diventa Dio, cioè non l’uomo che procede dal padre, ma che assurge alla potestà del Padre suo occulto e grande, l’ineffabile Niente.
 (Un lettore di ieri): O empio!
Empio o pazzo, forse hai ragione; e io ti ricordo il Credo: prima che il Cristiano cattolico si avvicini ad un simbolo sacramentale del culto, il prete gli dice: Credi. IO CREDO. Tutti gli uomini credono. Dallo spirito più forte al più debole, tutti i bipedi in calzoni o gonnelle hanno una fede. Chi non l’ha in una cosa l’ha in un’altra. Chi in nessuna cosa, crede a se stesso. Colui che ignora le leggi dello spirito umano, si genuflette innanzi all’Arca Santa del Niente, si fabbrica un Dio o dà una faccia ad un Dio accettato dai più. Colui che nega il culto, ha fede nella pupilla del suo occhio che vede, nella mano che tocca, nella mente che ragiona. Ma dimmi tu, o lettore che fai di tanto in tanto il corno da caccia nell’armonia delle mie parole, dimmi tu se l’uomo è sicuro dei suoi sensi e della sua ragione. Tutti gli uomini ragionano: anche i pazzi, se tu penetrassi nelle loro meningi. Da trenta secoli più o meno documentati, l’umanità ha ragionato o preteso di ragionare. I documenti della giustezza della ragione umana ce li presenta il continuo rinnovarsi delle società politiche, lo scempio di famiglie e razze, la patente ingiustizia che divide fratelli da fratelli e ci rende mancipi dei conquistatori.
 Chi ti garantisce che ragiona oggi questa vecchia umanità che ha presunto ieri come oggi della sua infallibilità ragionante? Ecco perché in materia di spirito devi credere: l’assurdo, nella conquista dei veri della divinizzata bestia umana, è il fondamento preciso delle religioni fatte per le masse, quando l’Olimpo era più vicino alla terra, mentre ora è lontano dal sistema planetario miliardi di milioni di chilometri. Sai tu che cosa sia il tempo? Non lo sanno neanche gli Svizzeri che fabbricano gli orologi più economici. L’uomo lo trascorre come idiota, fra l’ambizione di prepotere sui suoi simili, la concupiscenza della femmina e la paura dell’imprevisto. Se si persuade della sua impotenza, diventa filosofo ragionante o mistico. 
L’arcano della follia lo mantiene sulla breccia impavido, contro le disillusioni e le miserie della realtà. Lavora a distruggere se stesso ad ogni istante, senza tregua, quieto che un enigma esista ancora insoluto per lui. Lo spettro di una penitenza redentrice si affaccia alla sua mente come un’oasi, oppure aspetta che gli altri facciano per lui. (Un lettore di ieri e di oggi): Giudichi senza pietà. 
Lasciami parlare. parlo io, parla Satana, parla la scienza della fede e fa l’elogio accademico di quei primi padri parrucconi che nel primo, secondo e terzo secolo ne scrissero di tutti i colori sulle cose sacre della religione che trionfava in Roma imperiale. La scienza ufficiale fa la sua entrata nel regno delle tenebre con lo studio di due poteri satannici che possiede l’uomo: la potestà fantomatica e quella esteriorizzante le forze magnetiche e vitali. Sai tu perché si chiamano satanniche? Il valore della parola Satana non è noto ai Cristiani posteriori al terzo secolo; ecco perché il famoso “Pape Satan Aleppe” non è stato capito! La radice SAT corrisponde all’organo generante negli animali mammiferi maschi(5). Le impulsioni o accorciature di esso erano prese come i movimenti normali, sotto determinate eccitazioni, delle potestà nervose o delle aure nervose dell’uomo, per mezzo delle quali l’uomo proiettava fuor di sè la sua ombra.
 Da quest’ombra viene l’origine della parola Maria, che i commentatori cattolici all’acqua di lattuga vogliono tirare da amaritudine maris; invece Mara, nella religione piromagica dei Parsi è a significare l’ombra, da cui Maria: potestà dell’ombra proiettata fuori del corpo umano. E, nel senso magico, letteralmente corrispondente all’Adda Nari degli Indiani, la quale dal busto caccia quattro braccia con relative mani che portano i quattro colori delle carte da gioco, che sono quattro strumenti della grande Alchimia, cioè lo scettro, la coppa, il pugnale e la moneta.
Se gli studiosi di fenomeni medianici in Italia – e tra questi ve ne sono di illustri – si soffermassero ad osservare l’immagine dell’Adda Nari, si convincerebbero che, fin dall’epoca in cui parlavano gli uccelli e le belve, l’umanità sapeva che l’uomo o la donna potevano emettere altri organi oltre i normali, per compiere un prodigio. L’Astarte con tante e tante mammelle dai capezzoli eretti6 sul petto ampio, era l’identica plastica immagine del potere dell’ombra.
 La Maria cristiana l’hanno snaturata un po’ troppo i teologi bizantineggianti e la plastica greco-romana, anche perché quando Paolo cominciò a predicare l’Essenismo, dette al primo appello troppo il carattere servile dei ribelli poveri, semplici, lacrimevoli. La sua assunzione al cielo pare fatta pei troppi meriti del figlio Cristo che le impose il carattere della verginità. Ritornerò su questo argomento curioso, quando parlerò dell’arcano della Papessa (ndr:purtroppo andato bruciato). Per ora mi limito ad accennare agli sperimentatori, che uno sguardo intelligente alla demonologia medioevale non è inutile, quando si fanno esperienze che paiono nuove e sono più vecchie dell’uva passa. La Lilith, che tutti i rituali stregonici e le maledizioni e gli esorcismi citano, era una diavolessa succuba che non temeva né l’acqua santa né i più terribili salmi, e acquistava forme strane e violente, indipendenti dalla volontà del suo amante di una notte. Come l’Adda Nari e l’Astarte rappresentano nel simbolo magico e religioso le proprietà di esteriorizzazione delle forze occulte regolate e volitive e coscienti, così Lilith rappresentava l’irregolarità della esteriorizzazione, su cui non aveva presa neanche la volontà inibitiva del soggetto o del magnetizzatore. Una forma di grande isterismo con fenomeni epilettici di grande efficacia(7).
 (Un lettore di ieri e di oggi): Bravo, cominci a dar ragione ai clinici…
Non alla dottrina che ne deducono. I pochi casi di medium che hanno sviluppato naturalmente i poteri satannici dell’ombra, non possono permettere di asserire che sia già stata creta una dottrina dei fenomeni esaminati ed accettati… Ci vorrebbe, per esempio, che un medium singolare evocasse Ibanima che fu il sesto pontefice della dinastia sacra, per trargli dai visceri il segreto di dare la potestà dello sdoppiamento a tutti quelli che lo vogliono acquistare – sdoppiamento completo della propria ombra o parziale di sole forze – e allora sì che la dottrina verrebbe…ed accompagnata anche da una legge che impedirebbe di scrivere di scienza occulta. Poiché questa scienza è esistita da quando cessò di essere arma del potere sacerdotale. Né si limita alla metafisica, né è una religione, tanto meno la teosofia che si va propagando in Europa, quasi che il tipo Budda potesse dimostrare che è giovato qualche cosa agli Orientali. Questa scienza è Magia, nome discreditato ma unico e semplice, che risponde alla cosa che è: MAG è il potere di trance attivo; non trovo come spiegar meglio una cosa che pochi possono intendere: è lo stato di trance automatico, volitivo dell’ombra in tutte le sue esplicazioni e realizzazioni. La Magia è scienza ed arte; nello stato di semplice dottrina dà la chiave all’arte operatoria dei propri attributi. Gli ebrei nella servitù faraonica ebbero molto ad imparare, e la magia divenne palesemente di forma ebraizzata, in memoria della prigionia in Egitto, che nel mondo antico rappresenta l’anello di congiunzione fra l’Oriente e l’Occidente e fra l’antichissimo e il meno antico. Quel Mosè salvato dalle acque e segretario privato del padre-eterno, possedeva una verga che cangiandosi in serpente, divorò i serpentelli vomitati dalle verghette degli altri maghi. Questa è la leggenda che il Cristianesimo aiutò a diffondere, elevando un piedistallo alla magia orientale per andare ad approdare al simbolo della visita dei re Magi alla grotta di Betlemme, per dirci e ammonirci che, col trionfo del Cristo, i maghi inguainavano le bacchette del comando. Nonpertanto anche la croce resta un simbolo magico eterno: l’uomo alla conquista dei suoi poteri divini, la reintegrazione del potere di comandare agli elementi fisici, alle passioni umane ed ai satanassi delle ombre umane. Poiché tu, o lettore che spesso interrompi il mio prologo con le siringhe sottocutanee di scienza e con le iniezioni endovenose di cristianesimo atavico, credi alle virtù problematiche della santa morale dei conventi; le virtù dell’uomo sono tutte reintegrazioni dei poteri perduti, e non esistono virtù senza poteri. La scienza dell’occulto è una pertinace e cruda via per conquistare poteri attivi, volitivi, intelligenti. La religione, invece, porta alla santità, alla grazia, cioè all’ottenere senza sapere da chi, come e quando. La vita umana è eterna. Ottanta secoli fa io ero monaco nel celeste impero…
 (Un lettore, ridendo): Ecco che ridiventi matto.
… ed ero allora matto come oggi. Eterna follia della luce, della verità che stende una mano nel sole ed una nella luna, e cambia, nella legge uniforme ed eterna, il corso delle noiose manifestazioni di un cammino che ha sempre il suo ritorno, puntuale come l’appetito dei poverelli! Se tu immagini l’umanità senza la sonante, gloriosa, immensa follia della scienza di Satana, tu cangi le lacrime ed il riso del mondo in un pantano in cui la cretineria normale sbadiglia. L’ennui naquit un jour de l’uniformitè. È il pazzo che domina la scena nei grandi quadri del mondo; cammina, attraverso secoli e vie, muore sul patibolo per liberare una generazione che poltrisce sotto la sferza della servitù; s’infanga fino alle gote per compiere un’opera di giustizia che nessuno gli riconosce; diventa oggi un ciarlatano, domani un uomo politico, dopo predicherà contro la guerra e i sovrani che l’alimentano.
 Cammina, e un cane gli morde il polpaccio: la necessità della missione gli è compagna e lo sprona. Muoiono imperi e dinastie, si fondono razze vecchie e nuove, e dal monte più alto il pazzo guarda l’umanità che si tormenta, attraverso le lenti del destino che gli impone il cammino.
È il grande arcano del potere: non è un uomo, non è un dio. È la fatalità della scienza che dice alle turbe: non lasciatevi tentare dalla mia pazzia, io sono l’inverosimile! Così muore e rinasce in quest’orbe dove tutto ritorna: ritornano piante ed animali, ritorna l’uomo, l’amore perduto come la primavera, la vecchiaia silente come l’inverno, le ore tragiche e le liete, le anime buone e le buone parole. Quando l’ingiustizia acquista la parvenza di virtù, vi è il pazzo che ride; quando l’ignoranza nega la verità, il pazzo piange.

3 – GLI AMANTI

Confessa una donna: 
– Sono imperfetta. Ho amato. Mi sono pentita. Genuflessa dinanzi al Crocifisso, ho invocato perdono. Le lacrime di gioia scorrono sulle mie gote; mai più peccherò di amore, mai più. Ma non so come, non so perché, una sera di primavera tiepida e dolce, dimenticai tutto: promesse, pianto, perdono. Nell’aria il demone, in invisibile polvere aveva cosparso un filtro; ricaddi nel peccato, e la notte ai piedi della stessa croce, pregai e piansi. La mia carne ha peccato, non io; io ero assente, io non vedevo, non ricordavo, non sentivo… Chi mi perdonerà ora che ho violato la promessa? E’ vero, sono vile, sono stata la più vile delle femmine…Ma mi viene una parola sul labbro: perché siamo state create così imperfette, se l’amore è un peccato? Perdono, perdono, ho bestemmiato, ho trovato la creazione imperfetta.
 Una parola esce dalla bocca del Crocifisso, leggera come un batter d’ala di farfalla, una parola mi colpisce. Sono pazza? Sono ubriaca di dolore? Il fulmine del castigo ha squassato il mio cervello?…egli ha detto: ama? Stupita, perplessa, come un’anima sull’orlo di un precipizio immane, caddi semisvenuta; ed egli mi apparve e parlò. Le sue parole mi suonano ancora all’orecchio una per una, scandite, lentamente pronunziate, solenni e gentili:
“O anima dolce di candida tortora, tu mi fai pena; sento per te la più grande pietà. Tu non mi riconosci; io ho sempre detto agli uomini ‘amate’. Perché ti avvilisci e ti disperi? Ama; io non perdono a coloro che non amano”. E svanì… Oh dubbio! Svanì il sogno, ma il Crocifisso era là, inchiodato, giallo, impolverato. Quello del sogno, della rapida visione, era il Cristo o il nemico?
 Ricordo a te, lettore, caustico spettatore di questa commedia filosofica, che pochi secoli fa fui monaco a Gubbio…l’epoca della rinascenza; c’è un libro che stampai allora, con su la mia arma gentilizia: un sole…
(Un lettore di ieri e di oggi): Anche monaco? Bravo matto… ma monaco di messa e stola?
 Non ridere; fui monaco di penna; e se non mi avesse seccato un priore, a quest’ora – di stucco e di legno – farei bella mostra del mio capo pelato, convertito in un santo miracoloso. Ricordo tutto, e alla bella creatura che mi parla, così rispondo come un monaco di grande penitenza: 
- Devota e pia signora, tu meriti di essere arrostita viva sulla divina graticola di Lorenzo. Ogni parola tua, ogni pensiero tuo è immondo; basta dire che tu non riconosci ancora la persona che ti apparve. Sei nel dubbio? Era il Cristo o il Lucifero?
- Non so…
- La sua parola ti seduceva?
- M’irradiava!
- Il suo sorriso era un invito al peccato?
- Una promessa, dolce come una carezza…
- Sciagurata!
- Era il diavolo, padre?
- Non rispondo. Chi deve affermarlo? Io? Ma se la domanda io non la facessi a una povera donna che le alterazioni del mensile isterismo mette nell’incertezza della sensibilità visiva e l’avessi rivolta allo stesso Cristo, si sarebbe riconosciuto egli che a furia di ragionamenti di preti e di filosofi, di vescovi e di miscredenti, ha fatto le più tipiche comparse sulla faccia della terra dell’Occidente civile? Allora parliamo sul serio, carina mia.
L’amore nella sua integrità, è un’iniziatura sublime. Basta amare per affacciarsi sull’abisso dell’infinito. Tu non mi capisci. Per capire, bisogna che tu, di fronte a questo sublime ignoto, ti senta trepidante, trascinata in una zona che è l’inverosimile nella materia vivente, in cui tutta te stessa e tutto il creato in te vibriate in un modo che nessun meccanismo che non sia l’anima dell’uomo, può dare. L’hai provato? Puoi provarlo?
- Ed ho provato così… così ha peccato la mia carne…
 – Spirito o carne? Ma se tu in quel momento hai saputo distinguere dove comincia lo spirito e dove finisce la carne, tu non sai che sia amore. Spirito e carne non esistono. Lo spirito lo troverai in ciò che dice Pasquino ai Papi, e la carne di vitella nelle rosticcerie… Noi siamo materia. Carne, sangue, nervi, midollo allungato, sono materia. Il pensiero è materia. L’anima è materia. La luce è materia: cioè uno stato di essere della materia, del combustibile chiamato olio, petrolio, apparecchio elettrico. Esaurito il combustibile, niente più luce. Perché ti sei ficcato nelle meningi questo stupido paradosso che l’amore è dello spirito, se tu non hai per spirito che la materia, una sublimazione della carne? Non mi hai detto che quella sera d’incanto, tu non ricordavi più nulla? In quell’istante scommetto che tu amasti, perché non facevi differenza fra il basso e l’alto. Dov’è il basso? Dov’è l’alto? Se il mondo universo, infinito, non è che un circolo in perpetuo moto, dov’è il basso e dov’è l’alto? Il drago è ai piedi del Michael, oppure gravita sulla figura capovolta del divino arcangelo giustiziere?
Povera e gentile donna, tu mi guardi stupita! Ti stupisce il modo col quale io vedo le cose: bisogna, se vuoi vedere il sole, che tu comperi un paio di lenti affumicate, se no sarai costretta ad abbassare le palpebre. Non credere che io sia matto…
 (Un lettore di ieri e di oggi): E’ due volte matto.
…Io non ho visitato che un sol manicomio, e per tanti secoli è sempre lo stesso mondo della fede e della credulità umana, e ti garantisco che non manco di nessuna ruota del meccanismo cerebrale, secondo le prescrizioni regolamentari della psichiatria contemporanea. Tutto l’Occidente è impestato di paolottismo cristiano…e il cristianesimo finge di credere che l’uomo vada a scuola fino a venticinque anni, viva di stenti, di disillusioni, di amori insoddisfatti, di politica e di reumatismi altri trent’anni, e poi se ne vada ad aspettare che quelle tali trombe della pazzia apocalittica suonino il finis mundi. Quasi questo non bastasse, Budda si affaccia all’orizzonte: rinunzia alla vita, non desiderare, non amare, non volere, non essere. L’uomo frattanto nasce, cresce, declina, muore, rinasce, ricresce e continua e migliora: migliora per la propria esperienza, in edizione perpetuamente rinnovata. Il fondamento astrologico caldeo concepisce il cielo visibile come legge della vita universale. Come il sole sorge e tramonta, così le piante, gli animali, l’uomo, ogni forma terrestre, perfino i microbi che i caldei dovettero conoscere, perché i diviahi sono demoni impercettibili di malattie innumerevoli che si allontanano (e non si distruggono) coi vapori di zolfo e di pece. Se in ogni primavera un albero si riveste di foglie, in ogni rinascita lo scheletro più sublimato della materia umana si riveste di nuova carne; ed ognuno di noi è uno dei tanti ignoti che attraversa i secoli, da che mondo è mondo. Vero trionfo del carnevale, l’uomo si scappella innanzi al giudice di oggi che fu il delinquente di ieri, e si sprofonda a commentare l’oratore dalla facile parola che ieri fu ciarlatano alla fiera. E’ un gran bene la perdita della memoria con la rinascita: il fiume dell’oblio, se non l’avessero inventato i pagani, lo dovremmo inventare noi. Lo chiamarono Lete, da cui letizia che è oblio delle pene. 
 Tutte le religioni ebbero origini sacerdotali. I sacerdoti di casta non ebbero che un unico nemico: l’uomo; e il cave canem aristocratico e sacerdotale romano insegnava che bisognava guardarsi dal cane-volgo o cane-popolo o cane-plebe, e contribuiva ad avvelenargli quel po’ di esistenza che gli restava. Il Cristianesimo paolotto rappresentò la rivoluzione dei poverelli contro le antiche teocrazie, ma non tardò a prendersi una rivincita infernale sui poverelli stessi, quando intossicò la loro vita con tutti i demoni e le pazzie che scrittori da manicomio vomitarono sul popolo più cane di prima. 
(Un lettore): Ma sei tre volte matto…e Francesco d’Assisi? 
 – Lo conobbi, lettore amico e ipercritico, brava persona, un anormale psichiatricamente, fu uno dei tanti che volevano realizzare il tipo paradossale del Cristo, per quella malattia epidemica dell’imitazione che è caratteristica dell’uomo e della scimmia, e fu il meno santo padre degli altri, perché subì il mondo che gli avevano fatto trovar concreto .
La storia critica e documentata delle pazzie umane si legge nei templi di tutto il mondo civile e incivile. L’uomo ha avuto sempre un nemico implacabile: il Dio che gli hanno apprestato i suoi sacerdoti. Un Dio che ha sempre protetto i re e i preti, fino al cristianesimo che non seppe far di meglio. L’uomo che ha vissuto, comprende in sé l’uomo storico e va alla ricerca di un Dio più logico, più umano, più vero, starei per dire più cristiano, se non avessi paura di preparare un nuovo vaticano. Dice l’uomo storico che è in noi, l’uomo antico che in ognuno di noi è reincarnato: io sono, fui, sarò, forma cattolica anteriore e posteriore a Cagliostro; ed è bene che me lo conosca io questo dio che porto con me, come l’anima del mio guscio di lumaca terrigena. La storia della vita passata è incisa sillaba a sillaba nel disco del fonografo umano, dell’uomo vivente. Non è il karma secondo la concezione buddica; è la memoria istintiva di tutti i dolori, di tutte le pene, di tutti gli spasmi, che ripudia ogni rifiorire di vecchie litanie di privazioni e immolazioni dell’essere, e aspira alla concezione della vita di uomini associati, dopo che si sono integrati nei loro poteri naturali e satannici.
 I ricorsi storici del Vico vanno spiegati con l’identità storica occulta e costante degli uomini che fecero la storia anteriore a noi. I dolori umani e sociali hanno profonda radice nella coercizione dell’anima storica di ogni individuo. Le manifestazioni incoscienti dei fanciulli sono i caratteri generali della loro opera antica. Il fabbro di tante vite si fa obbedire dal ferro; gente che non ha visto il mare, si sente nelle vene il diritto di dominare le onde, donne poverissime hanno il senso dell’eleganza più raffinata. E’ impossibile che un mercante che abbia un’anima storica di mercante più o meno fenicio, non sia un mezzo ladro. Come mai la gente non si domanda perché alcuni giovani che hanno in questa vita studiato molto poco, diventano subito dei giureconsulti, dei medici o degli architetti famosi?…quando l’hanno appresa tutta quella roba che spiattellano ai venti? Si perpetuano perfino i tratti singolari di certe fisionomie. Vedili nelle case regnanti: il naso borbonico, per esempio, e certi baffi che spunteranno fra poco… . Ma cara signora, buona sorella, ritorno a te. Se sai che cos’è l’amore, non fai peccato. Se il Cristianesimo l’ha svisato e Cristo fosse davvero quello che idealmente s’immagina, Cristo sarebbe contro la chiesa, la quale chiesa per secoli ha assunto le funzioni di un istituto sociale, e nello stato cristiano ne regola i costumi. Quindi sacramentò l’amore. Lo sacramentò perché doveva creare la famiglia cristiana, la quale noi non sappiamo concepire neanche per un momento come cosa capace di essere abolita, senza vederci innanzi lo spettro dell’anarchia .
 Ora lascio ad altri matti che se la sbrighino con la società costituita, e studio e spiego pedestremente a te, se vuoi iniziarti agli arcani della grande magia dei miracoli nella legge della natura, che una delle maestose porte dell’Arca è l’Amore. Ma devi intenderlo com’io l’intendo. L’uomo normale, nella normalità delle sue funzioni, non ama nel senso divino. Soddisfa alle necessità dell’appetito, mangiando e digerendo. Costui è tutto materia ponderabile. E’ tutto ventricolo e accessori. Se desidera una donna o una cotoletta alla milanese, vuol dire che ha appetito dell’una e dell’altra. Digerisce tutte e due le cose egualmente. Se gli mettete innanzi l’obbligo di mangiare una sola cotoletta per tutta la vita, si adatterà. Ogni volta che avrà fame, ricorrerà alla pietanza che gli è permessa. Quando ne sarà stufo, aborrirà la bistecca, per raspare nell’immondizia e nei detriti della via un qualunque rifiuto delle mense altrui. Facciamo di costui un’iniziato all’amore! E’ lavare la testa all’asino.
 L’amore comincia ad acquistare carattere sacro, quando mette l’animo umano nello stato di mag o di trance. Materia più grave e materia più sottile sono prese nell’uomo da uno stato di magnetismo così profondo, che comincia prima la intuizione e poi la sensazione di un mondo che non è umano, ma che nell’ipersensibilità di uno stato di essere speciale, attinge ad una fonte umana.
(Un lettore di ieri e di oggi) : Qui sei astruso…fuori i lampioncini, spiegati più chiaro.
- Ecco qua: parlo come un libro stampato: Per conoscere ciò che è la cosa, bisogna essere la cosa stessa. Se tu in magia vuoi conoscere che cosa sia il cavallo, bisogna che tu ti senta cavallo. Se invece resti bue ed io ti parlo del cavallo, tu non capirai. Bisogna pregare la mamma Venere che ordini al suo divino Cupido di scoccarti nel torace uno straletto avvelenato del dolce veleno. E non deve scoccarlo solo su te, ma anche su una di quelle creature che abbiamo il dovere di adorare e di proteggere, perché sono più sensibili e più deboli di noi: una donna.
& Io premetto che tu non sei un uomo normale . Me lo immagino e lo spero, perché se tu fossi tale, non leggeresti la prosa di un pazzo. Ora lo strale di Cupido non farebbe rivolgere la tua prima intenzione alla bistecca, e – messo in presenza di lei (oh quel pronome fatale!…) – rimarresti in uno stato speciale di estasi, come santa Chiara e le altre non hanno avuto mai. Rendile più intense quelle estasi, muto, senza desiderio, e tu ti allontani da te per afferrare l’anima dell’amica che si trova nello stesso stato. Bada bene, inchioda il tuo corpo su di una seggiola e fa che l’altra, lei, stia inchiodata alla sua. In un senso indefinito di trance se è passiva, di mag se è attiva, voi vi direte un mondo di cose belle, vi farete un racconto delle mille e una notte e…siete in completa zona astrale, nella zona dove vivono le anime, cioè – in lingua povera – in un campo mentale dove la materia pesante e sottilissima e meno grave tua, entra in contatto non solamente con la materia pesante e sottilissima e meno grave di lei, ma con tutti i corpi, entità, angeli, eoni, costituiti dalla stessa materia, che possono logicamente entrare in contatto coi vostri tentacoli. Direbbe un santo padre: il diavolo ha messo fuori le corna. Proprio così. Sembra la cosa più facile del mondo, e lo è. Tutti gli amori raffinati hanno istanti di magia amorosa. Ma il difficile sta in due cose: nella bistecca e nel far durare intensamente e definitivamente questo stato. Qui, caro il mio lettore arguto, ti voglio far bene aprire gli occhi su di una burletta fatta ai papi e agli scienziati: l’alchimia, che è stata presa come la madre della chimica moderna, quando invece fu un pesce d’Aprile preparato e digerito dalla Chiesa, la quale si è assunta l’esclusività della scienza dell’anima; quindi nessuno poteva invadere il campo religioso. Ma mentre i roghi bruciavano gli stregoni e i magherelli da strapazzo, quelli che veramente facevano la magia, presentavano la vivanda, adulterata sotto una forma metallica. Dissero: la cristianità è povera. Vi è un secreto per cambiare tutti i metalli grezzi e vili in oro. I primi erano gli uomini ordinari (metalli); l’oro era l’integrazione dell’uomo. Chi prese la cosa alla lettera, accese i fornelli e preparò la chimica moderna. Chi intuì la maschera, trovò in quei libri due grandi segreti: quello semplice della magia eonica, e l’arcano degli arcani che nel sacrificio della messa – senza capirlo – è stato tramandato a noi dalla chiesa: cioè come mutare il pane senza lievito, con due liquidi della terra, in un dio visibile.
 Parliamo della più facile delle due magie. La eonica ci deve trasportare in pieno Conte di Gabalis. Eone è l’essere. Eone o ente dev’essere materia, come è materia tutto il mondo universo. Eoni o enti devono essere intelligenti, e quindi in perfetta analogia con l’umanità pensante e intelligente. Sono spiriti? Se per spiriti vuoi intendere creature analoghe agli uomini, ma viventi di materia più sottile della nostra umana e forse più sensibili di noi, chiamiamoli pure spiriti. Ma se con questa parola vuoi intendere le anime dei morti, ti inganni. Quello lì è regno vivo e non ha niente di lugubre. E’ il regno della favola. Vi sono fate, orchi, divinità, elfi, ondine, salamandre, silfi, gnomi…ninfe, satiri . 
(Un lettore di ieri e di oggi): Anche satiri?
…pei quali è bene aborrire dalle bistecche.  Se non che, avendoti io svelato il come e il quando tu puoi entrare in questo mondo dell’inverosimile per la porta del divino Cupido, io non so come farti capire che corri un gran rischio all’inizio di questa magia: il rischio di uscir matto davvero, se non sei savio. Poiché la magia, per questa porta dell’amore, comincia veramente quando lo stato di essere del tuo individuo, permanendo nella intensità più inverosimile delle vibrazioni animiche del Pir o fuoco magico, separa l’amante che si vede con gli occhi fisici dalle entità astrali che si ammirano col senso delle corna allungate (fate, orchi, ecc.) della stessa zona a cui tu e lei siete arrivati. O sapiente orecchiuto critico, lettore impaziente che tutto vuoi sapere, che non batti mai le mani, in questo preludio credi che io ti abbia detto poca cosa, e te ne ho dette molte di cose grandi che nessuno prima di me ha scritto e che nessuno scriverà prima del disseccamento del sacro Nilo, dove i coccodrilli non meno sacri piangono i rospi mangiati vivi. Con questo libro io aspiro al premio Nobel.
 (Un lettore di ieri):…come Marconi.
Più che Marconi. Il telegrafo senza fili è una particolarità della vita sociale, abbrevia le distanze alla parola scritta. Io invece supero di mille e ottocento cubiti Cristoforo Colombo, che scoprì un mondo nuovo alla vecchia terra, e quantunque ti debba parlare in seguito dell’uovo di Colombo che mantiene ritti i pinnacoli delle antenne, quando la navigazione è in piena acqua interoceanica, voglio scoprire a tutta l’umanità che si dibatte in vane teosofie, tutte le porte di un mondo che, tenuto nelle grinfie dalle teocrazie iniziatiche antiche, non si lascia visitare da quelli che fanno parole e professione di visionari mistici, o da filosofi trascendentali che non fanno se non vaniloqui. E questo mondo arcinuovo io lo apro a tutti i Vespucci e ai naviganti portoghesi che si affannano ora a girare le coste di una terra ignota, per la quale non trovano l’accesso navigabile . Io spiattello tutto con sincerità e con ingenuità. Lo faccio perché il popolo, sottratto ai preti di tutte le religioni, possa dire che il giorno della gloria è arrivato.
 Non nascondo niente. Non faccio misteri. Lasciamo i misteri alle vecchie e consuete carcasse sociali. Io dico vivete, godete, gioite, integratevi, abbiate la forza di capire che i monologhi vani sono parole che imbrogliano le matasse. Chi è il citrullo che non capisce queste cose semplicissime che spiattello per la maggiore gloria del Dio vivo e vero che è l’uomo vivente, arca santa dell’Ineffabile Onnipotente, il Niente? E dici che quei mattacchioni che assegnano il premio Nobel non penseranno a me che all’umanità apro il porto della salvezza e dell’invisibile. Oggi è di moda parlare dell’al di là; ma l’avverbio là non è concepibile come un luogo topograficamente accertato, senza aver definito un mondo che sta di qua. La scienza dei savi, caro lettore, non riconosce che un sol centro di vita il quale non sta ne là né qua, ma nel giusto mezzo, tra passato e futuro. L’universo è uno. L’utopia del cielo, nascondiglio degli dei e delle anime, è una favola. Le cose stanno qui, tutte qui, tutte in questo bellissimo e simpatico pianeta. L’invisibile sta alla portata dei nostri occhi. V’è molta gente che non ha perfezionata la vista e non vede. Io apro gli occhi ai ciechi e dico: vedete, eccovi le 72 porte della sapienza, ve le apro ad una ad una. Vedrete, apprenderete con l’esercizio e con la pratica che potrete veder meglio. La teosofia la farete dopo, quando non avrete alcun bisogno di farla. Tu credi che io sia davvero così poco matto da non averti dato nelle mani una chiavetta per tentar la scalata al castello degli spiriti? 
 Ti ho preludiato dell’amore. Tutte le scuole neoplatoniche italiane e provenzali dei secoli scorsi in Italia, in base a tutto quello che ti ho accennato, tentavano la magia eonica . Il romanzo della rosa, le corti di amore, i cavalieri erranti, Guerrino detto il Meschino, i Cavalieri di Francia…scava dentro a queste cose che tutti i barbieri sanno, e vi troverai il nespolo occulto. Gli eroi greci avevano in corpo l’Eros, un animaletto molto somigliante a Cupido. I cavalieri di Carlo Magno erravano per selve e montagne e subivano l’incanto di amore, combattendo contro gl’infedeli; il maomettano era il tipo dell’infedeltà in amore, perché si personificava in lui l’essere incapace dell’iniziatura dell’amore, poiché mangiava solo bistecche, eternamente bistecche.
 Più filosoficamente si chiamò neoplatonismo, appena dalla cavalleria eroica l’iniziatura passò alla poesia. Vedere che l’umanità si sprofonda in salamelecchi innanzi ai nostri grandi poeti senza capire ciò ch’essi hanno scritto chiaramente, è cosa da far rizzare i capelli anche su di una tazza di porcellana! Tutti ebbero una donna ideale, tutti ebbero l’apparenza di tanti Florindi pazzi per amore che sarebbero soggetti da psichiatria se nn avessero voluto dire quello che altri non sanno leggere. Beatrice, Laura, Fiammetta…aprirono la serie che non finisce più. L’infiltrazione di questa iniziatura si estende e circola nelle corti di principi e prelati. Il periodo angioino a Napoli, la Corte Medicea di Firenze, quella di Este, quella di Leone X: il regno dell’amore prende il regno di Dio.
 Roma alla rovescia è Amor (Roma-Amor-Orma-Maro furono nomi iniziatici dell’Urbe che era il sacrario occulto dove si faceva il caldo e il freddo. Quando il sacrario degli ascosi mari o i laberinti sacri furono svelati, si sentì l’odore delle cene di Petronio Arbitro. Peccato che il Matto non aspiri ad una cattedra per la latinità della mistica Orma, per spiegare certe cose che non furono mai spiegate). Ecco perché Dante prende a maestro e guida l’iniziato che aveva conosciuto e cantato gli eroi che tenevano in corpo quella tale freccia, aculeo che spinge e sprona. E Dante con un Maestro siffatto prende le cose dal basso e comincia il suo viaggio dalle porte inferiori, dalle quali per tante vicende arriva alla presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Porta infera o porta magica dantesca, che in modi diversi tu vedi raffigurata in certi ruderi nel pubblico giardino di piazza Vittorio Emanuele a Roma, ruderi di una porta bassa che con segni cabalistici indica in che modo si entra per la porta di Amore nel magazzino dell’ottico in cui la vista umana può cominciare il suo perfezionamento. Vedi che più pazzo di me tu non trovi. Io ti dico tutto. Tolgo il velo ad Iside e te la faccio portare a cena dopo il teatro e, dopo cena, alla camera nuziale. Come vedi, sono un matto di manica larga. Sai tu come nacque lo spiritismo magnetico in Francia con quel burlone di Alfonso Cahagnet? Un processo semplice, dice il Maestro: prendi una giovanetta, mettila a sedere dinanzi ad un bicchiere di acqua limpida, poggia la mano sulla testa di lei, prega il buon angelo che scenda sulla tua giovinetta e le faccia vedere…statti bene a sentire tutto quello che vedrà… Allora si credeva al buon angelo. Oggi chi ci crede più? Questi veggenti vedono in una trance superficiale, e sognano ad occhi aperti tutto quello che passa nella zona dei pensieri umani. Io invece ti ho scoperto il pianeta della felicità…e della verità. Ama. Ama come il cavaliere leggendario quella bella creatura che sta chiusa in un castello di bronzo. Non puoi amare così che per grazia…tutte le sonerie del tuo castello devono vibrare, come in segno che la tua anima si affaccia sull’abisso immenso, infinito delle anime. Sullo stesso abisso si affaccia l’anima di lei, e si apre il cinema invisibile al profano mangiatore di pollanche arrostite.
 Lucifero (e non può essere il Cristo?) ti aspetta e ti può guidare, se sai e non temi. Sei in piena piromagia o magia del fuoco divino. Perdi l’equilibrio? Oscilli? Tremi? Eccoti che sdruccioli nella magia infernale; il fuoco divino perde la sua limpidezza e i vapori dei tizzoni e della pece ti avvolgono. Lucifero scompare, e comincia a cantare lusinghe la voce dell’efeba. Ma a questo punto cessa l’intermezzo piromagico che prelude al maggior arcano di Venere che da la iniziatura eonica. Leggi bene, attentamente, non ubriacarti di vanagloria, e capirai i tre segreti:
1. Come mantenere acceso intensamente il fuoco sacro.
2. Come renderlo perpetuo, e con quali carboni alimentarlo.
3. Come, col sigillo di Salomone, celebrare le tue nozze con una fata, se sei un uomo, con un orco se sei femmina, perché riviva la fiaba iridescente che gli uomini non conoscono ancora e a cui fingono di non voler credere.

4 – LA MORTE

La vita, nel senso pedestre della parola, è una catena ininterrotta di piccole e grandi pene; la vita morale e spirituale è in lotta perpetua con l’ambiente, tenaglia che preme le nostre elementari libertà. La vita fisica, materiale, grossolana del nostro corpo, lotta perpetuamente con necessità insoddisfatte, con piccoli e grandi malanni, contagi, epidemie, infermità costituzionali e con tutta la scala variopinta dei dolori e delle impotenze della nostra carcassa. La civiltà, con leggi, provvedimenti, consuetudini, costumi, transazioni, cerca di riparare alla meglio alle necessità liberaleggianti del morale umano, costringendolo, educandolo alla ipocrisia, inverniciandolo per nascondere il colore antipatico delle anime ribelli, profumandolo per impedire che il sentore della volontà di prevalere sui propri simili si discopra. Al fisico umano cerca di riparare la scienza medica, l’uomo che lotta contro la natura, per strapparle il segreto della sanità e della invulnerabilità.
 Esaminato bene il bilancio delle pene e dei piaceri, delle ore di delizie, delle spiacenti, delle pacifiche, delle terribili, e ponderandolo con leggero acume pratico, il più beota tra gli uomini vedrebbe chiaro che non val la pena di vivere e d’affannarsi a vivere. Giovani, in lotta con le necessità, le ambizioni, i desideri di godimento, con un corpo esuberante di sangue, di muscoli, di linfa, spesso affamato, eternamente in tensione per afferrare la fortuna al rapido passaggio, chiamano emulazione, per ipocrisia, ogni agguato che ci lusinga di togliere al nostro vicino il pane e la fama per assiderci al suo posto e gentilmente schiacciarlo come un insetto immondo. Vecchi, coi mezzi raccolti in vita, quando molto si potrebbe godere per l’esperienza, la temperanza e la saggezza, i malanni fisici, l’impotenza, la debolezza e la cagionevolezza, ci riducono a ombre pie o a rassegnati, in attesa della fine. Eppure, con tal quadro, gli uomini non vorrebbero morire.
 La Morte, considerata a sangue freddo, senza bollori bellici, senza esasperazioni di rissanti, fa paura a tutto l’umano genere. Vi ci acconciamo perché non possiamo evitarla. Vi ci ricamiamo su un bellissimo epitaffio filosofico, per edulcorare la pillola che bisogna volenti o nolenti, ingurgitare con una smorfia di spasimo o una maschera eroica. Perché? Dagli Egizi, dai Caldei, dagli Assiri ai Cristiani, tutte le religioni si sono imperniate su questa assillante idea, paurosa, opprimente, del dopo morte. Il di là della vita, buio, ignorato, discusso con tanti vari argomenti, da chi lo dice lieto e felice e luminoso, come gli spiritualisti a tutto vapore; da chi lo vuole purificatore e ascendente verso la immensa vastità cosmica che si immedesima al Nulla; da chi lo determina al giudizio che Dio farà di noi, come dall’antico Egitto al Cattolicesimo, questo salto nell’oscurità immensa dell’ignoto è tanto universalmente temuto che assume in certi istanti l’aspetto più comico; che se non fossimo civilmente educati a stimar la morte come un istante solenne di una gravità sublime, ci metteremmo a ridere.
 Poiché, amico lettore, muore tanta gente a ogni minuto dell’orologio del vicino campanile, che serenamente considerata, non deve essere affatto una cosa difficile, né un’azione spaventosa. Il medico Cirillo, motteggiando, soleva dire che la morte deve essere bella, perché, dopo il suo arrivo, gli ammalati non si lamentano mai. L’epoca nostra, che per scienza e per dottrina è meravigliosa, che possiede strumenti e metodi e sale di esperienza che nessun secolo pare abbia posseduto, più di tutte le precedenti vorrebbe risolvere il problema della vita, il suo prolungamento all’infinito. Non sono atto a fare la storia di tutte le idee sbrodolate negli ultimi cinquant’anni; ma se n’è sentite di tutti i colori. Non siamo con i tempi né fuori la relatività dell’ora, superstiziosi della leggenda del millennio apocalittico; ma ci sentiamo lontani dalla concezione religiosa dell’immortalità dell’epoca lontanissima e più recente. 
& La scienza moderna – il cui vanto è il disoccultamento degli antichi sogni dei credenti – ai suoi adepti lascia sperare, almeno intravedere, una immortalità cellulare organica ed inedita, che non è quella dei mistici, e tanto meno quella degli iniziati. Lancelin asserisce che l’occultismo è uno sforzo perseverante verso la scienza, e rovescia l’ipotesi della vera via che le università si tracciano per risolvere l’enigma di Anteo: combattere il divino eroe con la forza della chimica terrena, madre di quelle stupende scoperte che nell’ultima guerra hanno divertito il genere umano. Raimondo Lullo, i Rosacroce, i Templari, Flamel, Rupescissa, Trevisano, gli Illuminati, San Germano, Cagliostro, gli Orfici, i Misteri Egizi, i libri dei primi alchimisti greci, le leggende religiose, paiono sepolti per sempre. (I pausa)
& La maestà del materialismo, che si diceva morto con la rinascita dello spiritualismo mistico, pare che rinserri al concreto le tombe delle fiabe tramontate. Neanche i mocciosi credono più alle fiabe. Ma questo materialismo, senza virtù di temperanza, è roso da un pantano largo pochi metri, largo direi, quanto un passo d’uomo, che oggi comprende poche intelligenze umane e viventi, e che domani sarà mutato in mare. Né sette, né i costruttori di nuovi e piccoli templi, né il Sinedrio, né il Santo Ufficio lo demoliranno rinserrando la larga platea senza gridare e senza maledire; né in cento anni di continue soverchierie lo hanno allargato; non le università, antiche di dieci o dodici secoli, perpetue ed inesauribili conservatrici di metodi e giudizi che non vedono fine, né lasciano, fuori la tradizione, posto alcuno ad innovazioni radicali a dimensioni multiple. Ed un contro altare si erigerà dinanzi a questa università scientifica di una scienza esclusiva, e si parlerà in modo più comprensivo e più umano.
 Poiché questo materialismo, né morto né moribondo, è dilagato nella ingiustizia; ha riversato, nella mentalità contemporanea, la concezione impura di una vita con aspirazioni al godimento fisico illimitato, irragionevole anche nel desiderio di prolungarla, per il piacere capronico della moltitudine. La quale, nella rapidità delle visioni turbinanti fornite dalla massima soppressione di tempo e di spazio, non trova necessaria che la sola deificazione della filosofia meccanica di controllo, come una religione dei sensi più gravi, diretti e addottrinati da una intelligenza che rinnega a se stessa una vita dello spirito, dell’anima, e non riconosce alcun potere al pensiero dell’uomo in sé, fuori l’adattazione alla materialità della vita. Un serpente e una lingua biforcuta.
 La scuola nuovissima darà carattere al pensiero dell’interpretazione pitagorica italica del magismo, e al di là, al di sopra del magismo, sormontando le particolarità dei rituali, affermerà la immortalità luminosa dello spirito intelligente della materia, passando dalla concezione simbolica della sfinge umana o umanizzata al raggiungimento divino di un atomo materia e pensiero. E’ una profanazione dell’alchimia integrale? È un prendere con un pugno irriverente le parole tesaurizzate degli scomparsi alchimisti dei secoli vissuti, per gettarle nella porcaia? Ma non esageriamo! E’ assolutamente inutile erigere una torre Eiffel per piedistallo al buon senso italico, il buon senso della schietta filosofia della pratica Magna Grecia, maritata a quell’occulto giudizio di inflessibile temperanza che fu dell’Etruria e di Roma. 
 Io credo alla resurrezione della potenzialità del pensiero pitagorico – la Pizia, il Pitone, la Spira elicoidale che prende nascenza nell’astrale dell’Italia vetusta e assurge all’imperio della coscienza universa, – e credo a questa missione pitagorica italica come il segno di un rinascimento filosofico, scientifico e artistico, impossibile nelle mani che ancora stringono la ferula scolastica del Medio Evo. E’ un sospetto o un desiderio messianico? Chi può dirlo? Siamo vicini al duemila (!). Non sento ancora echeggiare per le vie le apocalissi del terrore; la fine di un mondo non è sempre la frantumazione del pianeta tanto piccolo che noi abitiamo, e tanto meno può limitarsi ad un diluvio che porti le onde all’altezza del Monte Rosa e ai ventotto vulcani, predetti dal solito geologo americano, che incendiano l’Europa e la riducono in cenere e carboni: la fine del mondo può essere la morte di tutta la rancida vecchiaia, sommersa da un ringiovanimento di luce e di pensieri che, sorti dai sepolcreti fatidici, riprendono la missione già anticipata, e rinnovano, rigenerano idee e visioni nel mondo esteriore.
 E per la conversione e il ringiovanimento di noi stessi? La Morte! Terribile, spaurita, scheletrica immagine del 13° Tarocco, tu fai venire il freddo. Venti secoli cristiani, alla visione delle tue ossa scarnificate, si commuovono in noi. Ci comunicano i pensieri allegri delle antiche incisioni e calcografie, sulle pareti che riparano i nostri letti in camere arcaiche popolate di icone, parate a festa, illuminate da lampade dall’odore di frittura, con un diavolo che ghigna per non poterci afferrare ed un angelo armato di scimitarra turca che ci difende. Ci risveglia l’amore che i buoni teologi domenicani hanno avuto per noi, per purificarci dall’eresia, dall’accusa e dal sospetto di magia diabolica, e rievocano quelle simpatiche corde che ci incoraggiavano, con sorridenti scrollatine, a confessare i nostri sabba e le orge del noce di Benevento, o gli arrosti umani di Fra Giordano o del priore dei Templari, o le processioni di penitenza e gli allegri carnevali delle abiure e delle pubbliche confessioni.  Sei Siva? Sei il tempio dei corvi che mangiano i cadaveri delle torri dei Parsi? Sei il campanello del viatico? Sei il feroce squartatore d’Osiride? Sei la bocca dentata dei mostri caldei? Sei la cenere di un’anfora inutile a cui i nipoti non pensano più? Tu, o miracoloso, tre volte santo scheletro, che raffiguri una fine temuta, hai lo sguardo sorridente; tu sei il simbolo della giovinezza. Tu, nei tre mondi dello spirito, della materia e dell’atto, sei il rinnovamento. Morte, lasciati guardare in faccia; le ossa monde come denti di sacro elefante, bianco sudario, sei come la più bella e chiomata fanciulla sorridente di voluttà nella carne adolescente; se io avessi gli occhi penetranti alla maniera dei raggi X, vedrei scheletri come te e sentirei l’alito della fragrante gioventù; se ci penso, sento di pari fragranza il tuo alito. Non puti di terra umida, di muschio, di funghi, di crittogama e di muffa, perché tu, per lo spirito, non sei che la fine di un errore, d’un orgoglio, d’una schiavitù, d’una ossessione. 
 Se lo scheletro è ancora forte, se la carne è ancora vegeta, le cellule vive, il tessuto delle vene elastico, che bisogno c’è di passare per la tomba e rifarsi? Tu, o Morte, sei la soluzione dell’enigma spirituale nell’uomo vivente e della profonda custodia della sua anima ignorata. Sei il simbolo della grande Alchimia, sei il triplo Mercurio e il Mercurio morto, sei l’Azot, sine vita, sei l’ala profondamente scura del corvo, sei il sonno preparante il risveglio, il dolore tremendo che prepara la nascita del più luminoso figliolo, dopo l’avatar, la metempsicosi dell’antica e lorda anima nella VITA NOVA. Così Dante iniziò il viaggio per assurgere a Beatrice, la luce in atto, nell’altezza più eccelsa che è Amore e luce. 
 Pharmacum Catholicum o Elisire di Lunga Vita. Arcano divino degli alchimisti, tu sei la gioventù eterna, spirito raggiante sul nero fondo del mistero dell’astrale; l’uomo cammina come il matto dei tarocchi: un cane, la necessità, gli morde i polpacci delle robuste gambe: sempre avanti, più avanti, lontano, più lontano. Il Papa, la Papessa, L’Imperatore, L’Imperatrice, i quattro Re, i cavalieri, le dame, le Stelle, gli Amanti, i colori , passano, ritornano, gli girano intorno, si squagliano, si azzuffano, fino a che il giocatore di bussolotti, spinto dal Diavolo beffardo, si decide a bere nella coppa dell’Amore, che è la Morte, e si muta nel giovane Faust, abbagliante, incantatore, indifferente che, per non mantenere il patto (la paura) cade nelle musiche degli angeli volgari, il cielo dei volghi…e si salva nel misticismo.  Noi non abbiamo progredito di un decimo di milionesimo di millimetro nella scienza dei poteri dell’anima. Siamo sull’orlo di un pantano melmoso che si chiama “volgarizzazione”, ed in questa pozza si affonda il piede dell’audace che va innanzi, parlando, discutendo, pubblicando. I metodi per la investigazione della scienza delle anime non devono essere identici agli ordinari adoperati per un segreto di metallurgia. Diversamente, il processo della morte resterà il grande arcano impenetrabile. Dice la moltitudine, la plebe scientifica, quella che brevetta i ritrovati e le scoperte industriali: “se sapete e potete provare, venite, io vi poserò sul capo una corona di alloro”. Ho paura che questo arboscello di lauro nobilissimo non sia stato seminato ancora, e che le sue fronde non siano spuntate per fabbricare la corona per lo scopritore di qualche verità preclusa alle masse. Il Filalete, in uno dei suoi curiosi scritti, insegna a “non vendere l’oro che riuscirai a fabbricare”. Chi riesce a sapere, che bisogno ha della benedizione e di un brevetto? E se proprio le masse dovessero ignorare certe verità?
 Se Trimalcione offriva, prima dei pasti, ai suoi convitati uno scheletro d’argento per incitarli a godere la vita, bisogna intendere che i Romani del suo tempo non avevano paura della morte. Sublimi padri nostri, voi non eravate attaccati dalla peronospera neogiudaica che da venti secoli fa considerare la vita come un’espiazione. Di che? Di quale colpa? Voi, gente eroica, equilibrata e giusta ammiratrice di ogni follia religiosa, alla Morte assegnavate un posto di persona noiosa e necessaria, come a chi governa le scodelle ingrassate della cucina. Nessun tremito e nessuna tenerezza; né l’immagine di Caronte, né il giudizio di Minosse vi preoccupavano; bastava l’amico Mercurio per accompagnare la vostra personalità immortale sulla via degli Elisi. E quando il simposio, tra anfore di vino odorante e donne odoranti di rose, si protraeva oltre il tramonto, gli schiavi, portatori delle faci, pronunciavano il “vivamus, pereundum est”: godiamo la vita, perché cesseremo di vivere. 
 La Notte, divinità nera, figurazione delle tenebre cosmiche, da cui procede la creazione delle forme, pei Greci e pei Latini fu madre del Sonno e della Morte. Il dormire ed il morire, figli della stessa Dea a cui si sacrificava il gallo, il nunzio della Luce , che fu simbolo di Esculapio che lo portava in pugno. Dunque dormire è morire, la Morte è come il Sonno. Attraverso l’ellenismo, è artistica ogni forma dell’esagerato e difficile simbolismo orientale: l’oscura Notte nelle mitologie poetiche fu qua e là madre della lunga teoria delle più buie divinità, della Paura, del Dolore, delle Parche, della Concupiscenza e della Discordia, dell’Ostinazione e del Destino – ma il Sonno e la Morte restano confissi latinamente come fratelli, ignorati, tenebrosi, somiglianti. 
 Morire e dormire. Fui, Sum, Ero. Se, affacciandoti nell’abisso profondo dell’astrale, tu domandi chi sia il tuo Dio, la voce ti risponde: “Io sono colui che fu, che è, che sarà in eterno. Né la morte mi cangiò, né le ceneri disperse del mio cadavere di ieri hanno menomata la potenza dell’essere”. Il mito di Orfeo, che si volse a guardare la sposa pur sapendo che l’aveva perduta, grecizza l’enigma osirideo egiziano: il mistero della tragica morte tra le baccanti innamorate, che ne facevano a brani il corpo; e il suo capo reciso, portato dai flutti dell’Egeo, cupamente se ne doleva ai piedi delle rocce di Lesbo. Osiride e Orfeo, iniziatori della civiltà. Cicli sacri personificatori; sacri, perché develavano alle plebi selvagge che, oltre la morte, una parte di noi si trasforma e vive d’una vita diversa per continuarsi. 
 Il serpente che nel letargo muta la sua pelle. Il letargo non è forse qualche cosa più del sonno e poco meno della morte? Le leggende dei culti, la passione di Mardruk, la passione di Osiride, la passione di Cristo, sono lacrime e martiri, morti e resurrezioni. Osiride, vinto da Set, è assassinato, ha il corpo fatto in 14 parti disseminate senza pietà sulla terra d’Egitto. Iside le ricerca con amore, ed in ogni sito, ove una parte dispersa è ritrovata, un tempio Osirideo è costruito. Osiride rinasce nella vita vegetante e animale, e Iside, nel dolore della pia ricerca, dona agli uomini i riti dell’immortalità . La morte in Egitto è un mutamento di stato. Si muore come si va a nozze, al tutto è solo necessario un buon prete officiante, un mago incantatore di forze. Dopo tanti secoli di storia dimenticata, noi ci poniamo, come seimila anni fa i Caldei e gli Egizi, la soluzione dell’enigma della morte; e riflettiamo che fra le morti successive di miliardi di corpi umani scomparsi, la crosta del piccolo pianeta nostro deve essere impastata di residui materiali dei nostri predecessori, antenati o padri.  Se il fratello che ancor ieri pensava e parlava, ci muore ancor rigoglioso di vita, innanzi al suo cadavere ci domandiamo se egli è distrutto o è volato come invisibile farfalla in libertà e pace, in aura più ideale, in regioni mai sognate, in una vita nuova, agli uomini mai svelata. Resta di lui la sola cenere del corpo che si dissolse negli elementi terreni, o la più tenue essenza del suo soffio vitale vede, gode e soffre come innanzi? Se a lui rivolgiamo la parola, ci sente? Se lo pensiamo, il suo pensiero ci intende? Se, nel dolore del nostro affetto, cerchiamo le sue forme amate nelle quali egli ci ha amato, può, commosso dallo stesso amore, raccogliere gli atomi dispersi del suo corpo svanito, e apparire e parlarci? E quando, negromante o incosciente, nel mio dolore allucinante, lo plasmo e lo ascolto e ne riconosco l’accento e ne ricordo il pensiero, sono io sull’orlo della follia, o in presenza di un intervento dell’oltre tomba? E se egli, sotto forma diversa, vola o è volato libero, intelligente e felice, quale lo spazio che l’ha accolto? Qual è la concezione nostra di una dimensione fuori le note della volgare geometria euclidea?
 O filosofi, o credenti, o religiosi del pratico francescanesimo, non trepidate nei vostri ragionari e nella vostra fede. Se il ragionamento o la fede vi manca, non vi resta che la negazione. La scienza umana, la ufficiale , non vi conforta, nega. La scienza umana, che ha inventato le polveri onnipossenti per squassare la terra, e i fumi pestiferi per uccidere gli uomini, i veicoli per salire sulla luna e il mezzo per portare agli antipodi i messaggi e i suoni, questa scienza onnipotente a cui nessun elogio è negato, non può dirci se oltre la tomba si vive e si ama; siamo ancora in piena eterodossia, se crediamo agli spiriti dei morti, ai fantasmi, alle anime del purgatorio che si manifestano ai vivi. La scienza nega e la religione proibisce, il prete celebrante la messa, recita ancora la preghiera all’arcangelo Michele affinché sconfigga e dissolva i demoni che fanno da spiriti dei morti sulla scena degli incanti e attentano alla purità dei creduli. Scienza e religione ci lasciano attoniti, fuori la fede è la ribellione. L’iniziatore s’affaccia. Esiste il Maestro che ha risolto l’enigma della sopravvivenza? Ermete, Pitagora, Orfeo, non hanno avuto continuatori? Come lo spirito del Cristo aleggia nei templi paolotti, il loro, che era sapienza di ricercatori, non rivive nei discepoli antichi, votati alla missione pontificale? Questa iniziazione è fuori l’orbita della scienza delle università, ed è in contrasto con la tradizione religiosa cristiana. Io credo che non bisogna esser vili nella critica delle idee pseudo iniziatiche e mistiche che ci piovono da ogni parte; e di questa viltà, per amore di pace, siamo un po’ tutti intinti. Noi apriamo le braccia a tutti i mistici, e rispettiamo tutte le panzane vomitate dai più fantasiosi. Siamo teneri ammiratori dell’Oriente Indiano e del famoso Tibet; ammiriamo volentieri il Taoismo e il Confucianesimo; andiamo in brodo di giuggiole per un po’ di Buddismo annacquato; i cenacoli della tedescheria ci commuovono, e romanzieri dell’ignoto ci paiono messi della Provvidenza. 
 Ma queste cose, per chi ha piacere di essere distratto, sono passatempi gradevoli, tra una tazza di tè e un biscottino zuccherato, darsi l’aria di sapere gli arcani dell’invisibile e aspirare alla sapienza onnisciente degli spiriti che stanno dieci metri da padre Bacco, è grazioso. Questa mancanza di opportunità e questa consuetudine di lasciar dire e fare generano la confusione e il pasticcio delle idee nel grosso pubblico, attratto, per debolezza infantile congenita, verso il meraviglioso di ogni specie. Tanto più se ci entra come intingolo qualche parola soffiata alla giapponese, o un gargarismo indiano, o tre gutturali ebraiche. Quella che si dovrebbe intendere per INIZIAZIONE è tutt’altra cosa. Non ha a che veder niente con la mistica. 
 E’ un materialismo di altro genere perché forma, costruisce, educandoli, gli operatori, i sacerdoti celebranti dalle mani pure e dalla parola dal tono giusto. L’iniziazione magica è cosa più che aristocratica, regale. Il suo simbolo è la corona. Non quella d’alloro dei poeti. La corona che dà la potestà imperatoria. La teocrazia va intesa così. Perciò Eliphas Levi, che ha una tenerezza ebraizzante spiccata, avrebbe voluto rendere le rugginose chiavi dell’ebionita Caifa, atte ad aprire le porte dei cieli. Il triregno è un simbolo giusto, una splendida etichetta dorata su di una bottiglia vuota. L’iniziazione alla grande magia imperatoria comincia con la Morte, la Morte che è una purificazione incompleta, perché la rinascita porta in germe la memoria della vita vissuta anteriormente.  Il Cattolicesimo è infiltrato di riti magici dall’epoca in cui elementi gnostici ne manipolavano la liturgia. Eliphas Levi strizza un’occhiatina maliziosa; quelle famose chiavi hanno bisogno di essere unte con olio di sapienza, per aprire, col Paradiso, la develazione dei misteri. Ciò che gli egittologi non hanno ancora capito. La rivivificazione della mummia laccata e fasciata è l’incanto perché, ritornando a vivere la vita umana, il KA e gli altri due complici (uccello intelligenza, cicogna o migratore, anima che si reincarna = BA, uccello luce, ibis coronata, spirito immortale = AKH) si riuniscono di nuovo per continuare la identica felicità della vita vissuta. Lo stesso augurio non occorre fare a chi ha menato una vita di stenti e di privazioni. Il Cristianesimo fa l’assistenza ai moribondi; assistere un moribondo cristianamente, cattolicamente significa ipotecare alla stessa lugubre fede paurosa la vita futura. Vita futura? Ma non fraintendiamo; non nei cieli, non nei campi Elisi, ma in terra, alla reincarnazione prossima.
 L’iniziatore ti dice: non credere. Tra la fede e la scienza vi è un abisso. L’iniziatore non dice “credi”, dice “prova”. Vuoi sapere il “dopo morte”? O prova a ricordarti donde vieni, o prova a morire per ricordare. E, mostrando una statuetta di Mercurio pronto a spiccare il volo, l’iniziatore t’invita a non ber vino: regime secco all’americana; non ubriacarti, se non vuoi avere la televisione delle sante del paradiso che sono passabilmente brutte, come Simone e Paolo, due tipi bruttissimi, ingentiliti dagli artisti italiani quando crearono la bellezza mistica, luminosa, ideale, come non è stata mai concepita dopo l’arte Ellenica, plasmatrice di altra bellezza. Chi ha visitato gli scavi di Pompei, deve ricordare che sul muro adiacente alla bottega di un unguentario sono scalfite delle parole latine che suonano così: “Oziosi non vi fermate, procedete per la vostra via”. In altri termini: qui non vi è miele per chi non è pronto a sfidare i veleni della morte: questa la traduzione che l’iniziatore incise sulla porta della sua bolgia. 
 Morire è risorgere; iniziandosi la Morte è la visione del risveglio. Gli oziosi, gli sfaccendati, i curiosi, i grammatici e i gazzettieri, sono pregati di procedere oltre. Troveranno più avanti delle più facili e più seducenti botteghe. Una tazza di tè e dei biscottini all’essenza di arancia. Un bel discorsetto per acquistare la chiaroveggenza in due sedute, o diventar magnetizzatori in otto giorni e poi avere il successo nella vita. Ideale alla maniera moderna di comprendere l’utilità di sapere qualche cosa che possa condensare il piacere di vivere. E non è un’idea balorda: se il Supremo ci promette facile la conquista di un paradiso di oltretomba, potrebbe anticiparci un po’ di felicità in questa valle di lacrime: Budda era tondo e grasso come un priore dei domenicani, e gli iniziati più famosi non mancarono mai di un po’ di polvere di pirlimpipì per convertire i manici delle scope in barre d’oro.
 Queste note brevi e varie sulla Morte, che è l’alfa e l’omega di tutte le religioni e di tutte le filosofe, sono piccole luci per il lettore acuto che si avvia, come Teseo, a scovare il Minotauro nel labirinto. Queste chiose sono moniti iconoclastici; le statue monumentali delle credenze superstiziose di altre fedi e di altre dottrine, denaturate dai commenti e dalla malevolenza delle religioni imperanti, cadono spezzate, in frantumi, in polvere, sguazzanti in laghi di inchiostro. Io scrivo per il mio unico lettore acuto che voglia prestarmi attenzione, purgato se è possibile, dalle idee assorbite per secoli lunghi e dolorosi nella trasformazione della sua anima cristiana. Questo unico lettore è là, in un cantuccio oscuro, pronto alla critica, curioso di apprendere, avido di teorie inaudite; fermenta nel suo animo la ribellione sorda alla nuova ricostituzione di un occultismo a base di teologia tomistica, di cicli religiosi sovrapposti, mescolati a convalli e scene di misticismo di ogni colore. 
 Questo unico lettore che domani sarà purificato completamente dalla suggestione atavica e dalla più prepotente del gruppo sociale in cui è cresciuto e vive, vedrà ingrandite le fiammelle delle mie lucerne, diventate le grandi luci di tempi ignorati. La confusione delle idee, delle teorie, misticherie, mistagogie, esegesi, è tale e tanta che il campo visuale della Natura, nella sua semplicità, è ridotto a niente. Ed ora che alla partita di piacere si sono aggiunti gli orientali, Babele trionfa. La sapienza pratica degli americani ci promette di fabbricare gli iniziati a serie, come le automobili, le calzature, i cappelli, le saponette. Il valore grammaticale di iniziato non risponde all’iniziato nel senso magico; iniziazione è cominciamento, da “iniziare”, cominciare. 
 I nostri antenati avevano la debolezza, forse necessartia, di creare parole a doppio senso; gettavano in padella un vocabolo che assomigliava e consonava con uno di senso volgare, e poi…”qui vult capere capiat”. Certo, profanamente, “initio” ed “initiare” volevano dire consacrare, introdurre nei misteri; ma se vi è qualcuno che voglia perdere tempo, rifletta che “initium” ed “exitium”, il principio e la catastrofe o la morte, hanno la seconda parte della parola che è identica: che “ito” “itio” “it”, andare con frequenza, andare, muoversi, sono voci di moto. Nell’Urbe Arcana, dove l’iniziazione non appariva, e le cene delle ordinarie sedute passavano per convegni dilettevoli in pace , Roma, Orma, Ramo, erano forme esteriori di reconditi significati.
& Ora io voglio dire che anche gli egittologi credono che la parte dei misteri non pubblica fosse riservata agli “iniziati”, la parte dei misteri drammatizzati da mimi, come quelli della Grecia, come più tardi, nell’oscuro Medioevo, in Italia e in altri paesi d’Europa. Ed è un errore, perché coloro che assistevano a queste celebrazioni arcane non erano iniziati alla magia sacerdotale, ma alla significazione dei misteri, delle parole analogiche che la plebe dei misti non doveva intendere. Iniziazione vera era riservata a chi doveva diventare sacerdote e non dell’ordine inferiore dei celebranti i misteri, ma della gerarchia più elevata, nella quale i facitori di miracoli erano frequenti. Ecco perché ho detto che i grammatici, i filosofi, i parolai, i mistici non sono iniziati: chi doveva arrivare, uomo o donna, era preso ed educato con un allenamento lungo, faticoso, severissimo, come il sacerdozio cristiano non ha sentito il bisogno di educare gli aspiranti agli ordini sacri. 
 I nostri contemporanei non saprebbero concepire un’educazione della magia operante: bastano i libri, i bei discorsi, le invenzioni delle parole bisbetiche, e l’orizzonte magico è conquistato; le scienze occulte, contrariamente all’indicazione che farebbe insegnarle nei luoghi più nascosti e nel silenzio più profondo, si propalano a colpi di eloquenza e di volumi rivelatori di verità e di enigmi! Oziosi, procedete oltre. Il pubblico contemporaneo comprende un’educazione e una vita rigida, con sorveglianza severa e ininterrotta, per un pugilista che deve aspirare alle vittorie delle arene e guadagnarsi ricchezze; ma non intenderebbe che un tirocinio austero di trent’anni, con regole imprecise e non spiattellate nei giornali curiosi, possa mutare un uomo in un semidio. 
 La cattedra l’ha insegnato: non vi è che la follia e la superstiziosa banda degli impostori. La scienza è onestamente franca: studiate e saprete tutto; noi diciamo lo stesso: studiate, ma soprattutto praticate, allenatevi, e sappiate tacere, rinunziando a stampar libri. Ma chi prende sul serio un invito che vale pene e fatiche di tutte le ore? L’iniziato cerca l’elisir per vincere la morte. L’iniziato si propone il solo problema della continuità di coscienza, sorpassare il fiume dell’oblio, il pittoresco Lete, continuando senza interruzione il sogno della integrazione nei poteri divini. Prometeo, il piccolo dio, semidio, aspirante a sostituirsi al Dio, è la grande università della scienza dei volghi che sfida l’ignoto, nell’enunciazione della potestà meccanica di tutte le leggi infallibili, interrotte, della natura terrestre. La rassegnazione non è che filosofia o viltà. Il laboratorio mistico del Cristianesimo cerca da secoli di inocularla nella mentalità dei popoli; come la volontà di Allah nell’Islam; come l’ineluttabilità delle fasi per il divenire, nell’Oriente buddico. 
 Ma il pecorume occidentale si rassegna all’impotenza all’atto ribelle? Nell’ora estrema, innanzi alle ingiustizie stridenti, le anime più vecchie, le più antiche, le più libere si rivoltano: il mito della ribellione degli angeli deve essere eterno, sopra il piccolo pianeta che abitiamo, e nella infinità dei mondi animati, nei sistemi solari dell’Universo inconoscibile: chi sa quali rivoluzioni spirituali nascondono le stelle scintillanti nell’azzurro cielo d’Italia che, sardonicamente, in calma apparente, osservano in eterno la nostra povertà di mente! I nostri piccoli orgogliosi dolori di cui scriviamo l’epopea pazza, addebitandoli agli iddii indifferenti che forse – chi lo sa? – ci guarderanno con la stessa annoiata curiosità con la quale noi contempliamo un formicaio o un nido di vespe arrabbiate! Il sacerdote mago dell’Egitto operava l’incantesimo della mummia, la risvegliava, la preparava al viaggio, talismani e immagini nelle fasciature; le insegnava le frodi per corbellare la divinità, nel lungo itinerario per montare, incolume, senza ostacoli, alla residenza delle cause. Filosofo teocratico, il pontefice doveva avere innanzi agli occhi il cammino nel regno delle ombre, la via sempre affollata che i morti di tutte le ore percorrono. Il libro dei morti è un monumento. Vale il peso e il lavoro della piramide di Cheope. Fortunato chi vi legge bene. La magia vi metteva il suo sigillo. Anime ribelli dovettero esservi a centinaia anche allora, in epoca di schiavitù forzata, ugualmente feroce quanto la schiavitù dell’attuale civiltà dell’Occidente empio, che cova l’incendio e i massacri umani. L’iniziato deve vincere la Morte, sorpassare la schiavitù della legge inesorabile. Immortale come l’invenzione di Dio. L’enigma vivente. 
 Vedi, o lettore acuto, come siamo lontani dal misticismo religioso, dalla filosofia dell’uguaglianza dei valori umani, dall’anarchico misticismo del non valore della vita dell’uomo, dalla rassegnazione, dalla fatalità islamica, dalla ineluttabilità karmica. Credo, o acuto amico, che nessuno ti abbia mai parlato così: faccio da Lucifero, con queste noterelle che sono delle piccole luci, in attesa, se tu sei libero, che diventino fiaccole irradianti. Vincere la Morte. Lucifero, ironico come le eterne stelle del firmamento, traccia nella notte crepuscolare il segno della mano: ricerca, o mortale; il ponte copre il Lete; sorpassalo, non ti immergere nell’oblio. Ricorda l’ieri lontano, Osiride nel breve piano del Delta, Giove nella reggia del piccolo Olimpo, Geova minaccioso e ringhioso sulla terra di Sion, Assiriel fastoso, opulento, a Ninive, a Babilonia, a Tiro. 
 Sorpassa l’oblio, come hai sorpassata la vilissima età della paura, profetizza alla maniera giudaica come Ezechiel, come Baruch: il lontano domani è dei volghi, delle masse, delle ambizioni; le plebi saranno rinnovate, e nuove plebi monteranno; la terra vomita i suoi semi, li fa germogliare in piante rugose e nane, in arbusti fiorenti, in alberi pomposi di foglie e di frutta. Apri la mano nel buio della notte, cerca e stringi la mano dell’iniziatore! Diventa Re. L’integrazione dei tuoi poteri sarà eterna: non piegherà innanzi al destino degli uomini e delle plebi intellettuali. Nell’oscurità densa non diventar pazzo d’orgoglio e mistico – dici e non disdire – la parola magica, il verbum, è realtà, creazione. E’ necessario. 
& Il pontefice mago della magia caldea, racconta la sua mistica storia. Mamo Rosar Amru, colui che mai conobbe la morte, eternamente giovane e mitrato; ortodosso e templario, commenta: o miste, profano in attesa della sapienza, ricordati che Lucifero ti parla da ribelle – il verbum è la parola del creatore – nella notte oscura e profonda non troverai la mano dell’iniziatore pronta a stringere la tua, il tuo piccolo nume è in te, e te lo vieta. Io sono la legge del nostro tempio più grande, non sperar trionfi. 
 Ai tempi di Roma, Caldeo voleva dire mago. Erano Caldei o pretesi Caldei che facevano da indovini, astrologi e incantatori. Allora il Prof. Richet non aveva ancora inventata la parola “metapsichica”, che pare ai contemporanei più nobile della parola magia e di maggior valore. La Caldea era ritenuta allora la fucina di tutte le arti oscure della diavoleria mondiale. L’Egitto più sacerdotale; Babele, Ninive, Tiro, palestre di stregoni, in cui ogni persona era lo strumento imprecatorio per comandare alle schiere innumeri degli ulu, ululu, e degli altri orribili abitatori dell’oceano dei malefizi.
& Amatissimo lettore, quando incominciai a scrivere, trenta anni fa, di magia per evocare l’antica arte dei tradizionali e fabulosi realizzatori di miracoli, tutti gli spiritisti di Allan Kardec in Italia, tutti i lettori della propaganda di Denis, Schurè e Flammarion, si ribellarono come un sol uomo per questo nome che rimettevo in onore, a richiamare l’attenzione dell’avanguardia sui poteri integrali dell’organismo umano. Mutano i saggi col mutare dei tempi e la parola magia si incontra con le virgolette, ad ogni dieci parole di orientalisti, folkloristi, studiosi di popoli primitivi o creduti selvaggi. Me ne dissero di tanto curiose che non parevano più spiriti cristiani. 
 Avevano dimenticato che il nostro comune amico Israele, tra Egitto e Babele, aveva anche lui imbastito la magia giudaica; che Mosè invitò i maghi egizi a dar prova del loro potere e che questi gettarono nell’arena i loro serpenti di rame che divennero vivi e voraci, e Mosè gettò il suo, che tutti gli altri serpi distrusse; che Salomone re, oltre ad avere un laboratorio alchemico nella valle di Ofir, per poco non fabbricò i diamanti a tonnellate per piacere alla bionda regina di Saba; che la Cabbala ebrea è la più sottile di tutti i garbugli per tramandare ai posteri il Grande Arcano dell’Universo; che anche San Pietro ebbe competenza con l’arte di Simon Mago e lo superò.
 Ora, grazie alle missioni scientifiche, la magia è parola di buona lega, perché scavando documenti che precedettero di tre millenni la gioconda apparizione dei Santi Padri, spiegano che imperi di lunghissima durata non ebbero ad impudicizia di reggere i loro popoli con commerci diabolici che tenevano luogo di minacce, di castighi e di flagelli. Doveva essere carina la vita terrena d’un libero cittadino di Babele! Certo, nelle preghiere che quei sovrani onnipotenti, incarnazioni di Assur, il sempre vittorioso supremo guerriero, rivolgevano al dio o alle dee, domandavano per prima cosa una vita di lunghi giorni. 
 L’Arallu attendeva in una miscela scomposta tutti i mortali, re, sacerdoti, guerrieri, maghi, mercanti e schiavi, femmine libertine e sacerdotesse, medici e notai. Mi pare troppo! I soli guerrieri morti in guerra potevano essere serviti dalla sposa loro – qualche altro poteva bere dell’acqua fresca – il resto peggio dei più rognosi cani. Nergal feroce! Istar, l’immortale signora di bellezza e di amore, che corrispondeva un po’ alla Venere greca e alla Diana latina, se discende dall’Arallu per ricercarvi il suo cicisbeo, è spogliata dei suoi veli e non può rimontare ai celi senza un’aspersione di acqua di vita . Hanno un po’ ragione i metafisici e i teologi a bizantineggiare su questo luogo sozzo, detto inferno, in cui i detriti in decomposizione del superbo genere umano vanno, se gli dei non fossero mutati, ad abitare in eterno. Tra tutte le cose relative dell’ineffabile Einsten, vi è una cosa assoluta che non ha niente a vedere con le sue relatività: la paura dell’ignoto dopo la morte; la paura dell’ignoto e della morte che lo rappresenta nella forma più sintetica e più semplice; il dolore più acuto, per le nature che non hanno la disciplina filosofica di Seneca, è preferibile alla morte: nascere e morire, in latino “oriri et moriri”; io nasco, “orior”; muoio “morior”; che “mori” possa essere sincope di “moriri”? quell’emme precede “orior” (nasco) per dire “muoio”? Misteri etimologici . 
 Ireneo Filalete, in uno dei suoi famosi libri per cambiare i metalli ignobili in oro di coppella avvisa, con la sua candida carità, che una volta riusciti a fare il prezioso metallo, bisogna star bene attenti a spenderlo o a mostrarlo: “perché il bargello, messo in guardia dalle voci del popolo che spendi e che spandi oro di qualità finissima, verrà a domandarti se tal orefice o tal mercante di preziosi te l’ha venduto; e come tu non potrai provarlo, ti metterà tra i ladri nella prigione, perché tu non dirai che l’hai fabbricato col piombo e lo stagno e il rame e con particelle di ferro in limatura – e se tu lo dicessi ei non lo crederebbe e, sollazzevole, il giudice ti riderebbe in viso e ti direbbe: “io non sono un contadino che si imbroglia alla fiera coi bagatti; io sono filosofo e non bevo grosso come un villano incolto”. 
 La cosa è applicabile all’inferno, o al regno delle ombre in generale, che sia l’Arallu caldeo o il purgatorio dei cristiani, o il paradiso di San Bonaventura. Il paradosso lo getto nel pentolino di queste cose note come un’idea che passa per l’anticamera della cavità cranica, come una farfalla delle notti serene intorno al calice d’un fiore in amore. Ed il lettore arguto capirà che io non parlo di Dante, se dico che qualcuno avrà potuto benissimo visitare l’inferno e poi tornare in terra con la memoria delle cose viste, e saperle, e non poterle raccontare per non dire ai quattro angoli del firmamento che ha visto Istarte, la Domina, la Signora, la Grande Dama senza velo, mentre tutti non la vedono che vestita e velata, densamente oscura, con l’occhio scintillante d’amore, perché Ella è, è stata, e sarà la madre sempiterna Vergine, la genitrice delle falangi di creature che popolano il bel pianeta, a cui il cielo fa da ceruleo coperchio, e le panzane vi spuntano per auto seminagione, come la parietaria sui ruderi degli antichi edifici. 
 Voglio dire, mio acuto amico e critico, che il mondo scettico non incoraggerà mai alcuno che nell’inferno vi è stato e che ne ricorda le vicende, a confessare e dire. Come il bargello temuto dal Filalete, in un corpo solo i dottori della moderna Salamanca, riderebbero e sputerebbero: “Ma che bubbola vai almanaccando? Tu hai ricordo dell’altra vita? Del buio della spelonca infernale? Vatti a far guarire dai Morselli o dai Leonardo Bianchi, perché o sei matto o vuoi fare il matto. Chi sei tu: Mosè, o Enkidu o altro rivelatore?”. Enkidu era il compagno di Ghilgamesch; in sogno aveva visto l’inferno, dove alti e potenti signori, scongiuratori, profeti e servi sono misti come in un’unica insalata russa, vestiti come gli uccelli, di piume. Quando Enkidu muore davvero, Ghilgamesch lo evoca per conoscere la “legge della terra che egli ha visto”. Ed è una rivelazione tanto penosa, tanto triste per il vivente, da farlo piangere.
 Apro una parentesi un po’ lunga e larga. Tanto queste note non sono materia di erudizione, e le ho annunciate come semplici fiammelle per accendere qualche lucerna di Aladino. Il lettore amico sappia che, dacché lo spiritismo è creato, dacché ha fatto capolino nella società del secolo passato, avversato dalla scienza come cosa non provata (i preti qua e là l’hanno tollerato o scomunicato), come strumento di fede ha una lunga legione di credenti. Tutti hanno creduto da secoli ai morti, sotto una forma o sotto un’altra; non vi è popolo che non abbia nutrito la certezza che i morti viventi nell’ombra ci guardano, ci vedono, ci ispirano e – all’occorrenza – ci vengono in sogno per indicarci un destino imminente o un terno al lotto; però lo spiritismo, come l’occultismo, come il teosofismo, non ha avuto un critico demolitore, polemico, a conclusioni metafisiche; – ma dopo la guerra (che cosa non ha fatto la guerra!) la musica è cambiata. 
 L’idea della reincarnazione è prepitagorica, e Diogene Laerzio non è autore del secolo XIX. Insomma, acuto amico lettore, bisogna che scoviamo il messere che è ritornato dall’inferno e non ha ancora aperto bocca per derimere questioni così allegre. Un guaio, se la scienza delle università si occupa dello spirito umano; più grosso guaio se se ne occupano i filosofi. Metapsichica e sperimentalismo mi paiono due cose temibili per la pace dei morti. Quanto pagherei per sapere dov’è questo sornione che è stato all’inferno a vedere i morti, e se è ritornato vivo in pieno cosciente ricordo, in completa integrità mentale.
 Lucifero sorride ironico, come le stelle che guardano di lassù, cielo azzurro, profondamente sereno e misterioso, cielo italico pieno del profumo dei nostri giardini, le nostre piccole metafisiche. Lucifero parla, ammiccando con l’occhio, come fanno, scintillando, gli astri del firmamento: chi vuoi che sia dal regno dei morti tornato e lo venga a dire a te che lo racconti ai porri scientifici della tua bottega? Vuoi interrogare un matto? Non sono i dementi i più freschi arrivati dalla oscura valle dove gli dei, i geni e i morti eroi giocano al poker per passare il tempo? Il pazzo dei tarocchi non ha peli alla lingua: evocalo; vuoi che ti aiuti? 
 Lucifero agita le braccia come due mulinelli, e dirige la sua destra mano verso l’angolo più buio, come vi scagliasse un pizzico di pepe; si sente l’abbaiare di un cane; poi il Matto appare, roteando anche lui il bastone da pellegrino. – Oh, vecchi amici di seminario! Perché mi volete? Perché mi chiamate? Ero dietro a seguire un corteo funebre; una donna bellissima è morta, e la gente la piange e ne fa le lodi; stupida gente! S’ella fosse vissuta ancora qualche anno, sarebbe diventata brutta come la più affumicata pignatta; quelli che, viva, non seppero farla felice, la piangono ora che è felice…
 Mentre il pazzo parlava, dall’angolo buio si staccava una massa di curiosi che lo avevano seguito: nella possente evocazione a mulinelli magnetici dell’ironico Lucifero per poco, col matto, non fu attirato innanzi a noi il funebre corteo della bella. Il pubblico rideva. Lucifero interroga: – E che fa la morta? È più felice ora, che da viva? Vogliamo sapere che fanno i morti, che cosa è la Morte….Un matto patentato come te, se hai visto e se sai, non avrà paura dei critici e della metafisica, dell’università o del rogo? Che fanno i morti? Che cosa è la Morte? Il Matto rivolse al suo seguito un risolino beota, uno dei sogghigni metafisici che non s’inventano, e si accinse alla predicazione. Tutti restarono sospesi, in silenzio, aspettando che egli dicesse. Anche il cane tacque, nell’attesa ansiosa. Solo una stella del firmamento, ironica, rifletteva il malizioso ritmo del portatore di luce.

NOTE

Paragrafo 1

1 L’abisso dell’uomo è il fondo astrale la cui etimologia è oscurità. Quindi l’abisso profondo ed oscuro. La zona astrale dell’universo è ugualmente zona senza luce, cioè nera.

2 Questo io scrivevo nel 1905, dopo 16 anni si accenna a una nuova rivoluzione dello scibile con le teorie nuovissime di Einstein a carattere matematico… ma a contenuto schiettamente cabalistico. La teorie della relatività nella determinazione di spazio e di tempo, la concezione antieuclidea, le negazioni delle verità assiomatiche accettate come assolute, lo sfacelo della dottrina newtoniana e la concezione scientifica di una visione dell’esistente in natura a quattro dimensioni, formano il cumulo di percezioni … cabalistiche. Ora la portata di queste teorie nuove sarà immessa sulle scienze biologiche, sulla discussione intorno ai fenomeni fisici e sui valori capovolti dei principi di base nei giudizi sulle esperienze scientifiche. L’intuizione prende un aspetto nuovo (che sia quella del Cardano, il medico milanese traduttore del Sinesius, che fece sorridere quando volle dimostrare, in base ai principi della Cabala, come l’intuizione dovesse riferirsi ai procedimenti logici per la ricerca della verità?) e la causalità un carattere di precedenza.

Paragrafo 2

1 Il poeta vero è ogni uomo che lascia parlare per la sua bocca il Mercurio, messaggero degli dei, che si rendono irreperibili agli obiettivi fotografici per conservare la dignità della loro pace feconda, e si coprono di caligine se la indiscrezione umana li intravede.

2 Il segno della Bilancia o Libra non vi sarebbe nello zodiaco senza la Vergine, ed in Alchimia la stadera ha due pesi di differente volume, come poi la fisiologia e l’anatomia hanno dimostrato. Il Michael è il quasi simile a Dio; perciò pondera.

3 La costellazione dei Pesci dopo l’Acquario o diluvio sommergente, precede Ariete, rinnovamento della natura (primavera) per l’azione feconda del maschio sulle pecore o gregge, poiché le corna sono sempre state simbolo di maschia potenza.

4 Negromanzia è magia dell’ombra dei vivi, e necromanzia è magia evocatoria dei morti. L’iniziatura neo-platonica o conosciuta per tale, in cui Dante vi trasse il concetto dei suoi scritti, voleva ancora servirsi di qualche rudere della lingua sacra; così molte cose di Vita Nuova, del Convito e della Commedia ne portano i segni, anche dove appare più chiaro il senso delle parole, come nel nome di Beatrice in cui vi è – per chi sa di che voglio parlare – la indicazione della Rosa. L’Alighieri forse ebbe l’iniziazione del Grande Arcano magico, ma certo non fu un operatore né un praticante. Il così detto neoplatonismo non ne dette che pochissimi in due secoli, ma – in compenso – quanta poesia nel senso vero e classico della parola!

5 I Romani lo presentavano come un Dio della fecondazione e della prosperità. Vedi a Pompei, nella parte del vestibolo della casa dei Vetti: v’è una pittura curiosa in cui si vede il mostruoso dio pesato in una bilancia. La pudicizia archeologica del governo Italico, per non esporre gli antichi storici falli, l’ha chiusa con un telaio di legno di cui il custode apre la porta, se vede che il visitatore non si spaventa.

6 I caporelli delle mammelle sono erettili, e perciò presi nella significazione satannica.

7 Isterismo epilettico più spesso, perché l’epilessia era un morbo sacro ma lunatico, cioè passivo: considera la luna come l’utero della natura naturata dei filosofi che agisce sulla crescenza e decrescenza delle cose.

Paragrafo 3

1 Secondo i Cabalisti le 72 porte della verità assoluta sono nascoste nei 72 nomi divini. Il pazzo illustra gli arcani dei tarocchi, accennando alle porte iniziatiche che corrispondono alle forme cabalistiche. La piromagia o magia del fuoco, simboleggiata nei misteri con fiamme e pire, è la porta passionale dell’amore.

2 Le profonde cognizioni degli antichi ordini sacerdotali sulle miserie dell’anima, furono un corpo di scienze complete di psichismo, perché le teocrazie non ebbero di mira che il dominio dell’uomo per mezzo della sua anima. Il cristianesimo paolotto nacque e si diffuse come una ribellione e una rivincita; poi la chiesa assorbì, senza la scienza dell’anima umana, i poteri delle antiche teocrazie e impedì che il problema spirituale fosse discusso e investigato. Ecco perché ai grandi progressi del mondo contemporaneo in tutte le arti e le scienze di investigazione non corrispondono ancora eguali progressi degli studi psichici ancora infantili.

3 La mirabile imitazione del tipo Cristo che si riscontra nel santo di Assisi è tutto un miracolo di sublime fede. L’influenza del santo e dell’esempio fu grande nella civiltà nuova, è fuor di dubbio; ma come fu dolcemente ignorante quella fede sui destini della società umana!

4 Se accertassimo con un’anagrafe occulta che noi (cioè collettività) siamo sempre gli stessi sotto maschere diverse, ci potremmo mettere d’accordo per renderci meno aspra la vita.

5 Il sacramento del matrimonio portò, per reazione, al sabba osceno delle streghe. Bisognerebbe indagare di dove ci sia venuta in occidente quella pestilenziale utopia di volere l’umanità (consorzio) aspirante alla negazione della società per solo vincolo di amore.

6 Noi abbiamo tipi di degenerati e di anormali. Dovremmo avere il tipo generato normale. Lo immagino come perfetto automa vivente che non compie nessuna funzione animale senza il regolamento. Auguro che nessuna bestia di tal genere sia tra i miei lettori; se no griderei: povera prosa mia…

7 Se qualche prete cattolico vuol guadagnare un paio di scomuniche, non ha che da occuparsi dei sacri riti nel significato originario magico. La gerarchia sacra è una forma di società iniziatica in cui i gradi più alti dovrebbero saper tutto. Dicono che la messa sia l’ultima cena del Cristo, ma vorrei sapere se il bicchiere adoperato nella cena avesse la forma del calice. E, messo in dubbio questo di cui neanche il Renan si è occupato, si dovrebbe investigare perché il colore di coppe nelle carte da gioco, e perché certi vasi degli alchimisti classici hanno tutti la forma del calice. E la patèna che serve a coprire il calice e che è il colore di denaro nel gioco delle carte e dei tarocchi, è forse il piattello in cui Giuda Iscariota mangiò la polenta?

8 Il paganesimo in molti miti personificò o meglio fotografò le diverse forme dell’anima umana. Satiri, ninfe, nereidi, najadi…sono simboli e realtà. Il cristianesimo ha calunniato troppo il paganesimo e le mitologie sapienti.

9 Questi scopritori, invece di fare le poesie in prosa, arzigogolando sugli scogli della fantasia indiana per vedere quello che non vi è, farebbero meglio a navigare senza parlare, e a far la prosa coi lamponcini della ragione sottile occidentale. A furia di cantar frottole finiremo col crederle, mentre il vero sta al di là delle frottole.

10 Che castigo di dio pei mariti e per le mamme di allora! La magia del sangue tipo barba blu rappresentò, parecchi secoli dopo, la reazione della forma platonica.
11 Questa porta bassa, ricomposta nei giardini della Piazza Vittorio Emanuele a Roma porta i segni cabalistici della magia eonica completi per aprire la porta chiusa ai profani, e porta anche delle iscrizioni che non devi confondere coi segni, perché i primi appartengono alla magia eonica e le seconde alla grande magia trasmutatoria o alchimica.

Paragrafo 4

1 Sono le tavole degli arcani maggiori dei tarocchi, figure filosofiche che servono ad aprire gli occhi ai quasi ciechi.

2 Ovidio chiamò la Morte “nutrix maxima curarum”, la grande nutrice degli affanni; e Varrone disse “nox” proveniente da “nuocere” perché nelle ore senza luce, il dolore e la pena sono più acuti. Catullo chiamò la Morte “perpetua nox”; e Ovidio l’ignoranza “nox animi”.

3 Dà agli uomini il segreto per diventare immortali? Ricordarsi di questo, quando parlerò della Morte nell’alchimia. Delle 14 parti, Iside non ne trovò che 13. La quattordicesima, il fallo, era stata mangiata da un pesce.

4 Quella che guidò Galileo e voleva impedire a Colombo di scoprire l’America, era scienza ufficiale, a quei tempi.

5 Magicis, etiam coelus eum initiaverat (Quintilianus).

6 Che cosa sia quest’acqua di vita, nessun assirologo ha potuto sapere.

7 Ma nella ricerca di etimologie di parole di senso nascosto, specie se riguardano cose attinenti ai misteri religiosi o alle antiche mitologie settarie, bisogna andar cauti. In greco brotos è mortale e antobros è immortale. Ambrosia è bevanda che bevono gli dei, o nettare che dà l’immortalità?

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